Westfield Milano, nasce il centro commerciale più grande d’Europa: molti posti di lavoro


Questo articolo in breve

I lavori cominceranno a fine di quest’anno per concludersi, stando alle tappe del programma nel 2012 e Segrate Milano il luogo dove verrà costruito, potrà essere orgogliosa di essere al centro dell’attenzione ospitando il secondo centro commerciale più grande d’Europa.


Adesso la notizia ufficiale, dopo due settimane di incontri, e riscontri tecnici masterplan, il comune di Segrate, alle porte di Milano, ha dato il via libera ai lavori per la costruzione di quello che è già conosciuto come il centro commerciale più grande d’Europa. Si chiamerà “Westfield”, come l’omonimo colosso australiano, che per l’occasione ha costruito una società con la Arcus Estate, controllata dal gruppo imprenditoriale di Antonio Percassi, noto per aver ‘firmato’ diversi altri enormi centri commerciali. L’atto dell’amministrazione cittadina è arrivato dopo la firma lo scorso mese di un protocollo tra la Città Metropolitana di Milano, la Regione Lombardia e, appunto, il comune di Segrate.

I numeri del progetto parlano da soli: 300 negozi e 50 boutique e atelier di moda, 240mila metri quadrati di superficie complessiva, ristoranti, un cinema con sale per 25000 persone. I soggetti proponenti sono pronti a un investimento da 1,4 miliardi di euro, sicuri che la struttura una volta a regime attirerà 66mila visitatori al giorno in media, per oltre 2 milioni l’anno. Diecimila i posti auto previsti, mentre il traffico sarà sostenuto da nuove vie d’accesso che saranno appositamente costruite e per cui sono attese le gare d’interesse pubblico nei prossimi mesi. L’inizio dei lavori veri e propri è previsto per la fine del 2018, mentre è già iniziata la bonifica dell’area della Dogana dove sorgerà il centro commerciale. L’apertura da cronoprogramma avverrà nel 2021. L’impatto occupazionale previsto è di addirittura 10.000 posti di lavoro in tutta l’area metropolitana.

Il sindaco di Segrate Paolo Micheli, con un lungo comunicato, ha sottolineato come la sua amministrazione si è trovato ormai con un iter troppo avanzato per poter rivedere il progetto, e di aver lavorato per ridurre le criticità emerse, puntando sull’impatto occupazionale e sul miglioramento del servizio di trasporto pubblico e il potenziamento viario. “Abbiamo lavorato per la realizzazione di una nuova stazione ferroviaria “di porta” con la fermata dell’Alta Velocità, per il progetto di prolungamento della metropolitana M4 da Linate a Segrate, per concretizzare le misure di salvaguardia degli esercenti segratesi. – spiega Micheli – I lavori di costruzione della Viabilità Speciale (o Cassanese Bis) che incanalerà il traffico d’attraversamento lontano dai nostri centri abitati sono ripartiti dopo troppi anni di stallo e ora proseguono rapidamente. Il progetto è ridurre l’attuale Cassanese a due sole corsie, riservando le altre ai trasporti pubblici che quindi viaggeranno veloci. Il miglioramento della viabilità cittadina e la creazione di molti posti di lavoro sono le più importanti opportunità che il Centro Westfield porterà e per concretizzarle sto lavorando assiduamente fin dall’inizio del mandato con tutta la Giunta e la maggioranza che mi sostiene”.

Masterplan per il Mezzogiorno Linee guida L’analisi, le riflessioni e le proposte che seguono introducono il Masterplan fornendo, senza la pretesa di essere esaustive, il quadro di riferimento entro cui si collocano le scelte operative che compongono i 16 Patti per il Sud: 15 con le Regioni  e le Città Metropolitane  ai quali si aggiunge il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) di Taranto. Il Masterplan non è un esercizio accademico ma un processo vivo di elaborazione condivisa con istituzioni, forze economiche e sociali, ricercatori, cittadini. In questo spirito, questa introduzione è aperta ai contributi che verranno da tutti coloro che vogliono scrivere con noi una pagina nuova per il Mezzogiorno d’Italia.

PREMESSA Se nel periodo 2001-2013 è tornato ad allargarsi il divario di produzione e reddito tra Mezzogiorno e Centro-Nord, oggi si avvertono alcuni primi segnali positivi. Infatti, a partire dal secondo trimestre del 2015 si è osservato un miglioramento sia in termini di occupazione che di esportazioni verso i mercati internazionali più marcato nel Mezzogiorno rispetto alla media nazionale. Sappiamo bene che questi segnali si innestano su una situazione di partenza più arretrata: il Pil prodotto nel Mezzogiorno è pari solo al 20% del Pil nazionale; la quota del nostro export prodotta nel Sud è ancora più bassa, il 10%; il tasso di occupazione è il 42,6% contro un dato nazionale al 56,3% (dati 2015). Ma sono segnali da non sottovalutare, perché ci dicono che l’economia del Mezzogiorno è una realtà viva, con potenzialità che vanno valorizzate proprio per invertire la tendenza e recuperare il divario rispetto al Centro-Nord. Di più: l’economia italiana nel suo insieme ha bisogno che il Mezzogiorno cambi passo e diventi un’area di crescita che interagisca positivamente con l’economia del resto del Paese, sia in termini di apporto alla produttività complessiva dell’economia italiana e di competitività e capacità di esportazione sia in termini di ampliamento del mercato interno. Il Masterplan per il Mezzogiorno deve partire da qui, dai punti di forza e di vitalità del tessuto economico meridionale – aerospazio, elettronica, siderurgia, chimica, agroindustria, turismo, solo per citarne alcuni – per collocarli in un contesto di politica industriale e di infrastrutture e servizi che consentano di far diventare le eccellenze meridionali veri diffusori di imprenditorialità e di competenze lavorative, attrattori di filiere produttive che diano vita a una ripresa e a una trasformazione dell’insieme dell’economia del Mezzogiorno. Tenendo presente che poggia su una dotazione economica consistente: parliamo – come più avanti vedremo meglio nel dettaglio – di circa 98 miliardi, da qui al 2023, da destinare allo sviluppo. Si tratta di un progetto che non cala dall’alto le soluzioni ma fa leva sulle capacità e sulla voglia di mettersi in gioco dei cittadini e delle istituzioni meridionali: mettere in movimento la società civile del Mezzogiorno affinché diventi protagonista di una nuova Italia, l’Italia della legalità, della dignità del lavoro, della creatività imprenditoriale, in una parola del progresso economico e civile.

RICOMINCIO DA TRE Non si parte da zero! Il Governo e le istituzioni regionali e locali non sono stati fermi a hanno già operato su almeno tre terreni fondamentali per ridare speranza al mezzogiorno d’Italia, tre terreni molto concreti di azione meridionalista. Il recupero del ritardo nell’utilizzo dei Fondi strutturali stanziati nel ciclo di programmazione europea 2007- 13: la percentuale di utilizzo dei Fondi lasciata in eredità dal Governo Berlusconi era solo del 15% al 31 dicembre 2011, cioè al termine del quinto anno del periodo programmatorio; abbiamo lavorato con Ministeri e Regioni responsabili dei programmi per arrivare al 100% dell’ utilizzo dei Fondi entro la scadenza del 31 dicembre 2015. Gli ultimi dati disponibili confermano la previsione di pieno assorbimento. E’ stato un obiettivo molto impegnativo e difficile da raggiungere, a causa dei ritardi del passato, ma noi ci siamo impegnati al massimo: abbiamo costituito, d’accordo con la Commissione Europea, task-force dedicate per ognuna delle Regioni in ritardo e abbiamo sollecitato e supportato le Regioni e gli Enti Locali ad accelerare l’utilizzo dei fondi. Si è trattato di una operazione fondamentale che ci ha consentito di evitare che il Mezzogiorno perdesse le risorse stanziate dalla Commissione Europea e dal Governo nazionale. L’avvio della Programmazione 2014-20: in linea con quanto previsto nell’Accordo di partenariato si è articolata in 51 programmi operativi e ha consentito di avviare l’utilizzo dei nuovi Fondi immediatamente dopo la rendicontazione di quelli 2007-13, ossia a partire dall’inizio del 2016. Una componente rilevante della “cassetta degli attrezzi” è quindi già pronta. La risposta alle crisi aziendali: siamo intervenuti, con strumenti come i contratti di sviluppo e gli Accordi di programma, a fronteggiare situazioni di crisi di singole aziende e di aree a rischio di desertificazione industriale. L’obiettivo è stato ed è quello di salvaguardare le possibilità di recupero per parti importanti del tessuto produttivo meridionale, precondizione per mantenere aperta la prospettiva di una più generale ripresa produttiva e occupazionale. Si pensi, per limitarci ad alcuni esempi, a crisi come quella della ex Micron di Avezzano, della Whirlpool e della Firema di Caserta, della ex Irisbus di Avellino, dell’Ilva di Taranto, della Bridgestone di Bari, della Natuzzi nelle Murge, dell’Ansaldo Breda di Reggio Calabria, della ex Fiat di Termini Imerese, della conversione alla chimica verde dei poli di raffinazione di Gela e di Porto Torres, della ripresa dell’Eurallumina di Portovesme. E si pensi agli Accordi di programma e ai Protocolli d’intesa per aree di crisi industriale localizzate nel Mezzogiorno come Taranto, le Murge, Gela, Termini Imerese, il Sulcis, Porto Torres, le cinque aree individuate in Campania. Si tratta ora di dare un respiro più ampio a queste azioni nel quadro di una più generale politica per il Mezzogiorno, perseguendo anche l’ipotesi della discontinuità che si è dimostrata vincente nella soluzione di importanti crisi aziendali. Ma attenzione, non un “libro dei sogni” ma una politica fatta di obiettivi concreti, di strumenti realmente attivabili, di impegni verificabili.

UNA POLITICA INDUSTRIALE PER IL MEZZOGIORNO L’esperienza passata della Cassa per il Mezzogiorno e delle Partecipazioni Statali si è caratterizzata per il tentativo di portare dall’esterno del tessuto economico meridionale iniziative produttive che costituissero “poli” di sviluppo per il resto del territorio: senza nulla togliere a quell’esperienza, che ha contribuito a formare competenze lavorative e cultura industriale che oggi possono fare da base per la nuova fase di cui c’è bisogno, resta il fatto che i “poli” non sono stati in grado di generare un tessuto produttivo articolato e completo e che il panorama dell’economia meridionale è rimasto a macchie di leopardo. Il Masterplan, come si è detto, deve invece partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l’attivazione di filiere produttive autonomamente vitali. Il primo tassello del Masterplan riguarda allora le condizioni di contesto, che possiamo articolare in due ambiti: le regole di funzionamento dei mercati e la predisposizione di fattori di produzione comuni, ossia infrastrutture e capitale umano. Per quanto riguarda le regole, il Masterplan parte dall’azione di liberalizzazione e riforma dei mercati impostata dai governi di centrosinistra della seconda metà degli anni Novanta e punta per un verso, abbattendo le protezioni monopolistiche e le rendite grandi e piccole, a dare spazio a tutti coloro che mettano in gioco le proprie capacità imprenditoriali e lavorative e, per altro verso, a mettere in moto processi di aggregazione delle aziende di servizio pubblico locale per farne realtà dinamiche che, dando respiro industriale ai servizi, ne accrescano l’efficienza e l’efficacia nel rispondere ai bisogni delle comunità locali. In questo quadro, giocano un ruolo essenziale anche le nuove regole fiscali che stiamo costruendo e che puntano a sostenere la capitalizzazione delle imprese – come la cosiddetta ACE che intendiamo rafforzare ulteriormente – e a rendere più attrattivo l’investimento – come la riduzione dell’IRES varata con la Legge di Stabilità. E giocano un ruolo essenziale regole di funzionamento dei mercati finanziari – Fondo Centrale di Garanzia, minibond – e azione dei soggetti bancari – come la Banca per il Mezzogiorno – che sostengano l’accesso al credito per tutte le imprese sane. Per quanto riguarda i fattori di produzione comuni, l’attenzione va posta prima di tutto su scuola e formazione come settori essenziali non solo per la qualità della vita dei cittadini ma per la formazione del fattore di competitività proprio di una economia avanzata, ossia il fattore umano. Qui ci vuole insieme severità – nel senso che al Mezzogiorno più che altrove è necessaria la svolta che porti il sistema educativo a valorizzare il merito – e riequilibrio nelle risorse di finanziamento e di docenza verso i territori più arretrati: si tratta di utilizzare la riforma della Buona Scuola come leva decisiva in questa direzione. E si tratta di utilizzare i Fondi europei dei Programmi operativi nazionali “Per la Scuola” e “Sistemi di politiche attive per l’Occupazione” per curare la riqualificazione dei lavoratori e la loro occupabilità. E grande attenzione deve essere posta al superamento del gap infrastrutturale che separa il Sud dal resto del nostro Paese. Serve una svolta nella capacità di direzione pubblica: capacità di programmazione (le riprogrammazioni che si sono rese necessarie per accelerare l’utilizzo dei Fondi europei 2007-13 segnalano errori di programmazione che non devono ripetersi con i Fondi 2014-20); semplificazione amministrativa, sfoltimento dei vincoli normativi e regolamentari e attribuzione chiara di responsabilità a ogni amministrazione; riforma del Titolo V della Costituzione in modo da superare le sovrapposizioni di competenze tra livelli di governo. E’ ora di mettere la parola fine a incertezza regolatoria e costi collaterali che aumentano l’onere per la collettività e azzoppano la possibilità stessa di realizzare le infrastrutture: abbiamo cominciato con lo Sblocca Italia e dovremo procedere con operazioni di snellimento radicali. E inoltre, facendo leva sull’efficacia di una regolazione stabile e forte, fare delle risorse pubbliche italiane ed europee la leva per mobilitare risorse private nella realizzazione di progetti al servizio dell’interesse generale. Un ruolo chiave in questa direzione svolgeranno Cassa Depositi e Prestiti e Banca Europea degli Investimenti. Il Governo è impegnato a definire e attuare – anche con l’apporto di imprese partecipate dallo Stato (Terna, Snam, FS, Anas) – progetti infrastrutturali decisivi per connettere il Mezzogiorno al resto del Paese, all’Europa, ai mercati internazionali: dal Piano Banda Ultralarga – per il quale sono stati già stanziati 3,5 miliardi sul Fondo Sviluppo e Coesione e circa 2 miliardi sui Programmi Operativi Nazionali e Regionali – all’Alta Velocità sugli assi adriatico e tirrenico e sulla Napoli-Bari-Taranto e all’ammodernamento del sistema ferroviario in Sicilia e Sardegna; dal Piano della portualità e della logistica – che punta a fare dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno un hub delle merci per tutta l’Europa – al Piano degli aeroporti che rafforza le linee da e per il Sud e al risanamento e sviluppo degli assi viari portanti; dalle
interconnessioni che superano i principali colli di bottiglia che ostacolano il funzionamento del sistema
elettrico alle infrastrutture del gas – rigassificatori, interconnessioni con l’estero, dorsale Sud-Nord – che
aumentano la sicurezza degli approvvigionamenti di tutte le regioni e, aumentando la concorrenza,
riducono il prezzo del gas.


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