Yara Gambirasio il film tra i più visti al mondo su Netflix, ma spuntano tante critiche


Questo articolo in breve

Sapevo che prima o poi sarei riuscito a trovare la mamma dell’assassino perché in paese avevo lavorato tanti anni e tutti si fidavano di me. Alla fine è successo”. Lo dice Giovanni Mocerino, 65 anni, oggi tenente dei carabinieri in pensione, commentando il film, in uscita sul canale televisivo Netflix, “Yara”, prodotto da Taodue e diretto da Marco Tullio Giordana.


Ripercorre la storia dell’omicidio di Yara Gambirasio e soprattutto l’indagine, unica nel suo genere, che portò in quattro anni alla scoperta del colpevole del delitto: Massimo Giuseppe Bossetti, oggi 51 anni. Il maresciallo – molti lo chiamano ancora così – è stato insignito dei gradi di ufficiale proprio dopo aver assistito giorno per giorno il pm Letizia Ruggeri, grande protagonista della storia vera e di quella raccontata nel film. Mocerino ha ripercorso con Giallo i momenti salienti di quell’inchiesta.

Era in servizio nell’ufficio di polizia giudiziaria della Procura quando il 26 novembre del 2010 a Brembate di Sopra (Bergamo) fu denunciata la scomparsa della ginnasta tredicenne. In precedenza era stato comandante della stazione di elusone, in Val Seriana.

Proprio nei luoghi dai quali provenivano il papà naturale, ovvero Giuseppe Guerinoni, e la mamma di Ignoto 1, Ester Arzuffi Ricorda Mocerino: «Avevo lavorato come maresciallo nella Val Seriana e nella Valle del Riso, in particolare a Gorno, il paese di Guerinoni.

Quindi conoscevo davvero tutti. Per questo motivo, dopo che si capì che la traccia di Ignoto 1, trovata sugli slip e sui leggings di Yara, portava a una famiglia che abitava in Val Seriana, io tornai in quei luoghi a me familiari». La scoperta del cadavere di Yara, nel film è ben descritta fin dalla scena iniziale, quando l’a-eromodellino di Ilario Scotti cadde per errore nel campo di Chignolo d’Isola, dove giaceva da tre mesi il corpo della piccola.

Ha rappresentato una svolta importante nel caso perché – come disse l’anatomopatologa Cristina Cattaneo (figura ignorata nel film) – i cadaveri spesso “parlano” E il corpo di Yara “parlò”, restituendo quella traccia genetica maschile sconosciuta, definita Ignoto 1, proprio in un punto dove nessun altro, se non l’assassino, avrebbe potuto lasciarla, cioè nella biancheria intima.

Tutta questa parte è ben rappresentata nel film, anche se c’è un particolare, che fu poi fondamentale per individuare il padre, la madre e l’assassino, che nel film non è molto considerato, ma che lo stesso Mocerino tiene a sottolineare.

Continua l’ufficiale: «Quando sembrava che nessuno dei tanti Dna che prelevavamo nella zona di Brembate ci desse una risposta, fu il commissario Stefano Bonafini della squadra mobile di Bergamo, oggi questore, ad avere l’intuizione di controllare i frequentatori della discoteca “Sabbie Mobili”, vicina al campo di Chignolo.

Così trovammo Damiano Guerinoni. Non c’entrava nulla, ma come rivelavano le indagini genetiche era imparentato con il papà di Ignoto 1 per via paterna. Nel film non si dà atto di questa indagine, ma è stata incredibile e tutti ci abbiamo creduto fino in fondo, tutti ci abbiamo lavorato insieme: polizia, carabinieri e pm». Da quel giorno, lo ha ricordato Mocerino, fu creato un pool formato dai Ros e dallo Sco (i reparti speciali dei carabinieri e della polizia) per risolvere i grandi delitti.

Nel film è proprio la pm Ruggeri, interpretata da una convincente Isabella Ragonese, la protagonista. Continua Mocerino, che ancora oggi abita a Clusone: «Con la dottoressa alla fine si era creata una vera e propria amicizia. Alcune scene del film sono un po’ romanzate, ma ci sono anche tanti episodi reali. Anzi, dirò di più: nella realtà sono capitate cose che potrebbero persino superare la finzione del cinema».

A che cosa si riferisce in carabiniere? Ecco la risposta: «Tornando alla ricerca della mamma di Ignoto 1, ovvero la misteriosa ragazza con la quale Guerinoni aveva avuto una storia e un figlio, ricordo le signore anziane che sfilarono nel mio ufficio a Clusone per venire a sottoporsi al test del Dna.

Erano centinaia e alcune, per paura che l’esame fosse in qualche modo invasivo per loro, si facevano accompagnare dai mariti. Molte parlavano solo dialetto, era anche difficile capirle». Ai tempi Mocerino non solo riceveva le donne che in qualche modo avevano avuto a che fare con l’autista di Gor-no, ovvero il papà di Ignoto 1, ma aveva il compito di indagare tra gli anziani dei paesi limitrofi nella speranza che ricordassero qualcosa.

E infatti, proprio grazie al fatto che si fidavano di lui, uno di loro, l’autista Antonio Negroni, si presentò per dire che forse ricordava il nome di quella ragazza che aveva avuto un figlio da Guerinoni. E in effetti poi si rivelò il nome giusto: Ester Arzuffi.

Aggiunge l’ufficiale: «Venne da me in caserma, ma ricordo poi di essere andato da lui insieme con il sacerdote del paese, don Arturo. Quella sera c’era una partita di calcio della Nazionale italiana in tv e l’ho guardata con loro. Ricordo anche che voi di Giallo lo stavate cercando e siete capitati lì proprio quella sera. Naturalmente non potevate sapere che io ero già lì!»


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