​​


Enrico Mentana, bufera per le parole sui palestinesi in marcia verso Gaza: li paragona al bestiame che torna nella stalla



Enrico Mentana, noto conduttore di TG La7, ha suscitato un acceso dibattito a seguito della sua definizione del movimento di migliaia di cittadini di Gaza verso nord, in cerca di tornare alle loro abitazioni dopo essere stati sfollati dalle offensive israeliane. Il termine “transumanza”, normalmente utilizzato per descrivere il movimento stagionale del bestiame, è stato giudicato estremamente inappropriato e infelice nel contesto della sofferenza umana.



Critici hanno sottolineato che l’uso di questa parola disumanizza i palestinesi, riducendoli a una massa indistinta, simile a una mandria. Questo linguaggio, secondo gli esperti, gioca un ruolo cruciale nella costruzione di narrazioni che possono giustificare atti di violenza e discriminazione. La disumanizzazione è un passo fondamentale per legittimare lo sterminio sistematico, come evidenziato da alcune fonti.

In un tweet, InsideOver ha affermato: “Gli unici bovini che vedo in giro sono quelli che si sciroppano quotidianamente la propaganda di questi figuri”. Questo commento ha ulteriormente alimentato le polemiche sul linguaggio utilizzato dai media per descrivere situazioni di crisi umanitaria.

Attualmente, migliaia di palestinesi stanno cercando di tornare verso ciò che resta delle loro case nel nord della Striscia di Gaza. Questo movimento è avvenuto dopo che, il 10 ottobre, è stato dichiarato un cessate il fuoco che prevede il ritiro delle forze israeliane dalla regione. La situazione rimane complessa, con il governo israeliano che ha giustificato il blocco del passaggio per il mancato rispetto degli accordi da parte di Hamas.

Il cessate il fuoco ha coinciso con l’arrivo previsto di Donald Trump in Israele, dove si attende la firma di un accordo di pace. Nelle prime ore di oggi, i negoziatori di Qatar, Egitto e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo sul passaggio dei palestinesi verso il nord della Striscia. Questo accordo prevede anche la liberazione di ostaggi, tra cui Abdel Yehud, una donna che doveva essere liberata sabato scorso.

Il contesto di tensione è accentuato dal blocco imposto dall’esercito israeliano. I palestinesi, radunati lungo la strada costiera di Gaza, hanno cercato di muoversi verso il nord, ma l’esercito israeliano ha stabilito restrizioni che impedivano loro di oltrepassare il Corridoio Netzarim, la linea che separa il nord della Striscia dal resto del territorio. Il governo israeliano ha dichiarato che tali misure erano necessarie a causa della violazione dell’accordo di tregua da parte di Hamas.

Nel frattempo, in Libano, il cessate il fuoco tra Israele e le forze locali è stato esteso fino al 18 febbraio. Le violenze continuano a colpire la popolazione civile, con notizie di scontri che hanno portato alla morte di 22 persone e a 124 feriti, secondo il Ministero della Salute libanese. Il governo israeliano ha ribadito che le sue forze non si ritireranno dal sud del Libano finché Hezbollah non avrà rispettato gli accordi di tregua, compreso il ritiro delle sue truppe oltre il fiume Litani.

In questo contesto di conflitto e tensione, le parole e le scelte linguistiche dei media assumono un’importanza cruciale. L’uso di termini inadeguati può influenzare la percezione pubblica e contribuire a una narrazione che giustifica la violenza. La questione della disumanizzazione è centrale nel dibattito attuale, poiché riflette come le parole possano avere un impatto profondo sulla realtà delle vite umane coinvolte nei conflitti.



Add comment