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Sala difende il Leoncavallo, Vannacci lo stritola: “Ti dico io dove li devi ospitare”



Dopo oltre tre decenni di occupazione, lo storico centro sociale Leoncavallo di Milano è stato sgomberato. L’intervento è stato condotto nelle scorse ore, riportando alla disponibilità dei proprietari lo stabile di via Watteau. La vicenda si trascinava da anni ed era diventata un simbolo di scontro politico e sociale tra istituzioni e mondo dei centri autogestiti.



Il provvedimento è arrivato a distanza di 31 anni dalla prima occupazione e, secondo il Governo, rappresenta il ripristino della legalità in un’area da tempo al centro di dibattiti e controversie. Nel 2023, infatti, lo Stato era stato condannato a versare un risarcimento di 3 milioni di euro alla famiglia Cabassi, i legittimi proprietari dell’immobile, per l’occupazione prolungata senza regolare titolo.

A fronte dello sgombero, le reazioni politiche e istituzionali non si sono fatte attendere. In particolare, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha espresso una posizione che ha subito suscitato discussione. In una dichiarazione pubblica, ha sottolineato il valore simbolico e culturale che il centro sociale ha rappresentato negli anni: «Sono convinto […] che il Leoncavallo rivesta un valore storico e sociale nella nostra città. […] A mio parere, questo centro sociale deve continuare ad emettere cultura».

Parole che hanno alimentato il dibattito, soprattutto alla luce del significato attribuito dal primo cittadino al termine “cultura”. Negli anni, attorno al Leoncavallo si erano sviluppate attività artistiche, musicali e associative, ma non sono mancate contestazioni legate a episodi di disordini e accuse di illegalità. La struttura era diventata, a più riprese, terreno di confronto tra chi ne rivendicava la funzione aggregativa e chi ne denunciava gli aspetti controversi.

Il Governo ha rivendicato lo sgombero come un atto necessario per ripristinare la legalità e per chiudere una vicenda che durava da troppo tempo. Fonti ministeriali hanno evidenziato come l’intervento fosse inevitabile dopo le pronunce giudiziarie che riconoscevano i diritti della proprietà privata.

Dal canto suo, Sala ha precisato che il Comune stava lavorando a una soluzione alternativa che potesse garantire una nuova collocazione per le attività del centro sociale, evitando uno sgombero forzato. Secondo il sindaco, tale percorso era stato avviato nei giorni precedenti l’intervento. Tuttavia, lo sgombero è arrivato prima che tali ipotesi si concretizzassero.

La vicenda del Leoncavallo ha accompagnato la storia recente di Milano, diventando uno degli esempi più noti di centro sociale autogestito in Italia. Fondato nel 1975, nel corso dei decenni ha ospitato concerti, spettacoli, dibattiti, laboratori artistici e iniziative sociali. Dopo vari sgomberi e rioccupazioni, lo stabile di via Watteau era divenuto la sede stabile del collettivo.

La posizione del sindaco ha sollevato polemiche in particolare tra le forze politiche di centrodestra, che hanno sottolineato come, a loro avviso, l’intervento fosse doveroso e non più rinviabile. Lo scontro politico intorno alla vicenda dimostra come il tema dei centri sociali resti ancora oggi molto divisivo, soprattutto in città come Milano, dove queste realtà hanno avuto una forte influenza sul tessuto urbano e culturale.

Per i sostenitori dello sgombero, la restituzione dell’immobile alla famiglia Cabassi rappresenta la fine di una lunga ingiustizia. Per altri, invece, la chiusura del centro sociale segna la perdita di un luogo che, nel bene e nel male, aveva contribuito a scrivere un capitolo importante della vita cittadina.

L’epilogo della vicenda lascia aperte numerose domande sul futuro degli spazi autogestiti in Italia e sul ruolo che potranno avere nelle grandi città. Intanto, il Leoncavallo non esiste più nella sua forma storica: lo sgombero ha chiuso un’esperienza durata 31 anni, riportando alla proprietà privata un immobile divenuto, negli anni, uno dei simboli più conosciuti del dibattito sui centri sociali.



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