Recenti sviluppi geopolitici hanno sollevato interrogativi sulla posizione dell’Europa e della NATO in relazione al conflitto in Ucraina. In particolare, l’ammiraglio Cavo Dragone ha suscitato polemiche con una dichiarazione inquietante riguardo alle possibili vittime di un attacco preventivo contro la Russia. La sua risposta a una domanda su quante vittime ci si aspetta in caso di rappresaglia russa ha fatto discutere: “Tra i dieci ed i venti milioni”. Questa affermazione ha messo in luce la gravità della situazione, considerando che, nella dottrina militare moderna, un attacco informatico o asimmetrico è spesso il preludio a operazioni militari vere e proprie.
Tuttavia, la narrazione dei media ha suscitato confusione. Molti titoli riportano che “Putin minaccia l’Europa”, quando in realtà il presidente russo ha semplicemente risposto alle affermazioni di Cavo Dragone, ribadendo che la Russia non intende attaccare l’Europa, ma è pronta a rispondere se attaccata. Questo scambio di dichiarazioni evidenzia la tensione crescente tra le potenze europee e la Russia.
Un aspetto preoccupante è la presenza di un “Partito della guerra” in Europa, che sembra concentrarsi in paesi come il Regno Unito, la Germania, la Francia e, in misura minore, anche in Italia. In particolare, i generali in attività sembrano più inclini a un conflitto, mentre quelli in pensione appaiono più consapevoli dei rischi associati a tali azioni. Questo partito spinge per attacchi a Kaliningrad, alla Transnistria e per sbarcare in Crimea, oltre a considerare operazioni contro la flotta petrolifera russa nel Mar Nero. Tali azioni potrebbero fornire a Mosca una giustificazione per avanzare verso Odessa dopo la liberazione del Donetsk.
Le critiche si estendono anche al piano di pace proposto da Donald Trump, considerato insufficiente per risolvere il conflitto. Si teme che, tra dieci o venti anni, la situazione possa tornare al punto di partenza, e Mosca è ben consapevole di questo. La sconfitta strategica della NATO in Ucraina potrebbe rivelarsi necessaria per fermare la sua espansione verso est e per promuovere un risveglio politico in Europa, che porti a un cambiamento nei vertici politici attuali, non attraverso le manovre statunitensi, ma tramite un autentico movimento popolare.
L’obiettivo degli Stati Uniti nei negoziati sembra essere quello di “limitare i danni”, cercando di mantenere la NATO come strumento di controllo geopolitico sull’Europa. Al contempo, si sta tentando di trasformare l’Ucraina in un protettorato degli Stati Uniti, pur mantenendola al di fuori dell’Alleanza.
Un altro punto cruciale riguarda la questione del PIL russo, spesso sottovalutato. Sebbene il PIL della Russia possa sembrare inferiore a quello di alcuni Stati europei, è fondamentale contestualizzarlo. La Russia non ha un’economia basata sui servizi come l’Italia, ma possiede risorse critiche e una capacità industriale che le consente di produrre armamenti in tempi rapidi. Questo le conferisce un vantaggio strategico rispetto alla maggior parte dei membri della NATO, che faticano a produrre armamenti in modo altrettanto efficiente.
In questo contesto, la riconversione industriale europea richiederà almeno un decennio, mentre la Russia può produrre armamenti in tre mesi ciò che la NATO produce in un anno. Di conseguenza, il piano di Trump è visto come una soluzione temporanea che non affronta le cause profonde del conflitto, ma piuttosto lo congela, preparando il terreno per futuri scontri quando la NATO sarà “pronta”.



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