Carlo Conti il 3 maggio condurrà i David di Donatello con Drusilla Foer


Per i suoi 60 anni, festeggiati l’anno scorso, Carlo Conti si è fatto un regalo. Un oggetto che, come per magia, l’ha riportato a quando era bambino. «Un vecchio mangiadischi arancione, identico al primo che ho posseduto in vita mia, da ragazzino. La musica è sempre stata un’autentica passione: ricordo che a 8 anni mi presentai con le monetine dall’elettricista, perché lì vendevano dischi: volevo il 45 giri Venus, degli Shocking Blue.


Poi andai ad ascoltarlo dalla vicina di casa, perché lei il mangiadischi lo aveva, mentre per me rappresentava ancora il grande sogno». Se di sogni parliamo, all’epoca immaginavi già di fare televisione o ambivi ad altro? «Da bambino non ho mai fantasticato dicendo “da grande voglio fare il pompiere o il dottore”, tantomeno la Tv. Sogni pochi, al massimo erano rivolti a qualcosina che non avevo: che so un paio di jeans o un paio di pantaloni nuovi, non passati dal cugino.

Mi ha cresciuto solo mia madre, le disponibilità erano modeste: quando raggruppavo un gruzzolo di monete era sempre per un disco. Diventando più grande, con la nascita delle radio locali, ho potuto dedicarmi a un’altra mia passione. Un hobby, la radio, che via via si è trasformato in lavoro e che poi mi ha portato in televisione». Dove da tanti anni macini programmi e successi, uno dietro l’altro.

Spesso nel nome della musica, come l’ultimo “nato” The Band, in prima serata su Raiuno. «È un periodo nel quale mi piace sperimentare e l’idea di far esibire otto band di ragazzi, mi sembra il giusto modo per far capire quanto è bello stare insieme, fare musica dal vivo, con il pubblico. È un segnale di ripartenza che vuole essere uno stimolo per ognuno di noi. E che spero piaccia a tutti, perché il mio obiettivo è regalare un po’ di leggerezza a tutta la famiglia».

Cosa vince la band migliore? «La vittoria per questi ragazzi sta nel potersi esibire su un palcoscenico, accompagnati da otto tutor famosi che si prendono cura di loro, e davanti a una giuria eccezionale composta da Gianna Nannini, Asia Argento e Carlo Verdone». Un colpaccio questo trio delle meraviglie! «E lo ringrazio molto, questo trio, per aver accettato il mio invito. Per me è un grande regalo. Asia è una forza della natura, di grande competenza musicale, schietta, e dice sempre quello che pensa. Gianna e Carlo sono eccezionali, si sono messi in gioco, hanno colto la spontaneità e l’intento per il quale tenevo a questo show, e li hanno ritenuti meritevoli della loro presenza».

A proposito di compagni di avventura: il 3 maggio conduci i David di Donatello con Drusilla Foer. È la vostra prima volta insieme, giusto? «Sì, e so già che mi divertirò un mondo. La conoscevo di fama, l’ho seguita nel programma di Chiambretti, a teatro e nell’exploit sanremese. L’accoppiata tra me, fiorentino doc, e questa nobildonna senese ha già un fil rouge: la stessa ironia toscana, ci si capisce al volo, ci piace vivere con leggerezza, con fierezza delle nostre origini, con intelligenza e voglia di scherzare». In effetti, tu sorridi molto, di gusto. Ti capita mai di essere arrabbiato? «Mai. Quasi mai, diciamo. Solo la mancanza di rispetto e la cattiveria mi fanno arrabbiare.

Per il resto sono piuttosto tranquillo, cerco soluzioni se qualcosa non va per il verso giusto. Al lavoro restano tutti parecchio stupiti di questo mio atteggiamento, ma è la verità. Sono l’uomo più pacato al mondo e anche molto razionale. Sono davvero poche le cose che mi agitano davvero». Quelle che più ti hanno spiazzato e davvero emozionato nella vita? «La nascita di mio figlio Matteo, otto anni fa: ero in sala parto e preso dall’euforia e dall’emozione appena l’ho visto ho iniziato a cantare Tanti auguri a te, quasi fosse il compleanno.

E poi quando mi sono sposato, all’altare, vedendo la commozione di Francesca. Mi capita anche di recente, ma quando sono solo». Ossia? «L’altro giorno, mentre ero in macchina da Firenze a Montecatini e viaggiavo con la musica dei Pink Floyd, che rappresentano la colonna sonora della mia  vita. Oppure davanti a un tramonto, in Toscana, mentre sto pescando. Ecco, in quei momenti mi emoziono, penso a chi ero, a chi sono, a quello che ho costruito, gradino dopo gradino, che è molto di più di quanto sperassi o immaginassi. Penso alla mia famiglia, che ha dato un senso a tutto e, a 50 anni, mi ha portato ad abbandonare l’idea dell’io per iniziare a pensare al plurale, a noi. Mia moglie e nostro figlio sono la mia forza».

In Tv hai fatto tutto: c’è un sogno che ancora culli? «Non direi, ma forse uno scherzando lo posso svelare: mi piacerebbe una rubrica di mare, pesca e immersione all’interno di Linea Blu, il programma condotto da Donatella Bianchi. Un vezzo, lo so, ma anche in quel caso porterei in video altre mie passioni. Ma davvero, sogni reali non ne ho: mi ritengo un uomo fortunato. E di questo sono molto grato alla vita».


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