Squid Game è un fenomeno mondiale sia per il numero di spettatori sia perché i più giovani ne imitano le dinamiche


Questo articolo in breve

Alla scuola elementare dell’istituto Santa Dorotea, nel quartiere Appio, sono dovuti intervenire i Carabinieri: i ragazzi giocavano prendendosi a spintoni, ceffoni e mimando il gesto della pistola contro chi perdeva. A Torino gli studenti di una scuola media prendevano a schiaffi chi non riusciva a far capovolgere i righelli sul pavimento lanciandogli contro un altro righello; chi non voleva partecipare si trovava con il contenuto dello zaino lanciato dalla finestra.


A Bresso, alle porte di Milano, i bambini di un’elementare giocavano a tiro alla fune usando le felpe come fossero funi e mettendo in palio la possibilità per la squadra vincitrice di picchiare i perdenti. Storie di ordinari intervalli che si ripetono, come si suol dire in questi casi, dalla notte dei tempi? Non proprio.

Perché c’è un minimo comun denominatore che lega questi episodi: Squid Game. Il gioco del calamaro (questa è la traduzione letterale) è un successo televisivo planetario: la serie, che ha debuttato su Netflix il 17 settembre, ha totalizzato 111 milioni di visualizzazioni in ventotto giorni diventando il più grande esordio tra le serie originali della piattaforma. La trama è semplice. Un uomo sommerso dai debiti è invitato a partecipare a una serie di giochi per bambini assieme ad altre 455 persone che condividono le sue stesse difficoltà; in palio ci sono 33 milioni di euro, somma che sale ogni volta che un concorrente perde, venendo ucciso.

I giochi ai quali gli sventurati protagonisti partecipano, mettendo in palio la loro stessa vita, vengono in parte imitati dai ragazzi. «Dall’esordio della serie abbiamo iniziato a ricevere segnalazioni da genitori e maestri preoccupati per il comportamento dei bambini», rivela a Gente Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione Carolina, l’associazione dedicata a Carolina Picchio, la prima vittima di cyberbullismo morta suicida a 14 anni. «Il fatto è che un programma televisivo teoricamente vietato ai minori di 14 anni arriva ai nostri ragazzi, non solo attraverso Netflix ma anche con i video condivisi su tutte le piattaforme social (su TikTok l’hashtag dedicato alla serie ha totalizzato 120 miliardi di visualizzazioni, ndr)», denuncia Zoppi.

La Fondazione ha avviato una petizione online per chiedere al Garante dell’Infanzia e a quello delle Comunicazioni di intervenire: «Non vogliamo una censura, né bloccare la messa in onda della serie ma una maggiore attenzione ai pericoli del mondo virtuale», spiega e polemicamente sottolinea come «per i cambiamenti climatici c’è sempre maggiore attenzione; per i problemi legati ai rischi che i nostri figli possono correre navigando in Rete c’è quasi il totale disinteresse».

La petizione ha già raccolto oltre ottomila firme e la Fondazione sta per avviare una serie di incontri con le famiglie per spiegare come affrontare questi problemi. Perché, non bisogna dimenticarlo, sempre più spesso i bambini vengono lasciati soli di fronte a immagini come quelle di Squid Game. Ma la colpa di chi è? «Il problema non è la serie ma la pervasività con cui queste immagini e questi messaggi entrano nella vita dei piccoli, senza alcuna protezione», spiega a Gente Alberto Pellai, psicologo dell’età evolutiva e autore con Barbara Tamborini di Vietato ai minori di 14 anni (DeAgostini, 15 euro).

«È come se nel bel mezzo di un cartone animato comparissero filmati pornografici: si tratta di scene ad alto impatto emotivo, troppo forti da metabolizzare per le competenze psicologiche di un bambino». In realtà, secondo lo psicologo, si tratta di situazioni “complicate” anche per un adulto: «Per poterle reggere devi desensibilizzarti», spiega. «È un processo di immunizzazione che finisce con il normalizzare i contenuti più violenti». In altre parole, a forza di vedere persone uccise perché perdono a un gioco, la punizione letale diventa normale.

Il dibattito è aperto e, visto il successo di Squid Game, è anche mondiale. Negli Stati Uniti, il weekend di Halloween ha fatto da spartiacque: mentre i siti di e-commerce registravano record di ricerche per i costumi della serie, molti presidi hanno vietato ai loro alunni di indossarli perché «inappropriati». In Belgio, una mamma è comparsa davanti alle telecamere per raccontare come la figlia di 7 anni fosse tornata a casa piena di lividi per aver perso a 1, 2, 3 stella!, e ora si sta chiedendo alle scuole di intervenire. Ancora di più in Gran Bretagna dove si sta prendendo in considerazione addirittura il divieto di trasmetterla.


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