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SLIDING DOORS Se non fosse stato per Benatia, Caceres avrebbe preso un aereo per il Giappone, dove lo attendeva il Kobe, club in cui giocano Villa, Iniesta e Podolski. Invece all’improvviso la sua carriera ha preso un’altra strada: lo scontento Medhi, chiuso da un altro rientro, quello estivo di Leonardo Bonucci, si è presentato da Fabio Paratici con l’offerta dell’Al Duhail, squadra del Qatar: 10 milioni di euro più bonus (circa 4), e 5 milioni al giocatore per altre 3 stagioni (il contratto con i bianconeri scade nel 2020). La Juventus ha resistito fino all’ultimo, perché Allegri considera il marocchino la terza scelta in difesa e con Barzagli infortunato (rientrerà a fine febbraio) non vuole correre il rischio di trovarsi con gli uomini contati in Europa, però Benatia ha puntato i piedi e il club si è trovato con le spalle al muro: inutile tenere un giocatore controvoglia, ultimamente alle prese con troppi acciacchi e ormai in rotta con tecnico e ambiente. Meglio lasciarlo andare, prendere i soldi e rispolverare un usato sicuro gradito l’allenatore. Così è nata l’idea del Caceres Ter, ora 31enne, difensore esperto e multitasking che può giocare sia in mezzo sia sulla fascia. PRESTITO L’uruguaiano l’ha spuntata sugli altri candidati (Skrtel, Ivanovic, Cahill, Bruno Alves e Garay tra i profili seguiti) perché ha tutte le carte in regola: è economico e affidabile, ha un pedigree internazionale, conosce già non solo la A ma anche modi e abitudini bianconeri e non è allergico alla panchina. La fragilità è, ed è sempre stata, il suo grosso limite. Ieri la Juventus ha spinto decisa sull’acceleratore: dopo l’ok di Caceres ha contattato la Lazio, con cui si è accordata per 600 mila euro di indennizzo. Caceres ieri è stato raggiunto a Roma dall’agente Davide Lippi e ha firmato: prestito secco fino a giugno (il contratto con la Lazio scadrà a giugno) e ingaggio di 900.000 euro netti. Nelle ultime ore anche l’Inter aveva fatto un sondaggio per il difensore, ma il suo arrivo a Milano era subordinato alla partenza di Miranda.

LA SPINTADI ALLEGRI Dopo le visite (che saranno approfondite, visti i numerosi guai fisici dell’uruguaiano), calendarizzate per stamattina al J Medical, e l’ufficialità Caceres inizierà la sua terza vita in bianconero. Nelle precedenti 5 stagioni e mezzo tante gioie ma anche brutti infortuni (l’ultimo, la rottura del tendine d’Anchille: stagione finita a febbraio 2016) e diverse bravate (la più clamorosa lo schianto in Ferrari con sospensione della patente nel settembre 2015, per cui la Juve lo mise fuori rosa). Decisivo l’ok di Allegri, che lo ha sempre apprezzato: «Senza infortuni sarebbe stato con Bonucci, Barzagli e Chiellini tra i difensori più forti al mondo», è il pensiero del tecnico. Non si fosse fatto male (frattura del malleolo a marzo 2015) avrebbe giocato lui e non Lichtsteiner la finale di Champions di Berlino col Barça. A Torino l’aspetta quella 4 che è già stata sua.

 Nostalgia o presa in giro? Il dibattito è aperto anche perché il diretto interessato, il capitano del Real Madrid Sergio Ramos, non ha mai commentato la scelta. Le immagini, però, dell’ennesima esultanza alla CR7 hanno fatto il giro del mondo. Protagonista tre giorni fa nella vittoria in Coppa del Re contro il Girona, il difensore ha prima tirato il rigore con il cucchiaio e poi ha segnato di testa, con la corsa verso la bandierina e la mezza giravolta nel saltello finale, praticamente la stessa sceneggiatura dell’esultanza che porta il marchio di fabbrica CR7. 

Più che nostalgia, viste anche le dichiarazioni non proprio amichevoli legate a Cristiano Ronaldo, sembra che Ramos abbia voluto ribadire non soltanto a parole ma anche con i gesti come il Real Madrid non sia orfano di CR7 e non abbia bisogno del giocatore più rappresentativo dell’ultimo decennio per continuare a vincere. Quella che per altri può sembrare una provocazione, per il fuoriclasse portoghese rappresenta invece un grande stimolo – oppure uno splendido assist – dal momento che le pungolature madridiste non fanno altro che stuzzicarlo e caricarlo a mille in vista della sfida di questa sera all’Olimpico di Roma contro la Lazio.  

Ad esse vuole rispondere nella maniera che gli è più congeniale, ovvero segnando e mostrando l’originale dell’esultanza, non soltanto una copia sbiadita in versione blanca. E magari riservare una dedica speciale anche all’ex compagno di squadra.

Non è la prima volta che Ramos prende spunto da Cristiano per esultare al gol: è già successo ad agosto nella Supercoppa europea, a dicembre nella finale del Mondiale per club e pure in nazionale, a settembre, nella sfida vinta dalla Roja contro la Crozia. Occasioni importanti, talvolta con delle Coppe in palio, ma se l’intento di Ramos è quello di confermare come a Madrid non si senta la mancanza di CR7, i numeri dicono ben altro. Se si guarda infatti alla classifica dei marcatori della Liga, senza Cristiano non c’è neppure un madridista nei primi dieci della graduatoria guidata ovviamente da Leo Messi. Davvero un dato che stupisce, e che dovrebbe far riflettere Florentino Perez come tutto l’ambiente madridista, mentre in Italia il fuoriclasse portoghese è secondo dietro un sorprendente Fabio Quagliarella, a dimostrazione che, a ogni latitudine, CR7 sa sempre andare a segno.  

La sfida contro la Lazio rappresenta un’altra ghiotta occasione per lasciare il proprio sigillo. Sono passati più di dieci giorni dall’ultima rete (a Gedda, nella Supercoppa italiana) griffata Cr7, quando di fatto ha regalato la Coppa alla Juventus, e adesso il numero 7 bianconero smania. Per un fuoriclasse nato per i gol l’astinenza dà fastidio, come il rigore sbagliato lunedì sera contro il Chievo. CR7 ha però la capacità di resettare tutto e di ripartire dalle 14 reti che ha segnato nel girone d’andata. Già, dopo il digiuno nelle prime tre giornate, il penta Pallone d’Oro con la doppietta al Sassuolo non si è fermato più ed è arrivato a uno score fantastico: 20 partite di campionato, sempre presente, 14 gol e 5 assist. 

Bottino possibilmente da incrementare (raddoppiandolo) da qui a maggio, come il numero di Coppe da alzare alla faccia dei giocatori del Real Madrid. Con Ramos, ma anche con Lucas Vazquez, qualche attrito c’è stato nelle dichiarazioni (al capitano del Real non sono andate giù le parole di Cr7 sull’unità dello spogliatoio bianconero rispetto a quello madridista), poi tacitate da parole di amicizia. Ma a Madrid CR7 sa di poter contare soltanto su un vero amico, Marcelo. Che non a caso bramerebbe dalla voglia di raggiungerlo a Torino per continuare a giocare insieme.  

C’è chi dice che a spingere Medhi Benatia in Qatar non siano stati solamente Bonucci e Chiellini -la coppia titolare – ma anche la crescita di Daniele Rugani, che Allegri in questa prima parte di stagione ha preferito in diverse occasioni al marocchino. Di sicuro con l’uscita di Benatia e il ritorno di Martin Caceres, per l’ex Empoli inizia una nuova vita: sarà lui a tutti gli effetti la prima alternativa ai due senatori azzurri, un vero e proprio titolare aggiunto. Premio alla crescita costante e alla pazienza di questi anni, basti pensare che il Chelsea in estate aveva offerto più di 40 milioni per lui e la Juve ha risposto “no, grazie”. Nuova vita, per Rugani, annunciata dallo stesso Allegri durante la conferenza di ieri: «Con l’uscita di Benatia, di cui sono molto dispiaciuto, e con l’arrivo di Caceres, che mi rende molto contento, ci sarà la conferma della crescita di Rugani. Adesso Daniele ha la possibilità di giocare tante partite». Per stasera, contro la Lazio, il tecnico sta pensando di far rifiatare Chiellini schierando Rugani in coppia con Bonucci. 

 Tra infortuni e squalifiche, quando la difesa viene meno allora il miglior metodo per sopravvivere diventa attaccare. Il tutto, seguendo sempre lo stesso credo tattico, quello di un 3-5-2 che Simone Inzaghi sta dimostrando di non voler abbandonare così facilmente. Da quando lo ha scoperto, il tecnico biancoceleste ne è diventato un vero fanatico. Anche se a parole non è la prima volta che dice quanto segue: «Sì, il modulo si può cambiare, e si può anche rimanere come abbiamo sempre giocato. Vedremo dopo la rifinitura. Tutte le squadre, a parte Napoli e Juve, hanno fatto meno punti rispetto all’anno scorso. Abbiamo un inizio di calendario difficile come all’andata, sappiamo che queste gare sono nelle nostre corde, lo abbiamo dimostrato fino all’anno scorso». Ma anche stavolta, nonostante le avversità dovute alle assenze per squalifica di Marusic e Acerbi, oltre che al forfait di Luiz Felipe, difficilmente cambierà. A meno che non abbia messo in atto una pretattica così massiccia da condizionarne tutte le sedute da mercoledì scorso (ma non va escluso), sembra davvero intenzionato a proporre una Lazio a trazione anteriore, con tutti gli uomini di fantasia in campo e con Marco Parolo spostato sulla fascia destra. Proprio quella di Cristiano Ronaldo. È lì che ruotano i ragionamenti sull’undici titolare di stasera, perché per l’ex Parma sarebbe la prima da titolare in quella posizione dopo aver fatto apprendistato al San Paolo domenica scorsa ma solo a gara in corso. «Abbiamo diverse personalità, possiamo giocare a quattro o a tre. Posso mettere Patric a destra oppure Parolo, indipendentemente dal modulo ciò che conteranno saranno le motivazioni». La verità è che di Patric non si fida più, Caceres è andato via, Lukaku difficilmente sarà in condizione, Basta è fuori rosa. Con uno di questi sarebbe stato possibile immaginare anche Lulic a destra con Radu terzino a sinistra. E invece la formazione rimaneggiata da quella parte stasera racchiude in sé anche un messaggio alla società: l’esterno destro, lo Zappacosta dei desideri, non è una cantonata ma serve davvero. All’andata per contenere CR7 fondamentale fu proprio Marusic a supporto di Wallace: «Ronaldo sarà un osservato speciale», dice Inzaghi. La cui vera speranza resta quella di riuscire a fare qualcosa in più dei bianconeri davanti. Per riuscirvi, arretrerà Luis Alberto sulla stessa linea di Milinkovic e darà man forte a Immobile accoppiandolo a Correa in avanti. L’ultima volta che Immobile ha segnato su azione senza l’aiuto dell’argentino risale al 4 novembre con il Sassuolo. Se tutti vogliono il Tucu, un motivo ci sarà.  

C’è la sindrome da big che in casa Lazio è diventata una specie di psicosi (di quelle vere però….), senza contare la sconfitta di Napoli che ancora brucia e le assenze che sono salite a tre e tutte pesanti: Acerbi e Luiz Felipe in difesa, Marusic a destra. All’Olimpico, per giunta, arriva la squadra più forte d’Italia, anzi per dirla con Simone Inzaghi “i numeri uno in Italia e in Europa”, con il giocatore “più forte al mondo assieme a Messi”. Insomma, se foste degli scommettitori su chi puntereste? E se foste un allenatore, come vi sentireste? C’è chi può cercare degli alibi ancor prima di giocarla, una gara così. Inzaghino invece fa esattamente il contrario e neanche lascia mezzo adito di dubitare in una Lazio già sconfitta in partenza: «La Lazio non ha nulla da perdere? Non è così, ci sono 3 punti in palio». Che aggiunti ai 3 già persi al San Paolo contro la seconda del torneo (con il Napoli «volevamo fare meglio, abbiamo lasciato il possesso ai partenopei, andati in vantaggio con merito»), sarebbero 6 punti in meno nella lotta Champions. «Abbiamo qualche defezione – ammette il tecnico biancoceleste – ma non c’è nessun problema, ne avrà anche la Juve». Chapeau alla sportività. La carica che ne dovrebbe derivare sui giocatori è la diretta conseguenza e Inzaghi non ha dubbi che «chi giocherà dall’inizio farà di tutto per mettermi in difficoltà anche in vista delle prossime gare». Che il calendario biancoceleste mette subito dopo innanzi all’Inter a San Siro per provare a strappare la qualificazione in semifinale di Coppa Italia. Chi conosce Inzaghi sa che il tecnico laziale non ama farsi le tabelle e nemmeno ragionare per pacchetti di partite. Perché con questi chiari di luna si sarebbe dimesso prima della battaglia. La ricetta ripete di conoscerla, come lo ripeteva anche prima del 2-0 di agosto: «Dovremo fare una partita importante, che ci è riuscita in passato. Speriamo di farcela anche domani (stasera, ndr). In settimana abbiamo lavorato bene. Vedremo quello che succederà, serve una prestazione importante». Poi aggiunge: «Servono motivazioni e il giusto approccio – parola di Inzaghi – La Juve tende sempre a giocare a un ritmo altissimo nei primi 15-20 minuti. Poi dobbiamo portare gli episodi dalla nostra parte con testa, cuore e gambe». Tra le armi in più a disposizione del tecnico, stavolta figura il nome del ‘Tucu’ Correa al fianco di Ciro Immobile. Per l’argentino ex Siviglia, spesso risultato decisivo con le sue giocate si tratta della settima partita da titolare (e già 3 gol all’attivo) in 20 presenze in campionato: «È una nostra risorsa molto importante. Prima di Napoli aveva saltato il Novara per influenza. Le ultime sei le aveva giocate tutte dall’inizio, probabilmente lo farà anche domani. Si è inserito bene, è generoso, ci aiuterà con la Juve e in futuro». 

Ultima chiosa sul mercato, che da un lato toglie (Caceres), dall’altro restituisce (Lukaku). Sul ritorno alla casa madre del primo, Inzaghi ammette: «Voleva giocare titolare, non sono riuscito a dargli una maglia da titolare fisso. Lui non ha mai creato problemi, ha sempre dato tutto, non posso rimproverargli nulla. Poi nessuno può dire di no alla Juve, gli auguro il meglio perché verso di me e la squadra si è sempre comportato bene». Discorso inverso per il belga, scaricato dal Newcastle dopo le visite mediche non superate: «E’ un giocatore importante, ha avuto delle complicazioni il suo passaggio al Newcastle. Da domani (oggi, ndr) tornerà a essere un giocatore della Lazio al 100% . Mi ha dimostrato di stare bene, altrimenti non avrebbe giocato a Napoli».  e Aaron Ramsey «è un giocatore dell’Arsenal e assolutamente non posso parlarne» (Gedda, 15 gennaio, vigilia di Supercoppa), il ritorno di Paul Pogba alla Juventus è un’ipotesi «molto, molto difficile e io non mi illudo più di tanto» (ieri, vigilia della sfida in trasferta contro la Lazio). Forse è tutta colpa della franchezza che da sempre contraddistingue Massimiliano Allegri, o forse è soltanto l’unica maniera possibile per parlare di un giocatore che il tecnico bianconero ha modellato per due stagioni, però si dà il caso che Pogba medesimo sia un calciatore tesserato per il Manchester United. Un dettaglio che l’allenatore juventino tralascia e chissà, magari, non è detto che non l’abbia fatto apposta. Del resto il rapporto che lega Max al campione del mondo è qualcosa di molto speciale e le sfide sotto canestro a margine degli allenamenti di Vinovo lo raccontano solamente in parte. 

Ecco perché quel «credo sia molto, molto difficile», detto con l’aria apparentemente sorniona di chi ne sa più di tutti, fa riflettere. E spalanca uno scenario di mercato che a ben guardare non è impossibile. Complesso, appunto, non irreale. Al punto che nel contesto dei ritorni più o meno eccellenti alla Juventus il nome di Pogba calza alla perfezione. Fabio Paratici, in qualità di responsabile dell’area Sport bianconera, sa bene che riavere il francese non sarà un’operazione agevole, ma soprattutto comporterebbe una spesa non indifferente. Il Manchester United, che nel 2016 investì 105 milioni (a parte i 5 di bonus), non avrebbe intenzione di sedersi a tavolino a prescindere. Per ora, tuttavia, perché poi il mercato è fatto di una domanda precisa (un’ottantina di milioni come base di un’eventuale trattativa potrebbero bastare) e di un’offerta che alla Continassa hanno cominciato da tempo a preventivare. Il tutto, peraltro, rischia di essere condizionato dall’inserimento di contropartite tecniche molto gradite ai Red Devils: qualsiasi riferimento ad Alex Sandro e Douglas Costa, in ottica United, non è puramente casuale. 

Dunque, se Allegri logicamente tentenna (però non chiude all’affare), tocca a Paratici scovare i margini di una trattativa che deve ancora entrare nel vivo. Nel frattempo a Carrington e dintorni il ragazzo è sempre più considerato come una star vera e propria. Da José Mourinho a Ole Gunnar Solskjaer è cambiato il mondo attorno a Pogba: otto vittorie consecutive tra Premier e Coppe con il Polpo sugli scudi, mentre il tecnico norvegese sta pensando di tornare ad assegnare al centrocampista quella fascia di capitano che ai tempi dello Special One l’estroso Paul s’era perso per strada. Quell’essere stravagante e burlone che nell’arco di un quadriennio avevano contagiato l’intero ambiente juventino: i compagni di squadra, ma pure la tifoseria eccitata da quel Pogboom che prima di trasformarsi in un hashtag di tendenza sui social era diventato un marchio da depositare all’ufficio brevetti. Il Polpo ha nostalgia della Juventus, di un clima che a Manchester ha ritrovato soltanto in parte, di una Champions League che restando in Inghilterra rischia di godersi dal divano di casa. Anche se lo United sta scalando posizioni in classifica, i desideri di Pogba conteranno ancora qualcosa. «Andrà al Real Madrid o al Barcellona», ha detto il fratello Florentin. Ci sta: il vero pericolo, al momento, fa rima con la rifondazione estiva di Florentino Perez. 

 «Non è un ripiego, Caceres è un giocatore fortemente voluto». Firmato Massimiliano Allegri. Benedizione sincera e non aziendalista come hanno pensato in molti. Per capirlo basta tornare al 30 dicembre 2017. La Juventus vince 3-1 al Bentegodi e il gol del Verona lo realizza Caceres: «Martin è un difensore importante, ho avuto il piacere di allenarlo e, se non fosse stato per gli infortuni, con Chiellini, Bonucci e Barzagli era tra i 4 difensori più forti in circolazione», sottolineò il Conte Max nel post gara. In quel momento l’uruguaiano era un giocatore dei veneti e l’allenatore juventino non aveva alcun interesse a elogiare il suo allievo. Complimenti che Allegri ha ripetuto ieri mentre il 31enne di Montevideo svolgeva le visite mediche nella clinica bianconera per iniziare la sua terza avventura con i campioni d’Italia. 

Il tecnico livornese è un ottimista-pragmatico: come tutta la Juventus avrebbe fatto a meno della grana Benatia e della cessione del marocchino (domani la chiusura con l’Al-Duhail), ma nel momento in cui ha capito che la società non aveva scelta, ha concordato con i dirigenti la soluzione più pratica: bloccare il volo dell’ex laziale Caceres per il Giappone e riportarlo a Torino. «Insieme alla società – ha spiegato Allegri – abbiamo valutato i profili che potevamo prendere (dal giovane Christensen agli esperti Bruno Alves, Ivanovic, Skrtel, Cahill, ndr) e abbiamo avuto la fortuna che Martin abbia accettato. Io sono molto contento. Caceres conosce l’ambiente, è affidabile, va a completare un reparto già forte ed è un positivo: avere ragazzi così in squadra è sempre molto importante. Sulla scelta ha inciso il fatto che sia un giocatore che conosco e secondo me può dare tanto. E poi è pronto subito. Mentre con gli altri profili, tra imparare la lingua loro e valutarli noi, il tempo sarebbe stato maggiore». Non a caso l’altro nome caldo era Bruno Alves, il grande amico di CR7 protagonista nel Parma. 

Allegri non ha rimpianti sulla gestione di Benatia: «Medhi ha fatto una scelta contro le nostre intenzioni, che non credo dipenda da giocare o non giocare: va in Qatar. Tenere un calciatore controvoglia non avrebbe avuto senso. Sono dispiaciuto anche io che vada via, ma non posso cambiare la sua idea». 

Oltre a parlare di Pogba (vedi pagina a fianco), il Conte Max ha affrontato altri temi di mercato: «Ho parlato con Kean, deve restare, spero abbia capito. Moise a febbraio compie 19 anni e del calcio deve imparare tutto. Andando via rischia di fare qualche minuto in più, ma sicuramente perde il suo percorso di crescita. A dire che Kean fa gol non ci vuole tanto, è una sua qualità. Ma serve calma per credere che possa essere pronto per giocare davvero da un’altra parte. La Juventus è il posto ideale per migliorare, guardate come è cresciuto Rugani. Per me chi va via dalla Juve, sbaglia». Alvaro Morata, anche se non per volontà sua (il Real Madrid nel 2016 esercitò la clausola), lo ha fatto e il prossimo mese i bianconeri potrebbero trovarselo di fronte in Champions con l’Atletico Madrid: «Non gufo il suo trasferimento. Se Alvaro andrà all’Atletico, lo affronteremo. Altrimenti troveremo un altro». 

 Il terzo abbraccio fra Martin Caceres e la Juventus è stato salutato dai tifosi bianconeri con commenti dal tenore variopinto. E forse non ha tutti i torti chi pensa che se l’uruguaiano ha rifiutato le badilate di denaro prodigalmente offerte dai giapponesi del Vissel Kobe per tornare a Torino, vuol dire che il ragazzo – 32 anni il 7 aprile – si sente ancora juventino dentro. Dunque, come logica conseguenza, non sarebbe il caso di sollevare polveroni di scetticismo su un affare che comporterebbe un esborso minimo per un calciatore del tutto consapevole di cosa voglia dire giocare nella Juve. E soprattutto trionfare indossando quella maglia a strisce bianconere. 

Fatta la premessa, dunque, meglio stare alla larga anche da chi pensa che si tratti di una “scommessa stagionata”. Caceres, piuttosto, è una di quelle opportunità che il mercato riserva a chi sta alla finestra, pronto a risolvere i problemi con un colpo a sorpresa. Perché la Juventus ha provato fino all’ultimo a convincere Medhi Benatia a recedere dal suo irrefrenabile desiderio di fuga, ma il marocchino ha detto basta (come disse basta al Bayern Monaco nell’anno 2016 per le incomprensioni con Pep Guardiola). Il centrale firmerà lunedì per i qatarioti dell’Al-Duhail allenati dal portoghese Rui Faria, ex assistente di José Mourinho. I dirigenti juventini non incasseranno poco: 8 milioni più quasi altrettanti di bonus per un giocatore in scadenza nel 2020, lo stesso destinato a guadagnare 13 milioni complessivi di base nel suo nuovo El Dorado che se lo coccolerebbe fino al 2022. 

Sul fronte Caceres ecco le cifre in ballo: l’uruguaiano costerà non più di 5-600 mila euro alla Juventus, frutto dell’intesa con il presidente Claudio Lotito che al Bologna ne aveva chiesti 800 mila. Sayonara, dunque, ai giapponesi, alla possibilità di giocare nella squadra in cui militano il 33enne Lukas Podolski, il 37enne David Villa ma soprattutto il classe ’84 Andres Iniesta pluricampione d’Europa e del mondo. El Pelado, evidentemente, ha ritenuto che il momento di andare a svernare in una meta esotica debba ancora venire e che la Juve sia la prospettiva migliore. Ottenuto l’ok della Lazio in serata, questa mattina (ore 11 al J Medical) il difensore sosterrà le visite mediche, però la firma su un contratto di cinque mesi non è più un mistero. 

Juventus e Lazio hanno lavorato a lungo sui dettagli dell’affare. Caceres ha un contratto con i biancocelesti in scadenza il 30 giugno, con un’opzione di rinnovo fino al 2020. I club hanno ragionato sull’opportunità di un prolungamento con annessa cessione del cartellino in prestito (è la linea della Lazio) oppure sull’acquisizione bianconera del cartellino con leggero indennizzo a beneficio di Lotito (la posizione bianconera). E con l’entourage del giocatore si è anche accennato a un’ipotetica opzione 2020 che può scattare in base al verificarsi di determinate condizioni. Ad ogni modo il sudamericano sarà tre volte bianconero, come Bruno Garzena, Alberto Marchetti, Enzo Maresca, Sebastian Giovinco e Marcelo Zalayeta. Non è un primato per “colpa” di Paolo De Ceglie, il terzino valdostano che fece parte della rosa in 4 periodi distinti: una prima esperienza nel 2006-07, una seconda dal 2008 al 2014, quindi i ritorni nel gennaio 2015 e nella stagione 2016-17 (ma nel luglio 2016 fu messo fuori rosa). Con l’arrivo di Caceres sfumano le altre soluzioni per il dopo Benatia, da Christensen (Chelsea, il preferito della Juve) a Bruno Alves (Parma), l’amico di Cristiano Ronaldo. 

 

Dopo essere riuscito a bloccare con successo, almeno fino al prossimo mese di giugno, l’offensiva del Bayern Monaco sul fronte Lucas Hernández, l’Atlético Madrid sta preparando i botti finali. E già, perché nei prossimi giorni, forse prossime ore, il club colchoneros comunicherà ufficialmente di aver raggiunto due importantissimi accordi strategici: il rinnovo di Diego Pablo Simeone fino al 2022 e il prestito di Alvaro Morata per i prossimi 18 mesi (con diritto e non obbligo di riscatto). Una doppietta entusiasmante per i tifosi rojiblancos che, da un lato, si assicurano la continuità del proprio líder máximo, dell’uomo che ha cambiato le sorti del club e, dall’altro, attendono a braccia aperte l’arrivo dell’ex attaccante del Real Madrid con la soddisfazione di chi conosce bene le sue qualità tecnico-tattiche, ma anche e soprattutto con la malizia di chi sa che, sull’altra sponda del Manzanarre, non la prenderanno affatto bene. Perché il popolo madridista è ancora molto affezionato al proprio canterano: «Non è ancora successo nulla. Quando e se arriverà Morata dirò quello che penso», ha sottolineato, per il momento, un guardingo Cholo Simeone. Ciononostante, non è un segreto per nessuno che sia stato proprio il tecnico argentino a spingere i propri dirigenti a fare uno sforzo per riportare Alvarito a Madrid. 

 

Scenario alternativo 

 

Com’è noto, tuttavia, l’operazione Morata verrà chiusa soltanto quando l’Atlético Madrid sarà riuscito a piazzare Gelson Martin, sempre più vicino al Monaco, e uno tra Nikola Kalinic e Jonny Otto. Fino a qualche giorno fa, infatti, in casa Atleti erano sicuri che la maniera più semplice di diminuire il proprio monte salariale fosse quello di cedere, oltre al portoghese, anche l’attaccante croato. Tuttavia, i continui problemi fisici di Diego Costa hanno spinto i dirigenti madrileni a delineare uno scenario alternativo. Ed è proprio qui che entra in scena il terzino sinistro ceduto in prestito dai colchoneros al Wolverhampton. Se Miguel Angel Gil Marín riuscirà, infatti, a convincere il club inglese a ingaggiare il difensore spagnolo a titolo definitivo, Kalinic non sarà più costretto a fare le valigie. 

 

Preoccupazione 

 

Quello che è certo è che, oggi pomeriggio contro il Getafe, Simeone butterà dentro l’ex centravanti di Fiorentina e Milan sin dal primo minuto. E non solo perché, a causa dei numerosi contrattempi muscolari, non ha altra scelta, ma anche perché il Cholo crede davvero in lui: «Conto su di lui perché fa parte della nostra rosa. Si è sempre comportato come un grande professionista e io ho un debole per i calciatori che danno tutto quello che hanno in corpo». Il tecnico argentino, allo stesso tempo, ha fatto sapere di vivere con un po’ di preoccupazione gli ultimi giorni di mercato: «È impossibile rimanere tranquilli sia per tutto quello che concerne le uscite che per chi deve arrivare. Fino all’ultimo momento rimarremo inquieti. Con Andrea (Berta), Miguel Ángel (Gil Marín) ed Enrique (Cerezo) ci sentiamo tutti i giorni con l’obiettivo di trovare il modo di far crescere continuamente il club».

 

l momento si fa serio, per utilizzare una terminologia cara a Massimiliano Allegri. Perché le settimane decisive per la stagione si avvicinano, perché la doppia trasferta tra Roma e Bergamo ormai alle porte sarà particolarmente delicata. Per il campionato l’una, per la Coppa Italia l’altra. Lo sa bene il gruppo bianconero, e lo sa ancora meglio dopo la visita alla Continassa di ieri mattina da parte del presidente Andrea Agnelli. Un segnale tangibile, in questo senso, nella giornata che ha regalato al tecnico bianconero il sorriso di Joao Cancelo. Che sta smaltendo l’affaticamento al polpaccio rimediato all’indomani dei 90’ disputati in Supecoppa a Gedda e che ieri ha lavorato parzialmente insieme al resto del gruppo: il recupero procede spedito e il terzino portoghese potrebbe figurare già tra i convocati per la sfida alla Lazio di domani sera. Al contrario di Sami Khedira, Miralem Pjanic e Mario Mandzukic, le cui condizioni non destano preoccupazione ma che torneranno a disposizione la settimana prossima tra l’impegno infrasettimanale con l’Atalanta e la sfida al Parma di sabato sera in campionato. In un complicato puzzle che vede Allegri privo anche dei lungodegenti Andrea Barzagli e Juan Cuadrado, mentre Medhi Benatia se lo porteranno presto via le dinamiche di mercato. Tante assenze che dovrebbero oggi indurre il tecnico toscano ad inserire nella lista dei convocati per la trasferta capitolina anche il giovane talento Nicolò Fagioli, rifinitore classe 2001 che vivrebbe così la sua prima esperienza in Serie A dopo aver già esordito tra i professionisti con l’Under 23 di Mauro Zironelli. Tante assenze che, allo stesso modo, limitano fortemente le scelte nella definizione dell’undici anti-Lazio, a loro volta figlie di ragionamenti più ampi che non possono prescindere dai seguenti, ravvicinati, impegni in calendario. In questo senso il grande dubbio riguarda la decisione di schierare un centrocampo a tre – costituito inevitabilmente da Rodrigo Bentancur, Emre Can e Blaise Matuidi – piuttosto che di ripetere il 4-4-2 disegnato lunedì sera contro il Chievo, con in campo dal 1’ contemporaneamente Douglas Costa e Federico Bernardeschi. Altrimenti in ballottaggio tra loro per l’ultima maglia del tridente da affiancare a quelle di Paulo Dybala e Cristiano Ronaldo.



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