Arianna Rapaccioni chi è: moglie di Sinisa Mihajlovic? anni, figli, lavoro, malattia e vita privata


Arianna Ripaccioni non ha mai fatto mancare la presenza e soprattutto il tuo affetto ha Sinisa Mihajlovic, specialmente nei peggiori giorni della tua malattia. lo stesso Mihalovici ha voluto sempre ricordare di quanto tua moglie sia stata importante nel sostenerlo nella brutta esperienza della Leucemia. Ma anche i suoi amici e colleghi.

A partire da Zlatan Ibrahimovic, stella svedese del Milan che anche lui in questi giorni ha dovuto affrontare il coronavirus. Ibrahimovic è risultato per fortuna negativo agli ultimi due tamponi.


Arianna Rapaccioni: chi è la moglie dell’allenatore

Per quanto riguarda la sua vita sentimentale, possiamo dire che Sinisa Mihajlovic è legato da anni ormai a sua moglie, Arianna Rapaccioni. Un amore, benedetto da Dio nel 2005 e messo a dura prova sopratutto nell’ultimo periodo con l’arrivo della sua inaspettata malattia.  Arianna è nata a Roma e sin da piccola ha sempre mostrato una bellezza particolare.

A 20 anni, infatti, inizia le prime collaborazioni televisive come soubrette, e raggiunge il successo con il programma Luna Park negli anni 90, il programma all’epoca condotto da Fabrizio Frizzi. La Rapaccioni cresce nella borgata del Trullo, da una famiglia modesta. Poi la sua vita è cambiata e oggi conduce una vita molto agiata, assieme ai suoi cinque figli, avuti tutti da Sinisa. I figli della Rapaccioni sono Virginia, Viktorija, Miroslav, Dušan e Nicholas. Soltanto Marco Mihajlović.

Il dramma della malattia

Come tutti sappiamo lo scorso anno, l’ex calciatore ha rivelato alla stampa la sua malattia. Da tempo è affetto da leucemia e proprio sua moglie più volte ha ringraziato tutti per l’affetto e la solidarietà mostrata. Non solo amici e colleghi, ma anche i fan che tramite messaggi o azioni hanno sempre mostrato la loro solidarietà e ammirazione nei confronti del proprio compagno.

La malattia e Simek, il terzino «con la faccia da killer» che minacciò di ammazzarlo se solo avesse superato la metà campo. Le cure contro la leucemia mieloide acuta che lo ha colpito a luglio di un anno fa e la “Tigre” Arkan, suo amico condannato dallaCorte dell’Aja come criminale di guerra. E poi “Pipe”, «quasi un fratello»,che allo scoppio del conflitto tra serbi e croati bruciò la casa dei suoi genitori. Boskov e Totti, Mantovani eMancini, Cragnotti e la difesa della Lazio, con Nesta che in mezzo a lui, Stam e Fernando Couto, tre che non avresti voluto incontrare di notte in un vicolo , sembrava «un lord inglese con bombetta e ombrello».

Moratti e Berlusconi, Ronaldo e Ibrahomivic, di tutto e di più: nell’autobiografia La partita della vita scritta conAndrea DiCaro, vicedirettore della Gazzetta delloSport, Sinisa Mihajlovic si racconta come ha vissuto.Senza sconti: a se stesso e agli altri. Ci sono cose nel libro che non ha raccontato e tenuto per sé? «Nulla. Posso aver dimenticato qualcosa, ma le cose importanti ci sono tutte. E tutte rispondono a verità.Lamia, per lo meno ».

Da quale esigenza nasce questo lavoro? «Avevo intenzione di raccontare la mia esistenza, ma un po’ più avanti. Poi è arrivata la malattia e ho capito che poteva essere il momento giusto, anche per aiutare chi si trova ad affrontare la battaglia che ho combattuto io. Prima o poi ci sarà un altro libro, che partirà dal giorno in cui ho ricevuto un midollo osseo da un donatore americano. Intanto ho fatto questo, che racconta le tante vite che ho già vissuto. Almeno due: la prima comincia il20febbraio1969, quando sono nato.

La seconda il 29 ottobre 2019, all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove mi hanno sottoposto al trapianto». Proprio a Sportweek, disse a gennaio: ho imparato a godermi le piccole cose cui prima neanche facevo caso. A distanza di dieci mesi è ancora lo stesso? «Ora sono sul terrazzo di casa mia a Roma, sotto un bel sole e con un sigaro in mano. È una cosa che prima non facevo mai.

Sempre tappato in casa.Adesso, invece, ogni volta che posso sto all’aperto. Quando uno passa quello che ho passato io, inchiodato su un letto per mesi in una stanzetta tre metri per tre, respirare l’aria fresca è una cosa impagabile». Oggi cosa le fa paura? «La paura è un sentimento positivo, almeno fino a un certo punto.Uno che non ha paura di niente è un incosciente. Bisogna avere paura, ma bisogna anche essere più forti di essa, avendo il coraggio di domarla. Più coraggio hai, meno paura avrai.

Ho sempre cercato di incoraggiare gli altri – i miei figli, i miei calciatori – invitandoli però a non dimenticare mai di avere paura. Perché, con quella, sei più concentrato, più attento. Non mi piacciono quelli che dicono: io non ho paura di niente.Potrei dirlo pure io, perché quando uno sopravvive a due guerre o alla leucemia, cosa dovrebbe ancora temere? Invece ho paura. Però ho anche il coraggio di affrontarla.

E so che vincerò io». Perché ne è così sicuro? «Perché tutti i giorni, da quando sono ragazzo, alleno la mia testa. Corro dieci chilometri ogni mattina. Tanti mi dicono: è faticoso, devi fermarti. Invece vado avanti: devo allenare la mia mentalità, devo essere più forte di chi mi dice “non ce la fai”.Non so se dipende dall’infanzia che ho vissuto in una famiglia povera e in un Paese duro com’era la Jugoslavia, dove essere duro a tua volta significava sopravvivere, ma è una cosa che mi porto da allora, dalla fame, dalle sofferenze, dalle cose brutte che ho vissuto. Oggi sono ricco, ma in nessun momento ho dimenticato da dove arrivo, della merda che ho mangiato per tanti anni». Come dorme oggi? «Dopo le partite non dormo mai, ma per l’adrenalina, perché le riguardo, perché sono contento o incazzato.

La sera guardo la tv.Quando rivedo la pubblicità che passava mentre ero in ospedale, mi vengono i brividi. Ricordo tutti gli spot. Li riconosco dalla prima immagine. Ho i brividi anche quando sento quel cazzo di bip, bip, bip dei camion dell’immondizia, uguali al suono delle macchine della chemio. Sono pensieri e ricordi che cerco di mettere da parte, ma che ho impressi nella mente. In qualche modo mi fa anche piacere ricordarli. Pochi giorni fa, sono andato in ospedale per gli esami di controllo. In auto, mentre lo vedevo avvicinarsi sullo sfondo, mi è venuta quasi nostalgia del Sant’Orsola. Del modo in cui ho affrontato una prova tanto difficile come la leucemia. ne sono orgoglioso».


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