Il vicedirettore di Repubblica, Stefano Cappellini, si è trovato al centro di una controversia dopo aver citato una frase mai pronunciata da Charlie Kirk, fondatore di Turning Point, riguardo alla schiavitù. Questo episodio ha riacceso il dibattito sulle fake news e sull’odio nel discorso pubblico, sollevando interrogativi su chi sia realmente responsabile della diffusione di tali narrazioni, se i populisti o anche i giornalisti stessi.
La polemica è esplosa quando Stephen King, noto scrittore americano, ha dovuto scusarsi per un tweet in cui affermava che Kirk avesse dichiarato di essere favorevole alla lapidazione degli omosessuali. Ora, la stessa sorte potrebbe attendere Cappellini, il quale, in un editoriale intitolato “Mangia, odia, uccidi”, ha rilanciato un’affermazione altrettanto infondata. Nel suo articolo, il vicedirettore ha affermato che Kirk fosse solito dire che “sotto la schiavitù i neri commettevano meno reati”. Tuttavia, questa affermazione non corrisponde al vero e non riflette le posizioni espresse dal fondatore di Turning Point.
In un episodio pubblicato sul canale YouTube “Jubilee”, Kirk discute con un gruppo di studenti universitari e affronta il tema della criminalità tra gli afroamericani. Durante il suo intervento, egli sostiene che le condizioni di povertà siano una delle cause principali dell’aumento dei reati, una tesi che è ampiamente condivisa tra i democratici. Per confutare l’idea che la povertà sia l’unica spiegazione, Kirk menziona che durante gli anni della segregazione, negli anni ’40, gli afroamericani, pur vivendo in condizioni difficili, avessero una maggiore felicità spirituale. Da questo ragionamento, è stata estrapolata una clip di 20 secondi, manipolata per suggerire che Kirk fosse un sostenitore della schiavitù, un’accusa che è stata già smentita in numerose occasioni su piattaforme come Reddit e Instagram.
Nonostante la notorietà di questa fake news, Cappellini l’ha citata nel suo articolo come se fosse un’affermazione veritiera. Questo solleva interrogativi sulle sue fonti e sul metodo di ricerca utilizzato. Se Cappellini avesse realmente visionato il video completo di Kirk, avrebbe certamente potuto evitare di rilanciare una notizia falsa. In alternativa, se ha basato la sua affermazione su clip manipolate, ciò suggerirebbe una mancanza di rigore giornalistico e una superficialità preoccupante.
Il fatto che Cappellini abbia scritto il suo articolo a sole 24 ore dall’assassinio di Kirk alimenta ulteriormente le speculazioni. È difficile credere che un vicedirettore di un’importante testata come Repubblica non avesse familiarità con le controversie riguardanti Kirk, soprattutto considerando l’eco mediatica che la sua figura ha ricevuto. La questione si complica ulteriormente se si considera che Cappellini ha utilizzato il suo articolo per stigmatizzare l’odio e la delegittimazione dell’avversario, mentre allo stesso tempo ha diffuso una frase attribuita a Kirk che non è mai stata pronunciata in quel modo.
La situazione pone un dilemma significativo: se i giornalisti stessi contribuiscono alla diffusione dell’odio attraverso informazioni errate o fuorvianti, come possono essere considerati i custodi della verità? La critica alla stampa “ufficiale” come prevenuta e faziosa si fa sempre più forte, e questo caso non fa altro che confermare le preoccupazioni di chi teme che i media non stiano svolgendo il loro ruolo in modo adeguato. La fiducia del pubblico nei confronti dei media è messa a dura prova, e la responsabilità di riportare fatti accurati è più cruciale che mai.
In conclusione, ci si aspetta che Cappellini fornisca chiarimenti riguardo alle sue affermazioni e che presenti eventuali prove a sostegno delle sue dichiarazioni. La sua reputazione, come quella di molti altri giornalisti, dipende dalla capacità di mantenere standard etici elevati e di evitare di cadere nella trappola della disinformazione. La comunità giornalistica deve riflettere su questi eventi e impegnarsi a garantire che simili errori non si ripetano in futuro.
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Monica



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