Pensione anticipata 2018: a chi spetta? chi ne ha diritto?


Nel corso degli ultimi anni, la Riforma Forneno ha portato molteplici novità per quanto riguarda l’ambito delle #Pensioni. Tali novità molto spesso non sono state prese bene, in primis dai pensionati e successivamente dai lavoratori. Mancano poco più di due mesi alle nuove elezioni ed i cittadini sono in attesa e in ascolto delle proposte dei vari partiti proprio per quanto riguarda l’ambito pensionistico. Nel frattempo però, le novità sull’argomento e le modifiche stanno andando avanti. In questo articolo scoprirete chi ha diritto alla #pensione anticipata.


Pensione anticipata

Anche nel 2018, i lavoratori precoci ( cioè quelli che hanno raggiunto 12 mesi di contributi entro il 19° anno di età), hanno diritto alla pensione anticipata con 41 anni di contributi [VIDEO]versati.

Dunque, la pensione anticipata rispetto a quella ordinaria differisce dal fatto che quest’ultima può essere ottenuta con almeno 41 anni e 10 mesi di mesi di contributi per quanto riguarda le donne, mentre è di 42 anni e 10 mesi di contributi per quanto riguarda gli uomini. Per le donne l’agevolazione è pari a 10 mesi, mentre per gli uomini l’aiuto corrisponde a 1 anno e 10 mesi.

Possono usufruire della pensione agevolata anticipata solo delle persone specifiche che fanno parte di particolari categorie. Entriamo dunque nello specifico della situazione.

Ecco gli aventi diritto

Possono usufruire della pensione anticipata 2018 con 41 anni di contribuiti i seguenti soggetti:

  • Lavoratori disoccupati a causa di un licenziamento [VIDEO] o di dimissione ma per motivazioni appropriate. Questi soggetti però non devono aver percepito i contributi di disoccupazione per almeno 3 mesi
  • Lavoratori che si prendono cura di un proprio parente di primo grado o il proprio marito/moglie con problematiche abbastanza gravi.
  • Coloro che possiedono invalidità maggiore o pari al 74%.
  • Lavoratori che hanno svolto mansioni pesantii come le seguenti : conduttori di mezzi per perforazioni nell’ambito delle costruzioni, guidatori di mezzi pesanti come camion, pescatori, operatori ecologici.
  • Lavoratori che hanno svolto professioni usuranti.

A partire dal 2019, la prerogativa di 41 anni di contributi dovrebbe salire di 5 mesi.

Chi vuole usufruire della pensione anticipata precoce, deve fare richiesta presso l’Inps.

Ritardi e rinvii, l’Ape fa flop

“Un fallimento facilmente prevedibile”. Sintetizza così Morena Piccinini, presidente dell’Inca, la vicende dell’Ape sociale, a oltre 7 mesi dall’1 maggio, che doveva segnare l’inizio della sperimentazione dell’Ape sociale. La rivista del patronato ‘Esperienze’ fa il punto sulla situazione dell’anticipo pensionistico. “Se tutto andrà come dovrebbe andare, i primi assegni di indennità Ape sociale e anticipo pensionistico per lavoratori precoci non arriveranno prima di gennaio 2018”, ricorda il patronato citando un comunicato stampa dell’Inps diffuso il primo dicembre.

 “Ad onore del vero – spiega Piccinini – di ritardi se ne sono accumulati tanti e non sempre per responsabilità dell’lnps. Il decreto applicativo ha avuto una gestazione complicata, tant’è che il decreto applicativo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.138 soltanto il 16 giugno, con un ritardo di più di un mese. Poi, però, l’Istituto ci ha messo del suo per confondere ulteriormente le acque. E le cose ancor oggi non sono affatto chiare”.

Superato lo scoglio dell’ultima scadenza (30 novembre) per la presentazione delle domande di Ape sociale e di anticipo pensionistico per i lavoratori precoci, spiega l’Inca, “l’Inps ha diffuso i dati sulle richieste pervenute complessivamente sia per quanto riguarda la prima fase (conclusa il 15 ottobre) che la seconda (30 novembre)”.

“E i risultati -si legge nella rivista ‘Esperienze’- non sono affatto incoraggianti. Con la prima, sono state accolte 15.493 domande di certificazione di Ape sociale e 9.031 richieste di lavoratori precoci (pari al 39% e al 34% del totale), per un numero complessivo di 24.524 domande su 65.972 richieste complessivamente pervenute, pari al circa il 37%; ben al di sotto della metà”.

“Poi, però, l’Inps precisa di aver provveduto a riesaminare d’ufficio, alla luce dei nuovi indirizzi estensivi forniti dal ministero – e fortemente sollecitati dopo la pubblicazione del dossier di inca – 6.384 domande di Ape sociale e 5.592 di lavoratori precoci (per un totale di 11.976)”. Un riesame definito dall’Inps “operazione straordinaria”, che “si completerà nei primi giorni di dicembre”. “Al momento, è sempre l’Inps a dirlo, queste operazioni di riesame hanno comportato l’accoglimento di circa 2.000 domande di Ape sociale e di circa 1.780 di lavoratori precoci (per un totale di 3.780). Dunque, se la matematica non è un’opinione, su 11.976 domande riesaminate, 8.196 ancora attendono di sapere quale sarà l’esito alla loro richiesta (oltre il 68%)”, dice l’Inca.

“Se questo è l’andazzo, cosa ne sarà delle 16.917 domande pervenute all’Inps, tra il 15 luglio e il 30 novembre?”, sottolinea l’Inca. “Il sospetto -dice Piccinini- è che si avveri ciò che lo stesso Inps ha pronosticato, nell’ottobre scorso, in occasione dell’audizione alla Camera, quando, giocando di anticipo rispetto ai tempi, affermò che il 50% delle risorse stanziate per l’indennità Ape sociale e l’anticipo pensionistico in favore dei lavoratori precoci, anche dopo il riesame delle domande, sarebbe rimasto inutilizzato. Un fallimento facilmente prevedibile, dunque, che si sarebbe dovuto e potuto evitare dando certezza del diritto, a chi subisce sulla propria pelle le conseguenze di un altro grossolano errore commesso dalla legge di riforma delle pensioni Monti-Fornero”.

Stando infatti a un’analisi della Cgil, nel 2017 le risorse non utilizzate per l’Ape social e i lavoratori ‘precoci’ ammontano a 540 milioni di euro, molto superiori a quei 300 milioni in tre anni stanziati dal governo per il pacchetto pensioni inserito nella legge di bilancio. Risorse che non saranno reimpiegate nel capitolo previdenza e che quindi andranno perse. In una nota diramata qualche giorno fa, la Cigl denuncia “l’inconsistenza delle misure proposte dall’Esecutivo al sindacato per la fase due del confronto sulle pensioni”.

“Il risparmio di risorse realizzato sulle prestazioni di Ape sociale e ‘precoci’ nel 2017 è addirittura superiore a quanto il Governo ha deciso di destinare complessivamente al capitolo Previdenza nel prossimo triennio”, commenta il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli mentre Ezio Cigna, responsabile Ufficio Previdenza pubblica del sindacato, annota come i 300 milioni stanziati dal governo per l’intervento triennale “siano abbondantemente sovrastimati”.

A far risparmiare il governo nel 2018 soprattutto il numero di domande accolte per Ape sociale e ‘precoci’, molto inferiore a quello che era stato preventivato: 31.290 domande anziché le 60.000 ipotizzate, pari al 52,15% del totale previsto, stima ancora la Cgil. E sarà proprio questo a determinare, con un effetto trascinamento, il risparmio anche per il 2018 che il sindacato stima pari a 554,5 mln.

“Se non si vogliono accumulare ulteriori residui, pregiudicando il diritto di molti lavoratori di fruire delle prestazioni di Ape sociale e anticipo per i precoci, è necessario intervenire in legge di Bilancio per modificare profondamente le procedure e i vincoli”, dice ancora Ghiselli.

“I correttivi sino ad ora ipotizzati dal Governo, relativi all’ampliamento di quattro categorie di lavori gravosi, all’intervento sulle donne madri e sui contratti a termine, senza ulteriori misure sarebbero del tutto irrilevanti e determinerebbero anche per il 2018 l’esclusione di tantissimi lavoratori dalle prestazioni”, dice ancora. Riepilogando le proposte avanzate dalla Cgil: la necessità di abbassare il requisito contributivo per i lavoratori impegnati in attività gravose da 36 a 30 anni e la modifica della continuità professionale richiesta di 6 anni su 7 allargandola all’ipotesi di 7 su 10”. Inoltre, sempre relativamente ai lavori gravosi, “chiediamo di semplificare le procedure e di rimuovere il vincolo del tasso di tariffa Inail del 17 per mille”. conclude.

Dopo più di 20 anni di iniziative per far decollare anche nel nostro Paese la previdenza complementare — arrivando a fatica a quasi 8 milioni di iscritti—a decretarne il de profundis ci ha pensato il governo Gentiioni con la legge di Bilancio in discussione in questi giorni alla Camera. Come noto, l’obiettivo dei fondi è quello di creare una pensione aggiuntiva che si somma a quella pubblica per poter mantenere anche da anziani un discreto tenore di vita. Perché servono
i fondi pensione? Perché nonostante la legge consenta tassi di sostituzione (il rapporto tra l’ultimo reddito da lavoratore attivo e la prima rata di pensione) molto alti rispetto alla media dei paesi industrializzati, i redditi dei lavoratori italiani sono bassi. Un lavoratore dipendente che va in pensione con un tasso di sostituzione netto del 73% (a 67 anni di età e 36 di contributi) con un reddito da attivo di 1.200 euro avrà un assegno di quiescenza di 870 euro. Come si può intuire una rendita complementare per andare almeno sopra i mille euro è più che necessaria. Per questo si sta parlando di un ulteriore semestre di informazione e di rendere obbligatoria l’adesione. Addirittura questo stesso governo ha rafforzato il welfare aziendale consentendo che i premi di risultato possano essere versati nei fondi pensione (anche in altre forme di protezione sociale) fino ad un massimo di 4 mila euro, in aggiunta ai 5.160 consentiti finora, il tutto in totale esenzione fiscale.

Ultimi regali…
E cosa fa la legge di Stabilità? Intanto prevede che: per i lavoratori cui mancano 5 anni alla pensione e che abbiano almeno 20 anni di contributi nei regimi obbligatori, è consentito di ritirare tutto il montante accumulato richiedendo la «Rita», la rendita integrativa temporanea anticipata. Con questo meccanismo si può ritirare a rate tutto il capitale accumulato con buona pace per la rendita. La legge attuale invece prevede (proprio per garantire una pensione complementare) che non si possa prelevare più del 50% del montante accumulato in capitale. Ma c’è di più: si prevede che se i lavoratori risultano disoccupati per oltre 24 mesi e se maturano il requisito pensionistico entro i 10 anni successivi, possono con «Rita», ritirare tutto il montante. E mentre per i lavoratori iscritti prima del 2007 (anno di entrata in vigore della legge di riforma 252/05) che accedono alla pensione complementare è prevista sulle prestazioni complementari una tassazione sostitutiva tra il 15% e il 9% (sulle quote accumulate prima di tale data è prevista la più onerosa tassazione separata) per i richiedenti «Rita» la tassazione fino ai 15 anni prima del 2007 è equiparata a quella della 252/05: un bel regalo. Considerando l’italica abitudine a sfruttare al meglio i buchi legislativi, si scateneranno le migliori fantasie per potersi prendere tutto quanto accumulato in capitale, salvo poi, se la pensione pubblica sarà insufficiente, andare in tv o sui media a dire che questo Stato ti da pensioni da fame, guardandosi bene dal dire quanti contributi e quante tasse ha versato.
…e recenti salassi
Pare, oggettivamente, che sia questo governo, che il precedente, la bussola l’abbiano un po’ persa. Mentre all’estero tutti i governi tendono ad incentivare i fondi pensione, i nostri hanno aumentato la tassazione dall’11% originario al 20%, eliminando però la tassazione sui Pir (Piani individuali di risparmio) per importi fino a 150 mila euro (30 mila l’anno per 5 anni) montanti che difficilmente si possono accumulare con i fondi pensione se non per periodi superiori ai 15 anni.
Risultato: l’industria del risparmio gestito ringrazia mentre l’Italia resta il fanalino di coda tra i paesi Ocse nel rapporto tra il patrimonio dei fondi e il Pii. La media Ocse è pari al 123% del Pii mentre noi siamo a meno del 9% (e pensate al debito pubblico e all’invecchiamento della popolazione per capire il mix esplosivo che colpirà l’Italia tra meno di 20 anni). In classifica siamo regolarmente battuti dalla Namibia, dal Botswana da Malta, dal Perù, solo per fare qualche nome. Forse occorre meditare bene prima di scrivere queste norme

Pensioni, Ape: prima solo disabili e disoccupati

Il governo sta mettendo sul campo i primi decreti attuativi. Secondo il Corriere, l’esecutivo dovrebbe scegliere alcune categorie a cui dare la priorità. Tra di esse i disoccupati, poi i lavoratori disabili e infine quelli con un disabile a carico. Il terreno battuto è quello dell’Ape social (permette di andare in pensione fino a tre anni e sette mesi prima della scadenza senza la riduzione dell’assegno per le fasce sociali tutelate). Solo che c’è il problema di coperture. Il Tesoro ha stanziato circa 300 milioni di euro per il 2017.

A partire dal 2018 la pensione di vecchiaia si conseguirà al raggiungimento di 66 anni e sette mesi di età. Uno dei passaggi più importanti messi in atto dalla Riforma Monti-Fornero (legge 201/2011)è stato quello di uniformare i requisiti di accesso sia per le lavoratrici, sia per i lavoratori, a prescindere dal settore di impiego (pubblico, privato o di lavoro autonomo). In questo contesto il 2017 si presenta come l’ultimo anno di transizione dove sono presenti leggere differenze. I lavoratori dipendenti del pubblico e del privato e gli autonomi, nonché le donne del settore pubblico, accedono alla pensione con 66 anni e sette mesi. Alle lavoratrici dipendenti del settore privato sono richiesti, invece, 65 anni e sette mesi, mentre alle autonome occorrono 66 anni e un mese.

Tutti questi requisiti sono stati, e saranno, aggiornati agli adeguamenti legati alla speranza di vita. L’ultimo adeguamento è stato applicato il 1° gennaio 2016 e avrà validità fino a tutto il 2018, mentre dal 2019 gli adeguamenti saranno effettuati con cadenza biennale. Oltre al requisito anagrafico deve risultare soddisfatto quello contributivo. Sono richiesti – di norma – almeno venti anni di contribuzione (o assicurazione) a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato.

Vecchiaia contributiva

Queste sono le regole generali, ma esistono delle eccezioni. Per i lavoratori a cui è applicabile il sistema contributivo puro – cioè che sono privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 – la pensione di vecchiaia è liquidata alle condizioni su esposte purché il primo importo di pensione non risulti essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Per il 2017 il valore corrispondente è pari a 672,11 euro. In caso contrario, il rapporto di lavoro dovrà proseguire fino a quando non sarà raggiunto il valore minimo indicato. Qualora tale importo non dovesse risultare soddisfatto, la pensione di vecchiaia sarà pagata – sempre con riferimento ai soggetti contributivi puri – con 70 anni di età e cinque anni di contribuzione effettiva.
Il requisito anagrafico dei 70 anni deve essere adeguato agli incrementi legati alla speranza di vita, pertanto, per il triennio 2016/2018, sono richiesti 70 anni e 7 mesi. Ai fini dell’anzianità contributiva dei cinque anni è utile solo la contribuzione effettivamente versata (obbligatoria, volontaria da riscatto) con esclusione di quella accreditata figurativamente a qualsiasi titolo.

Altre prestazioni legate all’età

Al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia, alcune prestazioni vengono trasformate. È il caso dell’assegno ordinario di invalidità, che viene trasformato d’ufficio in pensione di vecchiaia al compimento dell’età anagrafica prevista nelle singole gestioni assicurative in presenza dei prescritti requisiti di assicurazione e contribuzione a condizione che gli interessati abbiano cessato il rapporto di lavoro dipendente.
I nuovi e più elevati requisiti anagrafici impattano anche sulla liquidazione della pensione supplementare e dei supplementi di pensione, istituti che potrebbero sembrare sinonimi, ma non lo sono.

La pensione supplementare viene liquidata, a domanda dell’interessato, quando la contribuzione accreditata nell’assicurazione generale obbligatoria (Ago) non è sufficiente a perfezionare il diritto a un’altra pensione con i requisiti contributivi normalmente richiesti. Per l’erogazione, il lavoratore deve essere già titolare di una pensione a carico di un fondo sostitutivo, esclusivo o esonerativo dell’Ago stessa. Deve aver compiuto l’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia nel fondo dove si chiede la pensione supplementare e deve risultare cessato il rapporto di lavoro dipendente.
II supplemento di pensione rappresenta, invece, un incremento della pensione che viene liquidato sulla base di ulteriore contribuzione relativa a periodi successivi all’erogazione della pensione principale. In altri termini, il lavoratore che – acquisito lo status di pensionato – riprende l’attività lavorativa versando ulteriore contribuzione presso lo stesso fondo. I supplementi possono essere richiesti dopo cinque anni dalla data di decorrenza della pensione (o del precedente supplemento), purché sia stata compiuta l’età prevista per la pensione di vecchiaia prevista nelle relative gestioni. Una sola volta il supplemento può essere richiesto dopo due anni dalla decorrenza della pensione o del precedente supplemento. Anche in questo caso occorre aver raggiunto l’età prevista per la pensione di vecchiaia. Per i supplementi nella gestione separata dell’Inps non è richiesto il compimento dell’età pensionabile.

Decorrenza

La pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno successivo a quello di compimento del requisito anagrafico, sempreché siano soddisfatti anche i requisiti contributivi minimi. Nel caso delle gestioni esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria (ex Inpdap, ex Ipost, ex Fs) la decorrenza può essere infra mensile, dal giorno seguente a quello di compimento dell’età. Dal 2012 non è più applicato il differimento tra la maturazione del diritto e la riscossione del primo assegno (finestra mobile). Nel caso in cui non dovessero risultare soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, la pensione risulterà differita al primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti vengono raggiunti.

Requisiti contributivi

In deroga al vincolo dei venti anni di contribuzione, l’Inps ha avuto modo di precisare che continuano ad operare alcune deroghe previste della riforma Amato del 1992. Quindi coloro i quali hanno perfezionato 15 anni di assicurazione e di contribuzione entro il 31 dicembre 1992 continuano ad accedere alla pensione di vecchiaia con tale requisito contributivo, fermo restando il perfezionamento dei nuovi e più elevati requisiti anagrafici. I contributi figurativi, da riscatto e da ricongiunzione riferiti a periodi che si collocano entro il 31 dicembre 1992 devono essere valutati anche se riconosciuti a seguito di una domanda successiva a tale data. Tale deroga è applicata anche per il personale iscritto alla gestione dipendenti pubblici.
Accedono con quindici anni di contribuzione anche quei lavoratori che sono stati ammessi alla prosecuzione volontaria dei contributi entro il 26 dicembre 1992. Non è richiesto che l’assicurato ammesso alla prosecuzione volontaria abbia effettuato versamenti anteriormente a tale data. Anche in questo caso si applicano i nuovi requisiti anagrafici.

Invalidi e non vedenti

Ulteriori deroghe sono previste anche per il personale non vedente, nonché per gli invalidi in misura non inferiore all’80%, che continuano ad accedere alla pensione di vecchiaia con i requisiti vigenti alla data di entrata in vigore della riforma Amato del 1992. Però tali lavoratori scontano ancora la finestra mobile (12 mesi se dipendenti, 18 mesi se autonomi) e i requisiti anagrafici risentono comunque degli adeguamenti legati alla speranza di vita. I lavoratori non vedenti che siano tali dalla nascita o da data anteriore all’inizio dell’assicurazione e di contribuzione dopo l’insorgenza dello stato di cecità conseguono la pensione con 55 anni mentre le donne con 50. Agli autonomi sono richiesti 60 anni, alle autonome 55 anni. In questi casi servono dieci anni di assicurazione e di contribuzione. Per i lavoratori dipendenti non vedenti che non si trovano nelle condizioni sopra esposte, sono richiesti – in via generale – 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne. Stessi requisiti anche per gli invalidi non inferiore all’80 percento. Per i lavoratori autonomi non vedenti che non si trovano nelle condizioni sopra esposte, sono richiesti – in via generale – 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne. In questi casi il requisito contributivo minimo è pari a quindici anni di assicurazione e contribuzione. Le deroghe previste in favore degli invalidi in misura non inferiore all’80% non si applica agli iscritti ai fondi esclusivi dell’Ago.

Assegno sociale

Il 2017 rappresenta, inoltre, l’ultimo anno nel quale sarà possibile accedere all’assegno sociale con 65 anni e 7 mesi. Infatti, dal 1° gennaio 2018 il requisito sarà innalzato ed equiparato ai requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia (66 anni e 7 mesi).
Si ricorda che l’assegno sociale è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore di cittadini italiani (o stranieri comunitari) che si trovano in condizione di bisogno. La residenza deve essere effettiva, stabile e continuativa per almeno dieci anni nel territorio nazionale. È erogato provvisoriamente e con verifica del possesso dei requisiti reddituali. Non è reversibile ai familiari superstiti ed è inesportabile all’estero. Se il titolare soggiorna all’estero per più di trenta giorni, viene sospeso. Dopo un anno dalla sospensione, la prestazione viene revocata.
L’assegno sociale non è soggetto a Irpef ed è pagato per tredici mensilità. L’importo per il 2017 è pari a 448,07 euro. Per i pensionati non coniugati spetta se il reddito annuo personale non è superiore a 5.824,91 euro, mentre nel caso di pensionato coniugato il reddito familiare non deve risultare superiore a 11.649,82. In presenza di redditi inferiori a tali soglie, l’assegno viene erogato in forma ridotta. In assenza di redditi l’assegno è erogato in misura intera.

Opzione donna
Ultime novità anno 2017
La legge 11 dicembre 2016 n° 232 – Legge di bilancio 2017 commi 222 e 223 – ha portato importanti novità sulla cosiddetta “opzione donna”.
L’INPS, con propria circolare n° 35 del 2012, aveva inteso la data del 31 dicembre 2015, prevista dalla legge N° 243/2004 art. 1 comma 9 come data ultima per l’esercizio di questa opzione, data entro la quale maturare tutti i requisiti richiesti ivi compresa la decorrenza della pensione stessa. In altre parole, entro il 31 dicembre 2015, oltre ai requisiti di età e contribuzione bisognava anche aver soddisfatto il requisito delle “finestre” per l’accesso alla pensione.
La legge di bilancio 2017, rivedendo questa posizione, stabilisce che è sufficiente maturare entro il 31 dicembre 2015 i requisiti di età
• 57 anni per le lavoratrici con sola contribuzione nel FPLD – Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti;
• 58 anni per le lavoratrici che utilizzano in tutto o in parte contribuzione da lavoro autonomo (Artigiane, Commercianti, Coltivatrici Dirette)
richiesti senza tener conto né della decorrenza della pensione che potrà avvenire, ovviamente, anche in data successiva né dell’aumento dell’età prevista per la cosiddetta “aspettativa di vita.
In altre parole è sufficiente essere nate entro il:
• 31/12/1958 per le “lavoratrici dipendenti”
• 31/12/1957 per le “lavoratrici autonome”
ed aver maturato sempre entro il 31/12/2015 i 35 anni di contribuzione (1820 contributi settimanali) per poter esercitare l’opzione donna.

Aspettativa di vita
L’aspettativa di vita ( i mesi in più da calcolare oltre ai 57 anni: rispettivamente di tre mesi per le nate entro il terzo trimestre 1957 o 1958 e di sette mesi per quelle nate nel quarto trimestre degli stessi anni) si utilizza solo per determinare la decorrenza della finestra di accesso al pensionamento.
Finestre di accesso
Le finestre di accesso rispettivamente di:
• 12 mesi per le lavoratrici del FPLD
• 18 mesi per le lavoratrici con contribuzione da lavoro autonomo si contano dalla maturazione di tutti i requisiti di età e contribuzione.
Il requisito contributivo (35 anni di CTB) , come già detto, deve essere tassativamente maturato entro il 31/12/2015.
Per il requisito dell’età è sufficiente maturare i 57 anni o 58 entro il 31/12/2015 e poi aggiungere l’aspettativa di vita.
Qui di seguito una tabella riassuntiva dei requisiti richiesti e delle “finestre” per l’accesso al pensionamento.

E’ possibile conoscere in anticipo l’importo della pensione rispettivamente calcolata con il sistema retributivo/misto o contributivo?
Sì!
Come tutti sanno l’esercizio dell’opzione donna comporta la scelta irrevocabile del sistema di calcolo contributivo della pensione.
Importante è quindi conoscere in anticipo l’importo della pensione calcolata con il sistema contributivo per paragonarlo a quello calcolato con il sistema retributivo, generalmente più favorevole.
Le possibilità sono due:
• Rivolgendosi al Patronato INAS che è perfettamente in grado di eseguire i due calcoli. Ovviamente il calcolo del Patronato è presuntivo ed indicativo;
• Rivolgendosi direttamente all’INPS.
Questa facoltà è poco conosciuta e quindi poco praticata ma esiste una disposizione di legge che obbliga l’INPS a effettuare , a richiesta, i due calcoli . La norma è contenuta nella legge nA 388/2000 art. 69 comma 6 che recita testualmente:
Ai fini dell’esercizio del diritto di opzione di cui all’articolo 1, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l’ente previdenziale erogatore rilascia a richiesta due schemi di calcolo della liquidazione del trattamento pensionistico rispettivamente con il sistema contributivo e con il sistema retributivo.
A onor del vero, la legge cita l’art. 1 comma 23 della legge n° 335/1995 (opzione per il sistema contributivo); ma, per analogia, la norma è applicabile anche all’opzione donna in quanto in ogni caso si tratta di conoscere i due importi di pensione per poter decidere a ragion veduta.
Per il raggiungimento dei 35 anni di contribuzione (1820 settimane) valgono tutti i contributi?
No, sono considerati validi solo i contributi utili per la maturazione dei requisiti della “vecchia” pensione di anzianità.
Sono esclusi quindi i contributi figurativi per
• Disoccupazione indennizzata
• Malattia senza l’integrazione da parte del datore di lavoro
La pensione derivante da opzione donna è integrabile al minimo pur essendo calcolata con il sistema contributivo che escluderebbe tale possibilità?
Anche in questo caso la riposta è positiva.
Lo chiarisce bene l’INPS nel messaggio N° 219 del 4 gennaio 2013 che al punto 10.1 recita: 10.1 Regime sperimentale di cui all’art. 1, comma 9, legge n. 243/2004: precisazioni
Tenuto conto che nei confronti delle donne che accedono al regime sperimentale di cui all’articolo 1, comma 9, della legge n. 243/2004 si applicano le sole regole di calcolo del sistema contributivo, nei confronti delle medesime continuano a trovare applicazione gli istituti della pensione retributiva o mista.

Con l’Inps non è mai festa, ma giornate brutte come queste non si vedevano dal dicembre 2011, quando il governo Monti varò il decreto che bloccò l’adeguamento al costo della vita delle pensioni di 6 milioni di italiani, colpevoli di percepire un assegno mensile superiore ai 1.443 euro lordi.

Come spesso capita, la nuova fregatura è arrivata a cavallo di una buona notizia: la speranza di vita degli italiani è aumentata, giungendo a 85 anni per le donne e 80,6 anni per gli uomini. Pollo di Trilussa permettendo, i sessantacinquenni di oggi sono destinati a vivere cinque mesi in più rispetto a chi aveva la stessa età nel 2013. Purtroppo, l’intero tempo guadagnato sarà trascorso al lavoro e non in attività più piacevoli. Dal 2019 la pensione di vecchiaia scatterà a 67 anni e per smettere di lavorare in anticipo serviranno 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne: cinque mesi in più di lavoro per tutti.

È l’effetto di un meccanismo introdotto nel 2009 da Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti e irrigidito da Elsa Fornero con quello stesso provvedimento del 2011: più aumenta la speranza di vita, più tardi si va in pensione. Il governo, però, può intervenire in qualunque momento per cambiare le regole e impedire l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, come gli stanno chiedendo in tanti.

Chi si oppone è l’Inps. Secondo il cui presidente, Tito Boeri, l’adeguamento dell’età della pensione alla speranza di vita (che funziona solo all’insù) dovrà proseguire anche oltre il raggiungimento della soglia dei 67 anni. Fermarsi, sostiene, comporterebbe una spesa ulteriore di 141 miliardi di euro sino al 2035, che l’istituto non potrebbe permettersi.

In questo modo l’Inps, con la complicità dei governi che si sono guardati bene dal riformarlo, scarica tutte le proprie rigidità sull’ unico elemento flessibile che c’è: l’assegno dei pensionati. La separazione contabile resta una chimera e i costi dell’assistenza (cassa integrazione, mobilità, integrazione al trattamento minimo…), che nessuno vuole tagliare, continuano a confondersi con le spese previdenziali, in un calderone dove i contributi dei lavoratori, che dovrebbero servire a pagare la loro pensione, finiscono spesso per finanziare tutt’altro. E poi hanno il coraggio di dire che siamo entrati nel sistema contributivo, nel quale ognuno riceve una pensione commisurata a quanto ha versato: magari.

Al resto dovrebbe provvedere oggi la Corte costituzionale. Nel marzo del 2015 i giudici delle leggi bocciarono il blocco dell’adeguamento delle pensioni voluto da Monti e Fornero. A quel punto l’esecutivo, passato nelle mani di Matteo Renzi, avrebbe dovuto restituire 24,1 miliardi di euro ai defraudati. Scelse invece di fare come gli squadristi dei centri sociali quando si presentano alle casse dei supermercati con i carrelli pieni di salumi e formaggi: una bella «autoriduzione» e l’esborso si ridusse a 2,8 miliardi.

Un’altra porcheria di Stato, che però stavolta la Consulta dovrebbe avallare. Due anni fa i suoi membri usarono il metro della decenza, stavolta sono orientati a non disturbare i manovratori Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan, i quali hanno già problemi serissimi a scongiurare l’aumento delle aliquote Iva e non saprebbero da dove tirare fuori i 30 miliardi di euro necessari per il rimborso. Così, ancora una volta, i pensionati pagheranno per tutti.

Sembra che ci saranno importanti novità per le pensioni anticipate e di vecchiaia in questo 2017. L’introduzione dalla nuova Ape aziendale rappresenta un ottimo compromesso tra le esigenze del lavoratore e quelle dell’azienda, quest’ultima infatti potrà licenziare il lavoratore in esubero abbassando nettamente i costi, dall’altra parte il lavoratore potrà beneficiare di un sostegno al reddito continuativo sino alla data della pensione, senza subire successivamente dei tagli elevati della prestazione. Peccato, però, che per concretizzare il cumulo manchi ancora tutta la parte operativa.

Ma come funzionerà precisamente l’Ape Aziendale? Chi è un libero professionista e, nel corso della sua carriera, ha cambiato diverse casse professionali, all’alba della pensione si ritrova con un emolumento pagato da ogni cassa diversa, il che, alla fine, porta ad una certa confusione.

In base a quanto chiarito, non è possibile, allo stato attuale, che siano liquidate le pensioni attraverso il cumulo perché, mancando le convenzioni tra l’Inps e le casse professionali, manca la piena operatività della misura.

Bisognerebbe mettere da parte quasi il50% del reddito, il 41% per la precisione, per garantirsi all’età della pensione (circa 67 anni), un assegno previdenziale in grado di garantire lo stesso tenore di vita. Ovviamente sommando anche l’assegno previdenziale pubblico.

Il confronto internazionale tra attuali redditi e future pensioni – condensato nel Libro bianco realizzato dall’Unione delle banche svizzere (Ubs) – colloca l’Italia agli ultimi posti in Europa (e nel mondo), per quanto riguarda le prospettive future di reddito. Il Dipartimento salute della banca svizzera ha preso in esame le aspettative pensionistiche di una donna di circa 50 anni, lavoratrice a tempo indeterminato ma attualmente senza previdenza integrativa. Ebbene la signora Jane, individuata dai ricercatori Ubs, per assicurarsi un identico tenore di vita nonostante la pensione generale già in accumulo dovrà darsi da fare.

E mettere da parte un discreto capitale. La Jane dello studio elvetico è una donna cosmopolita e vive tendenzialmente in una grande città (Milano, Londra, Parigi, Hong Kong, Monaco, Singapore, NewYork, Sydney, Taipei, Toronto o Zurigo). Per poter godere di un tenore di vita pari a quello attuale la “Jane italiana” dovrebbe accumulare ben il 41% del proprio reddito se cominciasse a 50 anni, per compensare l’assegno pubblico.

L’unico Paese del Vecchio Continente dove le signore possono ambire ad un tenore di vita pari (o quasi), all’attuale reddito medio è la Svizzera, che ha attuato sistemi di bilanciamento tali con la previdenza pubblica che consentono di garantirsi una pensione livellata sugli attuali livelli di reddito mettendo da parte “solo” l’11% del reddito.
Dalla Francia (39%), alla Germania (40%), dal Regno Unito (47%) agli Stati Uniti (49%), l’analisi Ubsè ben poco confortante: senza accumulare per tempo un dignitoso “salvadanaio previdenziale”, è quasi impossibile assicurarsi una vecchiaia serena.

In Italia solo dall’inizio degli anni Novanta si è cominciato a pensare ad una previdenza integrativa che possa in futuro compensare le perditi di reddito. Se negli anni Ottanta chi andava in pensione in Italia poteva contare su un assegno previdenziale intorno all’80/90% dell’ultima busta paga, ora il differenziale è aumentato sensibilmente (intorno al 70% e scenderà). C’è da dire che nell’analisi svizzera non viene tenuto conto del “tesoretto” tutto made in Italy del Trattamento di fine rapporto (Tfr, il 6,8% della retribuzione annua lorda), Che poi si tratta di un “salario differito”, corrisposto al lavoratore italiano a fine carriera. Nona caso i fondi pensioni negoziali o privati prevedono la possibilità di spostare dalle casse dell’azienda per cui si lavora ad un fondo pensione.
C’è poi una variabile – molto italiana per il peso che può avere – dell’incertezza. In sostanza l’Italia (così come il Giappone), scontano l’incertezza di un debito pubblico monstre che può avere ripercussioni anche sulla spesa previdenziale. Non sarebbe la prima volta che per far quadrare i conti i diversi governi intervengono su età del pensionamento, indici di rivalutazione e tassi di incremento. In sostanza: se in Australia il fattore incertezza pesa appena per il 2% nelle variabili pensionistiche future, da noi come in Giappone la variabile pesa per circa il 20%. Insomma, potrebbe non bastare neppure mettere da parte il 41% del reddito per garantirsi un identico tenore di vita.

 Il Presidente della Commissione Lavoro alla Camera, richiama l’attenzione, in vista della prossima legge di Bilancio, sulla situazione di coloro che risultino vincitori di concorso, e che a breve vedranno scadere le proprie graduatorie: “In vista della discussione sulla legge di bilancio, che inizierà il suo iter parlamentare al Senato, chiediamo al Governo di dare risposte alle centinaia di migliaia di vincitori ed idonei di concorso che al 31 dicembre p.v. vedranno scadere le proprie graduatorie”.

“A tal proposito – prosegue – in collaborazione con il Comitato Nazionale XXVII Ottobre, abbiamo presentato una risoluzione in Commissione Lavoro con la quale chiediamo al Governo di impegnarsi affinché vengano prorogate al 31.12.2018 tutte le graduatorie vigenti e di adottare provvedimenti di tipo normativo che agevolino l’interscambiabilità delle stesse tra varie amministrazioni pubbliche. Ci auguriamo che, il previsto pensionamento di circa 500.000 dipendenti pubblici nei prossimi 4 anni, favorisca il ricambio generazionale e i processi di innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione”, conclude.

Pensioni e previdenza: Cgil, Cisl e Uil annunciano l’apertura di una campagna di assemblee nei luoghi di lavoro!

Intanto, dal momento che le risposte sul fronte pensioni non arrivano e allora parte la macchina della mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil. I tre sindacati hanno annunciato l’apertura di una campagna di assemblee in tutti i luoghi di lavoro per informare e confrontarsi sugli incontri in atto con il governo sui temi della previdenza e del mercato del lavoro. Le assemblee si svolgeranno a partire dalla prossima settimana fino alla prima metà del mese di novembre. Dopo il varo della manovra, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, hanno scritto al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni per ottenere un incontro sulla legge di bilancio ed in particolare sul tema della previdenza e del mercato del lavoro. Ma al momento non è arrivata alcuna risposta. Di qui la decisione di partire con le assemblee, che potrebbero essere il preludio ad una mobilitazione generale.

Ape sociale ed anticipo pensionistico: la preoccupazione dei sindacati.

“Sciopero non è una parola abrogata”, aveva detto Susanna Camusso subito dopo il varo da parte del Consiglio di ministri della legge di bilancio. In diversi interventi e interviste rilasciate a vari media, la leader della Cgil ha poi ribadito che la manovra “favorisce le rendite e mantiene lo status quo”. A preoccupare il sindacato sono in particolare i dati riferiti all’esito delle domande per l’accesso all’Ape sociale e all’anticipo pensionistico per i precoci, definiti di “una gravità estrema”. Infatti, due domande su tre sono state respinte dall’inps.

“L’istituto e il governo devono immediatamente porre rimedio ad una situazione incredibile nella quale lo spirito e la lettera delle norme vengono ignorati, impedendo così a decine di migliaia di persone di accedere alle prestazioni cui hanno diritto”, ha detto il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli, commentando quanto emerso dall’audizione alla Camera del direttore generale dell’Inps Gabriella Di Michele. “Ma oltre a questo, sarà necessario, per il prossimo anno – ha aggiunto Ghiselli – apportare delle modifiche sostanziali a questi strumenti per permettere a molti più lavoratori di poterne usufruire, in una condizione di maggior certezza procedurale e normativa”.

Pensioni anticipate: ape sociale e precoci. Accolta una domanda su tre!

Le domande per accedere alla pensione, utilizzando le regole per l’ape sociale e per i lavoratori precoci, sono state 65.972 ma di queste solo 20.957 sono state accolte, mentre altre 44.306 sono state respinte. Quelle residue sono ancora in fase istruttoria. Solo una persona su tre, tra quelle che hanno provato a utilizzare le procedure speciali, hanno ottenuto una risposta positiva. I dati sono stati forniti dalla direttrice generale dell’Inps, Gabriella Di Michele, nel corso dell’audizione in commissione Lavoro alla Camera. Nel dettaglio, solo una domanda su tre dell’ape sociale è stata accolta, mentre il 64,9% delle richieste è stato respinto. Peggio è andata per chi ha provato ad andare in pensione come lavoratore precoce: solo il 28% ce l’ha fatta, mentre il 70,1% ha avuto una risposta negativa e la quota restante è in attesa che termini la fase istruttoria. Le domande che interessano l’ape sociale sono 39.721 di cui 13.601 sono state accolte e 25.895 respinte, mentre 425 sono in fase d’istruttoria per carenza di documentazione. Per i lavoratori precoci, invece, in totale sono arrivate 26.251 domande di cui 7.356 sono state accolte e 18.411 respinte, mentre 484 sono in fase d’istruttoria.

Pensioni anticipate: le ultime dichiarazioni di Gabriella Di Michele sulla possibilità di estensione dell’Ape Sociale.

Il direttore generale dell’Inps, Gabriella Di Michele, in audizione nella commissione Lavoro della Camera, ha proposto di estendere la platea dell’Ape, rendendone più facile l’accesso ai disoccupati e alle persone che svolgono lavori gravosi. Attualmente, anche riesaminando le domande ”alla luce delle più favorevoli interpretazioni, la platea dei soggetti di cui può essere accolta la domanda sarà sempre abbastanza esigua rispetto a budget a disposizione, che continua a essere abbastanza nutrito”, spiega il dg. Quindi, essendo una sperimentazione avviata nel 2017, si propone di perfezionare lo strumento a partire dal prossimo anno. L’Inps chiede, inoltre, una ”semplificazione dei documenti da allegare mediante utilizzo più esteso dell’autocertificazione”. E si propone, per i lavoratori disoccupati, ”una semplificazione dei requisiti d’accesso anche al fine di rendere più agevole la verifica sulla base delle banche dati disponibili”. Infine Di Michele chiede la possibilità di ”valutare l’accesso all’ape sociale in qualsiasi caso di cessazione del rapporto di lavoro e, quindi, anche a tempo determinato e non solo in caso di licenziamento”.

Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha firmato il decreto d’attuazione dell’Ape sociale, misura che consentirà ad alcune categorie di lavoratori in possesso di determinati requisiti, di accedere alle pensioni in maniera anticipata con il costo interamente a carico dello Stato.

Vediamo quali:

1) lavoratori con età anagrafica minima di 63 anni con anzianità contributiva di almeno 30 anni che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con un handicap grave;
2) lavoratori con età anagrafica minima di 63 anni con riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (che può essere diversa dalla percentuale riconosciuta d’invalidità), in possesso di una anzianità contributiva di almeno 30 anni;
3) disoccupati con età anagrafica minima di 63 anni con anzianità contributiva di almeno 30 anni che abbiano cessato il sussidio (di disoccupazione) da almeno tre mesi.

Il percorso per l’entrata in vigore del provvedimento non è ancora completo: il decreto deve essere approvato dal Consiglio di Stato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. L’INPS deve quindi attendere la pubblicazione del decreto per poter emettere le circolari operative ed attivare la procedura online, per cui è probabile che la data del 1°maggio 2017 (che tra l’altro è festivo quindi inizierebbe comunque il 2 maggio), possa slittare.

L’Ape Sociale è infatti una misura sperimentale che sarà in vigore dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018 vincolata allo stanziamento annuale di spesa fissato dal legislatore, che per l’anno 2017 è di 300 milioni.

Le domande per l’accesso all’Ape sociale, potranno essere presentate dal 1 maggio al 30 giugno 2017 (salvo possibili slittamenti delle date); l’Inps stilerà una graduatoria ed accetterà altre domande solo se rimarranno disponibili risorse dai 300 milioni stanziati. Se invece saranno esauriti, le domande “ammesse” ma rimaste senza copertura finanziaria, passeranno all’anno successivo. Secondo le stime, potrebbero essere accolte tra le 30 e le 35mila domande.

Per quanto riguarda invece l’Ape volontaria (o di mercato), ovvero la possibilità di pensione anticipata con prestito finanziato dalle banche e restituzione a rate una volta maturata la pensione, il relativo decreto attuativo non è stato ancora predisposto.

Concludendo si ribadisce che il decreto relativo all’Ape Sociale non è ancora operativo in quanto bisogna attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la conseguente Circolare operativa INPS; per le relative domande e verifiche dei requisiti di accesso all’Ape Sociale occorre rivolgersi direttamente agli sportelli INPS, anche tramite i servizi offerti dalle Sezioni Provinciali ENS, quali il Punto Cliente INPS ed il servizio Recall.


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