Michele Battiato chi è il fratello unico erede di Franco Battiato?


È il fratello, Michele Battiato a raccontare gli ultimi giorni di vita di Franco, il grande cantautore morto il 18 maggio nella sua casa di Milo, provincia di Catania, dove si era trasferito da tempo. E Michele, riservato quanto l’amato fratello artista pianto oggi dall’Italia tutta, ha parlato con il Corriere della Sera.


Anche se la malattia stava peggiorano, il 23 marzo Franco è riuscito a festeggiare il suo settantaseiesimo compleanno: “Era contento della festicciola e riuscì ad assaggiare la torta”. “Ma – racconta Michele – cominciava da giorni a perdere le facoltà. Si è arrivati a un deperimento organico per cui, pian piano, si è, come posso dire? Si è quasi asciugato. Non si è accorto del trapasso. Circondato da me, mia moglie, mio genero, i nipoti, i collaboratori e due medici che non ci hanno mai lasciato”. Parole che arrivano a rispondere alle tante domande dei fan e di chi lo ha amato, parole che raccontano di una famiglia unita fino alla fine.

Intervista al Grande Franco Battiato

Cosa ti ha riportato in Sicilia?

Devo dire che, nel corso degli anni, ho avuto dei problemi. Sono arrivato a Milano nel dicembre ’64. Dopo essere scendere dal treno ho lasciato la valigia sul pavimento della stazione, c’era una nebbia molto fitta, e mi sono detto: questa è casa mia. Non avevo mai lasciato la Sicilia, così ho trascorso il mese di dicembre a guardare i milanesi che passeggiavano per la Galleria Vittorio Emanuele infilati nei loro cappotti, che hanno fatto regali… Non avevo soldi, ma non avevo problemi, l’ho vinto lentamente.

Ti senti un po’ equilibrato? Ha fatto e fa tutto, sempre un po’ al limite, sulla fune…

Sì, è vero, al limite, che sta per cadere…

Sì, esatto. Ma credo che rischiare significhi che, essere sempre al limite. Dove trovi la forza per farlo?

Devo confessarti che per tutta la vita mi hai aiutato. Nei primi anni ’90, ad esempio, stavo suonando un harmonium, improvvisando, e la prima frase che mi è venuta in mente, non che pensassi ma veniva dall’alto, era “Difendimi dalle forze opposte”. Ho appena finito di cantare questa frase, mi sono fermato. Il giorno dopo mi venne un’altra frase. Era una cosa che durò più di venti giorni, quasi un mese. Il risultato è una canzone chiamata “L’ombra de la luce” una delle cose più belle che abbia mai scritto. E lì capii che c’era una comunicazione trascendente. E mi sono ricordato di un’esperienza che avevo avuto a sedici anni, lasciando la chiesa nel mio rione. Era la Domenica delle Palme, uscivano insieme, il prete aveva messo una musica e mi sentivo come se una forza mi avesse tirato su. Per un ragazzo come me è stata poi un’esperienza straordinaria. Mi avvicinai al prete e chiesi: “Mi scusi, che musica è questa?” E lui, ricorderò tutta la mia vita, rispose: “È stato scritto da Johann Sebastian Bach”. Era la Passione secondo San Matteo.

È la prima musica che ricordi?

Il primo pezzo che ricordo della musica classica, ma prima avevo sentito canzoni napoletane, nei cortili, quasi senza rendersene conto. Quando avevo tredici anni, mio padre mi comprò una chitarra e cominciai a grattarla. È così che è iniziato tutto.

Sei ben noto in Spagna, in diversi posti fuori dall’Italia… cosa ti dà più da essere detto come italiano quando sei all’estero?

Beh, non ho mai avuto problemi… Ad esempio, la prima volta che ho tenuto un concerto a New York, al Municipio, c’erano milletrecento persone, era pieno, e c’erano solo venti o trenta italiani, perché non era uno di quei cantanti che appartenevano alla tradizione italiana, siciliana o del sud Italia. Devo dire che la prima ora è stata un po’ dura per me, perché gli applausi erano un po’ distanti, un po’ freddi. Ma dopo quella prima ora, i successivi quindici o venti minuti erano un delirio. Improvvisamente il pubblico ha iniziato ad entrare nella lingua, ed è stato molto bello. Poi ho fatto diversi concerti in America. Nell’ultimo tour che abbiamo fatto in Europa, ad esempio, tutti mi dicevano: “Non pensare che a Berlino ti riempirai, nessun italiano pieno a Berlino”, e alla fine è stata una notte meravigliosa. Ho messo su uno schermo la traduzione dei testi delle canzoni in inglese, e ho potuto vedere quelli che l’hanno seguita e quelli che non l’hanno fatto. Inoltre, naturalmente, c’erano anche gli italiani.

In realtà mi riferivo piuttosto alle generalizzazioni e banalità che a volte si parla di italiani…

La mia è diversa, è un’altra storia. Infatti i tre o quattro italiani che sono riusciti all’estero sono italiani… come posso dirlo per non offendere, non è mia intenzione… popolare. Popolari nel senso che fanno qualcosa di “facile”.

In ogni caso, ti senti italiano?

Onestamente non sono mai stato un patriota. È una cosa che non capisco. Quando ero piccolo a scuola c’erano ancora residui di fascismo, in quinto luogo facevamo ancora le tipiche mostre di ginnastica del fascismo e devo ammettere che sentivo quella cosa che anni dopo odiavo: il desiderio di far parte di un gruppo, come in alcuni raduni tedeschi o francesi. Ma l’ho perso subito. È una cosa che non capisco. Non mi sono mai sentito diverso da un.

Ma allora ti senti italiano o no? Riconosci in te stesso qualche funzionalità italiana?

Se per esempio parliamo di calcio, quando guardo una partita di squadra…

Oh, ti piace il football?

Ho giocato quando ero giovane, ma no, non sono un fan. Guardo chi gioca meglio, non è che mi importi dell’Italia, cos’altro mi dà! Davvero, questo è un falso aspetto dell’esistenza.

Quando disse che odia il concetto di patria, pensai a quella sua canzone, “Povera patria”, in cui fa un terribile ritratto dell’Italia di corruzione dilagante poco prima che Tangentópolis esplodesse…

Ero molto turbato da quel periodo in cui governavano quegli individui sporchi, quei ragazzi che non capiscono che pagheranno per questo. Perché pagheranno per questo.

Pensi di sì?

Sì, pagheranno per questo. È karma.

Gramsci ha detto che il pessimismo è una questione di intelligenza, ma l’ottimismo è una questione di volontà. Alla fine suppongo che abbiamo il dovere di essere ottimisti…

Sì, è esattamente così.

Quando hai scritto questa canzone, “Povera patria” nel 1991, pensavi che oggi, tanti anni dopo, l’Italia avrebbe fatto pulizia?

No, non ci ho mai pensato, e al momento non vedo una fermezza che mi permetta di pensarci… Ancora oggi, con tutto quello che hanno fatto, continuano a rubare. È inaccettabile.

A questo punto devo chiederle anche la sua esperienza politica. Com’è possibile che uno che ha cantato contro assessori alla cultura e direttori artistici sia finito in politica, come consigliere culturale della regione siciliana?

Quando Rosario Crocetta,il presidente della regione Siciliana, è venuto a casa mia implorandomi di accettare questa posizione, ho detto: “Non voglio fare il consigliere per la cultura. Quello che voglio è che tu mi dia un budget, che è di centomila euro o due milioni di euro, e faccio festival davvero importanti con questo. Infatti, in quel breve periodo di soli cinque mesi in cui ero consulente culturale, un americano è venuto qui a casa mia perché voleva organizzare qui, a Taormina, i Grammy Awards, e per la Regione Sicilia sarebbe stata una cosa fantastica. Dopo che me ne sono andato, è finita nel nulla.

Quindi sei entrato in politica perché hai ritenuto necessario rotolare la tua strada.

Era esattamente così. E devo dirvi che per i primi cinque mesi, quando sono entrato nel Palazzo d’Orleans (sede del governo regionale della Sicilia) con gli altri consiglieri c’era un clima che non si era mai visto nella regione. Ma poi scoprirono che ero un problema molto serio, perché non potevano manipolarmi, era impossibile convincermi. Ricordo una sessione in cui la tensione era al massimo, avevo scelto un direttore d’orchestra che aveva studiato in Russia, molto bene. Seduto di fronte a me c’era un tizio che mi chiede: “E perché scegliamo questo?” Dissi: “Hai qualche altro nome da proporre?” E lui risponde, in siciliano: “No, mi piace il calcio”. Ho ancora chiesto chi ha messo quel tizio lì dentro! Perché ci siamo presi cura del Teatro Politeama di Palermo, dove si fa musica classica e di cui sono stato presidente come consulente culturale. E in un posto come questo, hai messo un calciatore?

Cioè, alla fine si tratta sempre delle dinamiche di collegato e corrotto …

sì.

Nel marzo dello scorso anno lei è stato espulso come consigliere per la cultura per aver pubblicato la frase “Queste puttane in Parlamento per fare qualsiasi cosa. E ‘una cosa inaccettabile, sarebbe meglio se aprivano un bordello. Fu accusato di essere sessista e Crocetta lo cedette. A mio parere è stato abbastanza ridicolo, perché quello che ha detto è qualcosa che tutti sappiamo essere vero…

Lo so, ho ricevuto messaggi di sostegno dall’Inghilterra, dalla Francia…

Ieri, infatti, sono venute fuori le motivazioni della sentenza del cosiddetto caso Ruby, che chiarisce che la prostituzione è stata praticata nella casa dell’ex presidente del Governo Silvio Berlusconi…

Naturalmente,. Ma ti ricordi quel deputato che le mostrava il suo assto e guadagnava ventimila euro al mese?

Sì, certo, Minetti, l’igienista dentale di Berlusconi, che è stato messo in Parlamento regionale lombardo con uno stipendio di ventimila euro al mese e che l’anno scorso è stato condannato primo a cinque anni di carcere per favoreggiamento della prostituzione, perché cercava puttane per Berlusconi.

Sì, ahahah… è uno scherzo!

Sapete che come membro della regione Lombardia minetti ha guadagnato più del presidente del governo in Spagna?

Sì, sì, è incredibile.

Inizialmente avete sostenuto i Cinque Stelle, il movimento anti-castro, anti-castro creato da Beppe Grillo. Come la vedi adesso?

Devo dire che i Cinque Stelle mi hanno sostenuto, mi hanno detto che se fossi rimasto come consigliere culturale mi avrebbero dato il loro sostegno. E gli altri si sono spaventati, hanno detto, “Vediamo se ci cacciano.” Non potevi andare avanti. Credo infatti che Crocetta (il presidente della regione Siciliana) non abbia molto da fare. Senti, trenta milioni di italiani non votano, nemmeno io voto.


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