krzysztof Kieslowski chi è il regista polacco amato da Kubrick



Con il Festival di Cannes 2007 così recente, è opportuno ricordare chi ha vinto il Premio Speciale della Giuria nel 1988 per il suo film “No Matarás” e chi è stato nominato due volte per la Palma d’oro prima per “La Doble Vida de Verónica” (La Doble vie de Véronique/1991) e poi per Rojo (Rouge, 1994). Con La Doble Vida de Verónica ha vinto nuovamente il Premio della Giuria e il premio FIPRESCI tra molti altri premi internazionali che ha ricevuto nel corso della sua carriera. Krzysztof Kieslowski era un maestro del simbolico, ossessivo dell’immagine, un regista che doveva sentire nelle sue viscere la necessità di fare un film.



Ecco perché ognuna delle sue opere è intrisa della sua costante riflessione sulla condizione umana, sui diversi stati dell’essere, sulle nostre emozioni, paure, ossessioni. Anche se se ne andò molto rapidamente, a soli 54 anni, paradossalmente mesi prima di annunciarsi il suo ritiro dal cinema. È stato un regista integrale del mondo del documentario e sebbene sia conosciuto principalmente in tutto il mondo per il suo ultimo lavoro chiamato “The Three Colors” o “The Color Trilogy” ha una filmografia molto più ampia che vale la pena dare un’occhiata e che è senza dubbio un’eredità affascinante che rimarrà per sempre impressa nella storia della settima arte.

La rivelazione dell’occhio cinematografico

Regista polacco. Nato a Varsavia, studiò alla Scuola di Cinema e Teatro di Åódź, in Polonia. Iniziò la sua carriera realizzando documentari e film di finzione sulle questioni economiche e sociali dominanti nel suo paese in quel momento. Il suo primo lungometraggio si chiamava “La cicatriz” (Blizna), ma prima aveva già realizzato il cortometraggio “El primer amor” (Pierwsza milosc – 1974) ed era stato premiato per il suo mediometraggio intitolato “El personal” (Personale – 1975). La sua origine era nel documentario, che in un certo senso aveva a che fare con il modo in cui si avvicinava ai lungometraggi che ha fatto che non solo doveva avere un significato profondo per lui internamente, ma avrebbe dovuto mobilitare lo spettatore. Il suo cinema ha indagato sulla condizione umana, le nostre emozioni, desideri, frustrazioni, paure. Tuttavia, non solo il tema era interessante nelle sue opere, ma il trattamento dell’immagine, gli ambienti ricreati con un uso intelligente del colore, dei contrasti, delle ombre e delle luci in ciò che ha portato a una delizia visiva. Riuscì a catturare l’immagine e trascenderla attraverso i suoi personaggi, cercando di mostrare l’etereo dell’anima, il mondo delle emozioni intangibili, e rifletterle sul grande schermo attraverso le sue storie. Un cinema intimo ma aperto al dubbio, a domande costanti. Il suo cinema non ha cercato di dare risposte o discorsi, anzi ha sollevato domande, confrontando lo spettatore con i suoi valori.

Fama e riconoscimento in Europa sarebbero arrivati primi con la sua serie “The Decalogue” una serie di 10 storie girate per la televisione polacca alla fine degli anni Ottanta. Prendendo come riferimento i dieci comandamenti della legge di Dio, due di loro “Tu non amerai” e “Non ucciderai” in seguito divennero lunghi. Quest’ultimo è stato rilasciato a livello internazionale dopo aver vinto il Premio della Giuria all’edizione del 1988 di Cannes e il Premio per il miglior film della European Film Academy. Un film profondo che è una sorta di appello contro la pena di morte poiché la storia ci pone di fronte al diritto di un essere umano di decidere la vita di un altro. “L’estetica è in linea con questo direttore molto personale, con atmosfere inospitali rinforzate dalla distorsione del colore, piani soggettivi, grandi silenzi …” (www.notodo.com).

Sicuramente uno dei film più interessanti di questo regista, tuttavia è stato con la “Doppia Vita di Veronica” che è stata consacrata in tutto il mondo con un film impeccabile nel suo disegno di legge e davvero affascinante nella sceneggiatura e nei contenuti.Veronica’s Double Life: Un film indimenticabile Questo film è per chi ama il cinema intimo, offrendo approcci aperti, prospettive soggettive e domande provocatorie.
Il cosiddetto cinema autenziale, che a differenza delle proposte commerciali, non è giustificato, semplicemente ES: una visione della vita, un passaggio, un frammento dello spirito del regista e il suo approccio esistenziale. Questo tipo di cinema lascia i cinefili affamati della prossima impronta dell’artista: una domanda a cui solo lo spettatore può rispondere nel loro forum interiore.

Assiduamente krzysztof Kieslowski è stato interrogato sulla “intenzionalità” dell’ampio simbolismo presente nei suoi film, i critici gli hanno posto domande intricate alle quali ha sempre risposto: “Dipende dallo spettatore, da cosa significa per lui nel suo mondo soggettivo”.

Il cinema in questo caso è arte, il pezzo poetico, la lirica visiva, la danza tra musica e immagini e centinaia di paradigmi che il regista ci pone attraverso la sensazione, l’emozione, creando stati durante la composizione di ogni dipinto, che attraversano il derma per rimanere in noi, come un libro, un dipinto, una canzone , un ricordo…

“La Double Vie de Veronique” (La Double Vie de Veronique), intreccia la vita di due donne fisicamente identiche, orfane di madre, amanti della musica, sole, ma di personalità opposte e ognuna in un paese diverso: Veronika in Polonia e Véronique in Francia.

È, se vuoi, il mito del doppelgí¢nger, secondo il quale ogni essere vivente ha, da qualche parte, un doppio di se stesso, di identico aspetto e personalità opposta. Dicono che attraversare con la doppia prefigura la morte di alcuni di loro.

L’archetipo del doppio è coperto in modo affascinante, ci mette faccia a faccia con l’ambivalenza dell’esistente e l’identità viene in primo piano nella riflessione.

In Double Life di Veronica, due corpi esatti vivono in luoghi diversi ma sono uniti dalla stessa essenza vitale. Veronika è più impulsiva, spensierata, allegra, disattenta dalla sua fragile salute, mentre Véronique è più cauta, silenziosa, misteriosa e consulta regolarmente il suo cardiologo, decidendo di lasciare i suoi studi di canto fuori dalla prudenza. Entrambi si sentono “accompagnati” nella loro solitudine e sentono che le loro vite vanno oltre il corporeo.

Il film è sorprendente sulla base di una squisita gestione del colore. Kieslowki ha correlato il colore ai sentimenti umani e lo ha usato come risorsa narrativa in tutte le sue opere. Il film si svolge tra marrone, arancione, verde bottiglia, vino rosso in tutte le sue gamme, seppie e più seppie, che a volte ci conforta e in altri ci annegano.

L’autore genera stati d’animo, conversa con i nostri sentimenti. È probabile che la narrazione abbia lacune se vogliamo vedere il cinema lineare e servita in stile americano. Se, invece, siamo aperti ad accettare le passioni più intense, la nostalgia, le miserie e le feroci lotte dei suoi personaggi, potremmo finire per scavare in noi stessi.

Kieslowski era un maestro nel catturare emozioni, sottigliezze. Ha anche parlato della sua etica, dei suoi principi e dei suoi valori, riflettendo la dualità dell’uomo.

Anche se non abbiamo capito nulla della trama, il film è visivamente magico, struggente, con un’eccezionale direzione della fotografia e della direzione artistica. La performance di Irene Jacob è luminosa e credibile nelle sue due versioni di Veronika e Veronique. In realtà la sua peformance è sublime anche nel solo gestuale.

La trama certamente non risponde a tutte le nostre domande e c’è la sua padronanza, poiché ci risveglia curiosità, dubbio, la domanda interna. È un film misterioso, per alcuni sarà una serie di belle scene senza coerenza e per altre sarà un viaggio tra colori, simbolismo e bellezza difficile da dimenticare.

Il suo ultimo lavoro: I tre colori

Nel 1993 il regista inizia la sua trilogia conosciuta come Three Colors con le riprese del primo “Blue” Un anno dopo avrebbe presentato “White” secondo della saga, e con Red, lo conclude. Il nome di ciascuno dei tre film deriva dai colori della bandiera della Francia e si riferisce a ciascuno dei tre principi fondamentali della rivoluzione francese, libertà (blu), uguaglianza (bianco) e fraternità (rosso).

I tre film sono interdipendenti tra loro, tuttavia elementi certi e sottili li collegano per creare una trilogia perfetta, che basata su tre diverse proposte arriva a ottenere un intero in tre singoli film e ognuno con un timbro molto particolare. Oltre all’uso del colore come elemento differenziante delle atmosfere, i temi sono diversi approcci alla condizione umana. Tuttavia, la parola umanità, in tutti i suoi significati, è al centro di tutte le storie, la nostra condizione imperfetta è protagonista di questa trilogia piena di personaggi e situazioni vitali che ci sono inerenti a ciò che siamo.

Blue è una canzone per il dolore e la solitudine. Un film ipnotico in cui l’uso del colore blu è così magistrale che crea drammatici momenti di grandezza. La storia parla di Julie che perde suo marito (un grande compositore) e la loro unica figlia in un incidente d’auto. Distrutto, decide di iniziare una nuova vita in modo anonimo e indipendente, cercando di sbarazzarsi di tutte le catene del suo passato, di rifugiarsi nella solitudine, cercando di non stabilire legami affettivi con nessuno come un modo per proteggersi da più dolore. Si trasferisce in un appartamento, liberandosi di tutti i suoi precedenti effetti personali. Ma il suo passato tornerà quando una giornalista sospetta di essere l’autrice del lavoro del suo defunto marito. L’impressionante colonna sonora mette il punto chiave nei momenti drammatici. Considerato uno dei migliori della trilogia, è un film artigianale, dove la precisione dell’uso di ogni elemento cinematografico è all’uso della storia. Un film poetico e nostalgico con protagonista una superba Juliette Binoche in una performance straziante. Un film che sicuramente sa cogliere le sottigliezze della condizione umana.

Blanco, il secondo film della serie è il più strano e forse il più debole della trilogia. Sicuramente rende un film eccellente, ma più incoerente nella sua sceneggiatura che rende la trama non avere la forza drammatica prevista, rispetto agli altri due film. Il film racconta la storia di un matrimonio composto da una francese, Julie Delphy e un’immigrata polacca, Zbigniew Zamacjowski. Il film inizia con la richiesta di divorzio di Julie Delphy presentata in tribunale contro suo marito perché il loro matrimonio non è stato consumato. Una volta raggiunto l’annullamento, il protagonista proporrà di fare tutto il possibile per recuperare la moglie perché non ha smesso di volerla. I sentimenti estremi vengono catturati in questo film eccentrico, se vuoi. Il film si svolge quasi interamente in Polonia, paese d’origine del protagonista, in piena inverno, che il regista usa per evidenziare il bianco in tutte le scene. Utilizza anche immagini un po ‘sovraesposte e una luminosità totale che contrasta con la parte scura dei suoi protagonisti. Sicuramente un altro gioiello di Kieslowski che ci mostra il mondo estremo dell’amore, attraversando tutte le emozioni che lo accompagnano.

Red, l’ultimo film della trilogia è considerato da molti il migliore. In effetti ha avuto molto successo e ha ottenuto numerosi premi internazionali. È stato anche nominato all’Oscar per la miglior fotografia, miglior regista e migliore sceneggiatura originale, che ha dato al film un riconoscimento internazionale rendendolo una delle opere più conosciute di questo regista. È stato anche nominato per i Golden Globes per il miglior film straniero e ha vinto il César francese per il miglior film, tra gli altri premi ricevuti. Il film racconta la storia di una modella svizzera interpretata da Irí ̈ne Jacob che attraverso un incidente d’auto in cui corre leggermente sopra un cane, stabilirà un’amicizia, una questione fondamentale, che diventerà più importante a poco a poco con un giudice in pensione che ha l’abitudine di spiare le conversazioni telefoniche dei suoi vicini. All’inizio la modella è spaventata dall’abitudine del giudice, ma gradualmente viene coinvolta nelle storie che sente quando lo visita. Con un eccezionale lavoro di recitazione, mette in evidenza la fotografia profonda e sottile nei toni del rosso, del colore dell’amore e della passione in generale. A volte i dettagli della fotografia sono così minimi che sembrano inosservati per formare uno stile visivo unico. Senza dubbio, a livello di fotografia questo film non è solo impeccabile ma impressionante. Valentina, la nostra protagonista vive l’acido della solitudine con un fidanzato britannico con cui comunica solo per telefono. Quando incontra il giudice, qualcosa clicca dentro di lei e inizia a trasformarsi e interrogarsi.

Un dettaglio che unisce i film in modo strano è una situazione che si ripete durante tutta la trilogia: un vecchio cerca di mettere una bottiglia nel riciclatore di vetro e nei primi due film lascia la bottiglia proprio nel buco dove arriva ma non può arrivare a metterla completamente , ma solo in “Rosso” Valentina ti aiuta a posizionare la bottiglia. Anche nella scena finale di “Rouge” appaiono legati dal destino tutti i protagonisti della trilogia. Forse di tutti, questo è il film più pessimistico, ma d’altra parte ci lascia con un finale aperto in cui ci viene accennato a possibili fatti, prodotto della fata del destino, che danno maggiore luminosità alla storia. È un finale che ci permette di immaginare, che finalmente ci dà una pausa di fronte a tanta tensione drammatica.

In tutti e tre i film vale la pena notare l’eccellente colonna sonora di Zbigniew Preisner, che aggiunge i tocchi necessari, soprattutto in Blu dove è la moglie di un compositore, per completare l’eccellente lavoro di recitazione ed esecuzione di questa saga.

È un regista con indipendenza intellettuale che gli ha permesso di darci il miglior cinema d’autore, un cinema che ci ha costantemente sfidato a pensare alla condizione umana, lasciandoci più domande che risposte, in modo da poter cercare quest’ultimo per noi stessi.

Senza dubbio, l’eredità cinematografica di Kieslowski sarà un riferimento storico e un esempio del miglior cinema d’autore degli ultimi anni. “È proprio questo senso paradossale che segna in profondità il suo cinema e rende così difficile concretizzare a parole ciò che le sue immagini sanno trasmettere con silenziosa eloquenza. Se si può obiettivamente dire che Kieslowski usa metodi e materiali apparentemente convenzionali, è più che evidente che il suo lavoro è principalmente rivolto a parti insolite dell’intelletto e ad alcuni sensi solitamente secondari al cinema. (www.mgar.net– Si tratta di un regista meticoloso, che non perché fosse pignolo ma per la chiarezza con cui sapeva trasmettere i suoi messaggi, è stato coinvolto nell’intero processo creativo. Un regista integrale, di quelli che tutti cerchiamo e poco troviamo che rimarrà nella memoria di qualsiasi spettatore che abbia visto il suo lavoro, perché non esce intatto, ma si muove emotivamente e intellettualmente sfidato. Per vedere la creazione di questo saggista filosofico della vita, dobbiamo perdere il conosciuto, aprire i parametri e osare affrontare la sfida dell’indeciso che accende la materia emotiva e grigia.

Un creativo indimenticabile, che rimarrà per sempre presente come riferimento della vera settima arte.



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