​​


Bruxelles contro il governo: la Corte europea avalla i giudici sulle decisioni sui migranti da ‘paesi sicuri’



La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la classificazione di un Paese terzo come “Paese di origine sicuro” tramite legge nazionale deve essere soggetta a un controllo giudiziario effettivo. Inoltre, le fonti alla base di tale designazione devono essere accessibili sia ai richiedenti asilo sia ai giudici nazionali  .



Su richiesta del Tribunale di Roma, la Corte ha accertato che, se un cittadino straniero proviene da un Paese inserito nella lista dei luoghi “sicuri” (come il Bangladesh o l’Egitto, secondo l’Italia), può vedersi respingere la domanda di protezione internazionale attraverso una procedura accelerata a frontiera in centri Cpr all’estero, ad esempio in Albania  . Tuttavia, tale designazione è pienamente legittima soltanto se sostenuta da fonti documentali trasparenti e verificabili  .

I giudici del Lussemburgo hanno chiarito che uno Stato membro può indicare Paesi “sicuri” solo se è provato che essi garantiscono protezione effettiva a tutta la loro popolazione, su tutto il territorio nazionale. In presenza di gravi rischi per specifici gruppi, quella nazione non può essere considerata sicura  . Questa condizione è valida fino al 12 giugno 2026, data prevista per l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sull’asilo, che consentirà però di fare eccezioni su base soggettiva o categoriale  .

La risposta del governo italiano è stata netta: da Palazzo Chigi si è letto che «ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche». Inoltre si critica la possibilità concessa ai giudici nazionali di basarsi su fonti private o raccolte autonomamente per contestare scelte politiche rientranti nella decisione del Parlamento  .

L’Associazione nazionale magistrati (ANM), invece, ha accolto la sentenza con favore. Il presidente Cesare Parodi ha affermato che «Nessuno remava contro il governo. Era stata proposta un’interpretazione dai giudici italiani che oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea dice essere corretta». Per l’ANM, la decisione conforta l’operato dei magistrati romani impegnati nei ricorsi contro i trasferimenti in centri in Albania  .

La Corte Ue ha ribadito che la procedura accelerata di frontiera deve essere applicata solo se il richiedente proviene da un Paese il cui inserimento nella lista è fondato su criteri oggettivi e resi accessibili per garantire una vera tutela giuridica. Se il giudice ritiene che i requisiti sostanziali non siano rispettati, può esaminare autonomamente fonti alternative, purché ne verifichi l’attendibilità e garantisca il confronto tra le parti  .

La vicenda nasce dai ricorsi di due cittadini del Bangladesh, salvati in mare e trasferiti in centri di permanenza in Albania, dove la loro domanda di asilo è stata respinta con procedura accelerata perché il loro Paese d’origine era stato considerato “sicuro” dall’Italia. I giudici italiani, privi delle informazioni utilizzate per quella valutazione, avevano sollevato dubbi sulla legittimità della decisione e richiesto un pronunciamento della Corte Ue  .

In sostanza, la sentenza non impedisce il rimpatrio dei migranti alle cui domande è stato rigettato l’asilo, ma esige che la valutazione avvenga secondo le procedure ordinarie, più approfondite e rispettose delle garanzie processuali  .

Il verdetto arriva pochi mesi prima dell’entrata in vigore del nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo, previsto per giugno 2026, che introduce criteri più rigorosi per la designazione dei Paesi di origine sicuri. Palazzo Chigi ribadisce l’intenzione di utilizzare gli strumenti tecnici o normativi possibili per tutelare la sicurezza nazionale nel frattempo  .

La decisione della Corte Ue rappresenta un punto di svolta politico‑giuridico sulla gestione migratoria italiana e sul ruolo dei giudici nazionali nella verifica delle scelte legislative sui cosiddetti «Paesi sicuri».



Add comment