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Madre riabbraccia le figlie gemelle a 45 anni dal rapimento in ospedale: “Non smettete di cercare”



Adelia e Maria Beatrice Mereu—sì, proprio loro, le gemelle—hanno preso un aereo dall’Italia al Cile dopo una vita intera, ma stavolta non per turismo o per lavoro. Ci hanno messo 45 anni, ma finalmente, sotto quei neon esagerati dell’aeroporto di Concepción, lì c’era la loro mamma vera, María Verónica Soto. Nessuna ha capito bene cosa stessero dicendo l’una all’altra, manco parlavano la stessa lingua, ma pianti, abbracci, e occhi sgranati hanno raccontato tutto.



La storia inizia che doveva essere uno di quei controlli pediatrici scoccianti—otto mesi, due bimbe identiche, todo tranquilo. E invece, all’ospedale in Cile, la bomba: “Le bambine restano qui per altre valutazioni.” Suona preoccupante, ma vabbè, passi. Poi—bam!—le autorità locali fanno sapere a María Verónica che non le avrebbe mai più riviste. Le sue figlie spedite dall’altra parte del mondo, in Italia, con dei certificati taroccati: neanche risultava che avessero dei genitori. Una roba da film dell’orrore, altro che routine medica.

Gli anni passano, la vita fa i suoi giri strani come una telenovela troppo lunga, e María non si arrende. Si affida a una di quelle associazioni che aiutano chi cerca famiglia, Nos Buscamos, si butta nel limbo delle banche DNA americane, e aspetta. E le gemelle? Crescono in Italia senza sapere quasi niente della loro origine, adottate, ma sempre con quella domanda strana che a volte ti punge quando nessuno guarda.

La svolta arriva col nipote—figlio di una delle gemelle, mica pizza e fichi—che fa un test DNA su Internet. Et voilà: i parenti sbucano fuori come i funghi, ed eccoti servita la reunion familiare, social compresi.

Dietro le quinte però c’è il fantasma della dittatura di Pinochet—mica roba leggera. Sotto quel regime, migliaia di bambini strappati alle madri e spediti a famiglie ignare in giro per il mondo. Nessun lieto fine perfetto: Adelia e Maria Beatrice dicono chiaro che tutti sono stati imbrogliati, pure i genitori adottivi italiani. Una truffa incastrata tra la burocrazia e le lacrime.

Alla fine lei, María Verónica, c’ha messo il punto: “Per me è stato come partorirle di nuovo, ma da adulte.” Un incubo incredibile, ma pure una tenacia da paura. Aiuta quasi a credere nelle storie cicliche, tipo quando nei film la protagonista salva la situazione proprio quando meno te l’aspetti. E a tutte le madri, il messaggio è semplice: non smettete mai di cercare. Sul serio, mai.



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