Terribile errore chirurgico,scambia rene per tumore e lo rimuove



Questo articolo in breve

Scambia un rene per un tumore e lui, medico chirurgo, lo rimuove dal corpo di una donna. E’ successo negli Stati Uniti, in un ospedale della Florida, il Wellington Regional Medical Center.

La paziente che ha subìto l’errore è stata una 51enne che nel 2016 era andata sotto i ferri: la donna aveva chiesto aiuto ai medici per un dolore causato da un incidente stradale avuto anni prima.



Prima dell’intervento si era sottoposta a due risonanze magnetiche che però non sarebbero state viste dal medico che poi l’ha operata. E proprio in sala operatoria il chirurgo ha rimosso un rene pelvico: un organo perfettamente funzionante che non si trova nella sede naturale dell’organo: è una condizione piuttosto rara che avviene alla formazione del feto.

Proprio in questi giorni il Dipartimento della salute della Florida ha chiesto alla commissione medica di sospendere o revocare la licenza professionale del chirurgo o di sottoporlo ad altre sanzioni. L’ospedale, nel frattempo, ha preso le distanze, dicendo come fosse un professionista indipendente dalla struttura.

Lista anti-errori in chirurgia

E l’uovo di Colombo della chirurgia: una semplice check-list, che a molti specialisti di primo acchito può sembrare una perdita di tempo inutile, ha invece dimostrato sul campo di ridurre la mortalità e le complicanze in misura straordinaria, quale che fosse il contesto clinico in cui è stata applicata, dalla Tanzania al Canada, dalle Filippine agli Stati Uniti.

Lo studio, appena pubblicato sul “New England Journal of Medicine” da Atul Gawande dell’Università di Harvard e colleghi distribuiti in tutto il mondo, dimostra infatti che l’adozione di 19 semplici passaggi standardizzati – che mirano ad assicurare la corretta identificazione del paziente e della procedura, la corretta somministrazione di anestesia e profilassi antibiotica e la dovuta attenzione alle normali prassi – permette da sola di ridurre la mortalità operatoria addirittura del 40% e le complicanze intraoperatorie di oltre un terzo.

L’analisi è statarealizzata in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della Sanità e ha coinvolto circa 3.800 pazienti operati tra ottobre 2007 e settembre 2008 in ben otto ospedali, in Paesi molto diversi per ricchezza e organizzazione sanitaria: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia, Siria, India, Filippine e Tanzania. Il tasso medio di mortalità è passato dall’ 1,5% allo 0,8%, mentre le complicanze gravi sono scese in media dall’ 11% al 7 per cento.

Un aspetto che ha stupito molto i ricercatori è l’omogeneità dei risultati: gli enormi miglioramenti tra la situazione precedente e quella successiva all’introduzione della check-list sono stati sovrapponibili ovunque. «I risultati sono sorprendenti. Indicano che in ambito chirurgico ci sono significative carenze nel lavoro di gruppo e nelle buone pratiche in tema di sicurezza, tanto nei Paesi poveri quanto in quelli ricchi» spiega Gawande. «Con un volume globale di interventi chirurgici annui che oggi supera persino il volume delle nascite, l’uso della check-list dell’Oms potrebbe prevenire milioni di decessi edisabilità». Per questo motivo, secondo i ricercatori, si dovrebbe introdurla nella pratica quotidiana degli ospedali.

«L’impatto è stato visibile in tutti gli ospedali che hanno partecipato allo studio» ha spiegato Alex Haynes, anch’egli dell’Università di Harvard e tra gli autori dell’articolo del New England. «Persino molti clinici che inizialmente erano scettici nei confronti dell’idea ora la promuovono perché hanno osservato i benefici in termini di sicurezza e adeguatezza delle cure».

Una delle caratteristiche che colpiscono è proprio l’apparente banalità delle raccomandazioni, che prevedono per esempio che tutti i membri dell’équipe operatoria conoscano nome e ruolo di tutti gli altri, e che il nome del paziente, l’area da operare e la procedura siano scanditi ad alta voce in più fasi (http://www.who.int/patientsafety/safesurgery/en/). Secondo gli autori dello studio, questo approccio andrà ben presto verificato anche in altri contesti: «In specialità mediche come la cardiologia o la pediatria – azzarda Gawande – potrebbero diventare essenziali quanto lo stetoscopio».



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