L’ex generale Roberto Vannacci ha espresso la sua netta opposizione all’idea di un cessate il fuoco o di un accordo temporaneo riguardante la situazione in Ucraina. Utilizzando un detto sardo, “l’asino sardo lo freghi una volta sola”, ha introdotto un lungo intervento in cui afferma che, a seguito degli accordi di Minsk, definiti da lui una “truffa”, Mosca accetterebbe solamente un trattato definitivo, supportato da garanzie robuste e procedure di controllo rigorose.
Vannacci pone l’accento sul fatto che “in guerra i fatti contano più del diritto e della morale”. Da questo assunto deriva la sua convinzione che i territori occupati non debbano essere oggetto di negoziazione, così come qualsiasi proposta di “neutralità garantita” per l’Ucraina. Secondo la sua analisi, l’adesione di Kiev alla NATO sarebbe stata esclusa “sin dall’elezione di Trump”, suggerendo che il dialogo dovrebbe concentrarsi su garanzie e verifiche piuttosto che su concessioni territoriali.
Una delle frasi più provocatorie di Vannacci è stata: “Se non sei al tavolo, sei nel menù”. Con questo commento, ha trasmesso una visione cinica delle dinamiche di potere, prendendo di mira i leader europei e l’Ucraina. Ha descritto l’incontro tra Trump e Putin in Alaska come l’inizio di un processo di distensione tra USA e Russia, destinato a influenzare gli anni a venire, “malgrado i mal di stomaco degli europeisti convinti”. La sua interpretazione colloca la questione ucraina come un aspetto marginale di un negoziato più ampio che coinvolge energia, commercio, armi nucleari e nuovi equilibri globali.
Nel suo intervento, Vannacci ha lanciato critiche esplicite all’establishment europeo, sostenendo che il vertice abbia già portato a un primo risultato per Vladimir Putin: la fine dell’isolamento in cui lo avrebbero voluto relegare gli Stati Uniti sotto la guida di Biden, i Paesi baltici e l’Unione Europea “a trazione socialdemocratica”. In questo contesto, ha accusato gli “europeisti” e i “volenterosi” di limitarsi a fare il tifo, mentre le decisioni cruciali si prendono altrove.
La proposta di Vannacci si basa su una realpolitik senza fronzoli: un trattato finale, garanzie verificabili, controllo e deterrenza. Tuttavia, questa visione si scontra con le linee rosse stabilite a livello europeo, dove si ribadisce che i confini non possono essere modificati con la forza e che Kiev deve poter contare su garanzie di sicurezza senza “diritti di veto” esterni sul suo percorso euro-atlantico. Questo ha generato una frattura politica e culturale che attraversa sia l’opinione pubblica che le istituzioni.
Se, come afferma Vannacci, l’agenda reale comprende grandi capitoli strategici e la pace in Ucraina è relegata a un ruolo secondario, la questione centrale diventa il reale spazio di manovra di Kiev al tavolo delle trattative. Quanto margine negoziale rimane se i territori e lo status strategico sono considerati “non negoziabili”? Inoltre, come si può conciliare l’idea di un accordo blindato con l’esigenza di una pace definita “giusta e duratura” dalle capitali europee?
Queste domande pongono interrogativi significativi sulla direzione futura delle negoziazioni e sul ruolo dell’Ucraina in un contesto internazionale sempre più complesso. La posizione di Vannacci riflette una visione pragmatica e cinica delle relazioni internazionali, ma solleva anche preoccupazioni riguardo alla sostenibilità di tali approcci in un ambiente geopolitico in continua evoluzione.



Add comment