Laura Pausini con il compagno, il chitarrista Paolo Carta, 56 anni, in un concerto pre-pandemia.



Neppure ce ne fosse stato bisogno, Laura Pausini ha confermato di essere la popstar più amata dagli italiani e la popstar italiana più amata nel mondo, anche a giudicare dalle reazioni social che suscita a tutte le latitudini. Il 15 marzo ha ricevuto la nomination all’Oscar per la miglior canzone originale, ossia Io sì (Seen), che fa parte della colonna sonora del film La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, con Sophia Loren.



A maggio Laura festeggerà 47 anni e prima, il 25 aprile, a Los Angeles, potrebbe festeggiare la statuetta. Scherzando alla sua maniera, quando ha incontrato i giornalisti ha mostrato una tisana drenante: «Agli Oscar bisogna andarci eleganti e quindi ho iniziato subito a mettermi in forma, anche se durante il lockdown sono stata forse l’unica a dimagrire».

In fondo la Pausini è così: immediata e sincera, una delle poche cantanti capaci di essere davvero popolari. Non a caso, ha tre milioni e mezzo di follower sia su Twitter sia su Instagram e il suo consenso è realmente planetario.

Per capirci, quando Laura canta all’estero, il pubblico canta in italiano anche se non conosce l’italiano. «E, quando lo sento, io un po’ me la tiro», dice lei, che conserva quella timidezza verace di chi non dimentica di venire dalla provincia. «Il mio sogno da ragazzina era di diventare l’unica cantante donna nei pianobar della mia zona, ma mio papà diceva che avevo sogni troppo piccoli». Aveva ragione. Adesso lei dedica questa nomination a suo papà Fabrizio, «ma gli dedicherò anche l’Oscar se lo vincerò», ha detto il giorno dopo l’annuncio dell’Academy.

Per capire come aveva reagito alla notizia ventiquattr’ore prima, basta vedere il video che ha diffuso sui social. Sul divano di casa ci sono lei, il compagno Paolo e la figlia Paola di otto anni in attesa silenziosa. Quando la Tv conferma la nomination, la gioia è veramente pausiniana, ossia scatenata e romagnola: «Thank you, daiiii», urla mentre abbraccia la figlia e bacia il compagno. «Paola poi mi ha confidato che lei sapeva già della mia nomination, ma ha voluto attendere che la annunciassero in Tv», ha spiegato con una complicità da mamma.

Poi però è diventata più seria: «Stavolta mi romperebbe proprio non vincere. In passato, quando ricevevo una nomination, mi convincevo sempre che non ce l’avrei mai fatta, così, quando arrivava la vittoria, era più bello». E in effetti, alla vigilia della consegna dei Grammy Awards 2006, Laura Pausini era scaramanticamente sicura che non avrebbe vinto mai e poi mai. Poi è diventata la prima italiana a vincere un Grammy, premio che nella musica è come gli Oscar nel cinema.

Quella sera allo Staples Center di Los Angeles è nata una stella globale che, passo dopo passo, adesso si gioca addirittura la statuetta che negli ultimi anni è stata vinta da superstar come Adele o Lady Gaga (non a caso, è anche invitata a celebrare i 160 anni dei rapporti diplomatici Italia- Usa, vedi www.italyus160. org). «Non mi sono mai accontentata, ho sempre voluto andare oltre ciò che avevo appena raggiunto. Ma ora mi chiedo: sono arrivata agli Oscar, quale sarà la mia nuova sfida?».

Molti pensano che un’artista famosa perda le proprie radici e viva nel mondo delle celebrità. Può capitare, ma con Laura Pausini no. Sotto le apparenze da diva, è rimasta quella Laura che un giorno a scuola fu chiamata dal bidello per una telefonata. «Ho pensato: oddio sarà successo qualcosa alla mia famiglia». In realtà era Pippo Baudo che le annunciava la partecipazione al Festival di Sanremo. Poi lo vinse (sezione Novità) con La solitudine e da lì è iniziata una delle carriere musicali più esaltanti che la storia della musica ricordi.

Forse per questo ancora oggi, 28 anni dopo, lei dice: «Se mi chiama Pippo Baudo ho sempre ansia, sono più tranquilla a parlare con Beyoncé». Il suo merito è di aver mantenuto fortissimo il legame con la famiglia e gli amici di sempre, quelli conosciuti sui banchi di scuola. «I miei compagni mi hanno scritto che adesso mi manca solo di vincere le Olimpiadi, ma quelle proprio no», gigioneggia. Comunque è una maratoneta del pop, una delle poche artiste capaci di affrontare tournée interminabili senza lamentarsi mai, a differenza di colleghe che spesso si arenano. Soffre moltissimo questa forzata “clausura” a causa del Covid: «Per decenni mi sono abituata a essere sempre in giro, trascorrendo al massimo venti giorni all’anno a casa.

Dall’anno scorso sono sempre a casa». Era a casa anche nell’agosto scorso quando ha iniziato a incidere il brano candidato agli Oscar: «Mi ha scelto proprio Sophia Loren perché Io sì (Seen) è il proseguimento del film La vita davanti a sé, diretto da suo figlio, che è stato molto presente anche durante la registrazione del brano. Il testo originale era in inglese, ma proprio Edoardo mi aveva chiesto di aggiungere qualche verso in italiano.

Poi l’autrice Diane Warren ha proposto di farlo proprio tutto in italiano. Così Niccolò Agliardi ha scritto i versi». Una canzone alla Pausini ma con un testo che può essere letto in tanti modi, anche alla luce della pandemia: «I provini li abbiamo fatti ad agosto, quando sembrava che si vedesse la fine del tunnel. Cantavo: “Quando impari a sopravvivere e accetti l’impossibile”… E invece, ancora oggi il verso “Quando essere invisibile è peggio che non vivere” rappresenta una sensazione che tantissimi provano ogni giorno». Il 25 aprile tantissimi tiferanno Laura nella notte degli Oscar. In un momento di tremenda incertezza, è un simbolo di talento e buonsenso. Comunque tranquilli: «Nella sera degli Oscar cercherò di non dire parolacce, altrimenti mia mamma mi sgrida subito». Capito che tipo, la Pausini?



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