Harvey Weinstein, dovrà scontare da i 5 ai 25 anni



Colpevole di stupro e violenza. Ma non è un predatore sessuale, qualcuno cioè che scientemente cercava donne da abusare sessualmente. Dal momento che ad accusarlo di essere state stuprate da lui sono state negli ultimi due anni circa cento donne, la sentenza emessa il 25 febbraio dal tribunale di New York può anche stupire in negativo e lasciare l’amaro in bocca. Nonostante la distinzione giuridica eviti all’orco l’ergastolo, una cosa è certa però: Harvey Weinstein, 67 anni, il produttore cinematografico americano sotto inchiesta per la colpa più infamante di cui un uomo di potere possa macchiarsi, molestie sessuali in cambio di un aiuto alla carriera di ragazze e donne, nel suo caso aspiranti attrici, ora è in carcere.



Uno dei più duri degli Stati Uniti: il penitenziario newyorchese di Rikers Island. E in una cella ci rimarrà tra i 5 e i 25 anni. L’esatta portata della pena sarà resa nota dal giudice non prima dell’11 marzo. «Questo giudizio ha cambiato la storia della lotta contro la violenza sessuale, perché finalmente le donne che hanno testimoniato sono state ascoltate e credute. Da ora in poi, dunque, le vittime sapranno che ottenere giustizia è possibile», ha dichiarato Cyrus Vance, il procuratore di New York.

I fascicoli giudiziari nei confronti di Weinstein sono stati istruiti ufficialmente nel 2017, dopo che varie inchieste giornalistiche avevano raccolto le scioccanti testimonianze di attrici abusate dal produttore- orco e costrette al silenzio con la minaccia di non trovare mai più una scrittura. Un ricatto schiacciante grazie alla influentissima posizione di Weinstein. Harvey nel 1979, insieme con il fratello Robert, fondò la Miramax, casa di produzione con cui arrivò al successo. Vendendola alla Disney nel 1993 i due diventarono miliardari e nel 2005 crearono una nuova azienda, la Weinstein Company.

Weinstein ha realizzato alcuni fra i migliori film degli ultimi decenni: Shakespeare in Love, vincitore dell’Oscar nel 1999, Gangs of New York (2002), Django Unchained (2012). Per comprendere di quale prestigio godesse, basti pensare che nel 2012 Meryl Streep, ricevendo l’Oscar come migliore attrice per l’interpretazione dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher nel film The Iron Lady (2011), celebrò il suo produttore, Harvey appunto, definendolo «il dio di Hollywood». La grande attrice ha poi cambiato idea: «Non tutti, me compresa, sapevano quello che faceva». Purtroppo per le sue vittime, il delirio di onnipotenza di Weinstein, oltre che sul set, si scatenava nel suo ufficio o in camere d’albergo nel possedere con la forza le donne che vi attirava. Le vittime hanno nomi scolpiti nell’olimpo hollywodiano.

Già, perché ai soprusi sessuali di Weinstein si trovarono costrette attrici come Salma Hayek, Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Uma Thurman, cui seguirono le accuse di altre decine e decine di donne. Uno tsunami di rivelazioni che porta alla nascita del movimento #metoo, “anch’io”, a sostegno delle donne molestate. Ma le attrici che con immensa sofferenza escono allo scoperto per denunciare le aggressioni e le umiliazioni subìte da Weinstein finiscono perfino con il doversi difendere dalla accusa di avere atteso troppo a lungo, anche vent’anni, prima di rivelare l’orrenda verità. Un esempio per tutte è la gogna mediatica cui venne sottoposta per questo motivo Asia Argento. Che adesso, con la condanna penale del produttore, è giustificabile quando dichiara: «Mi sento vendicata, non soltanto io ma tutte le donne che hanno lottato per questa giustizia.

E mi sento vendicata nei confronti di tutti quegli uomini che in Italia mi hanno chiamata prostituta per avere raccontato la verità su quanto mi era accaduto quando avevo appena 21 anni». Giornate durissime, quelle del processo a Weinstein iniziato il 6 gennaio e terminato con la sua condanna il 25 febbraio, vissute anche dalle sue due accusatrici nell’aula del tribunale di New York, l’ex assistente del produttore Miriam Hailey e l’attrice Jessica Mann. Delle altre vittime, delle quali si è quasi perso il conto, 29 hanno raggiunto a dicembre 2019 un accordo e verranno risarcite per un totale di 22 milioni e mezzo di euro.

A cercare di screditarne la testimonianza, Miriam e Jessica hanno trovato in prima fila l’avvocato di Weinstein, Donna Rotunno, donna di nome e di fatto, ma agguerrita verso di loro più di un uomo. «Se in un controinterrogatorio un avvocato maschio si mettese contro una donna con la mia stessa acredine sembrerebbe un bullo, se lo faccio io nessuno batte ciglio», si è vantata la legale. Per Weinstein a Los Angeles si apre ora un nuovo procedimento, sulla base di una denuncia per stupro sporta nel 2017. E lì Harvey rischia fino a 28 anni di carcere. Ancora una volta avrà solamente Donna Rotunno al suo fianco.



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