Squid Game la Serie Tv che divide il mondo



Con Squid Game (letteralmente Il gioco del calamaro) Netflix, più o meno consapevolmente, ha sganciato un’atomica: Squid Game (lo scriviamo per chi, sul pianeta terra, non ha la tv, la connessione, il telefonino e neanche un amico).



Le conseguenze? Le solite: follie, manie, aspre critiche, operazioni di marketing ardite… Il tutto moltiplicato per le visualizzazioni della serie, ovvero per 142 milioni di volte. Che significa? Un esempio piccolo piccolo: le vendite delle slippers bianche, le scarpette di Vans indossate dai giocatori nella serie, sono aumentate del 7.800%. Un altro? HoYeon Jung, la stupenda protagonista, nel breve volgere di un paio di mesi è passata su Instagram dall’avere 40 mila follower a ben 23 milioni (e chissà a quanti arriveranno nei prossimi giorni).

Ed è diventata, istantaneamente, la global ambassador di Louis Vuitton. «Mi sono innamorato subito del grande talento e della fantastica personalità di HoYeon Jung», ha detto Nicolas Ghesquière, direttore creativo della Maison (vai poi a spiegare che la signora sfilava per il suo brand – e per il gruppo LVMH – dal 2017… Insomma, “l’innamoramento” e “il subito” per certi stilisti è piuttosto creativo).

Al fianco del successo che va oltre lo strepitoso, comunque, ci sono le polemiche, strepitose altrettanto. In particolare insegnanti e genitori temono l’emulazione di giochi semplicissimi, giochi di bambini, giochi dunque, per loro natura crudeli. Nella fiction, lo ricordiamo, un gruppo di disperati viene arruolato con la promessa di una vincita miliardaria per gareggiare appunto in una serie di giochi ispirati all’infanzia, ma che per i perdenti hanno conseguenze terribili. Un torneo praticato da chi è senza alcuna speranza e guardato da chi sembra avere (e, dunque, potere) tutto. Il risultato? Quello televisivo è che perdere significa morire.

Quello dei cortili delle case e delle scuole? Stiamo a guardare, ma non ad aspettare. Così succede che in tre istituti di New York venga vietato indossare i costumi e le maschere di Squid Game. E che fra il trevigiano e il veronese ci siano episodi di emulazione fra i bimbi, appunto. Tanto che la polizia postale ha stilato un vademecum, diffuso via Facebook, su come affrontare la questione ragazzi e, soprattutto, bambini che guardano la serie tv (comunque vietata ai minori di 14 anni). Quel che è certo è che la polizia, non soltanto quella postale, e le altre forze dell’ordine siano in allerta.

È notizia di una manciata di giorni fa che a Roma i carabinieri siano arrivati nel quartiere Alessandrino per una concomitanza di fattori: da un lato la presenza di alcuni bigliettini identici a quelli apparsi nella serie tv, quelli utilizzati per la convocazione dei giocatori (un rettangolo di carta bianco con un quadrato, un cerchio e un triangolo e un numero di telefono stampati sopra), dall’altro le segnalazioni di alcuni genitori che riferivano di risse tra ragazzi. I carabinieri non hanno riscontrato nulla di preoccupante oltre a una trovata pubblicitaria: un’agenzia immobiliare aveva deciso di stampare quei biglietti con il “logo”, chiamiamolo così, di Squid Game per agganciare potenziali dipendenti e/o clienti e per incentivarli a chiamare.

E poi… E poi la lista di situazioni assurde, divertenti o violente potrebbe essere ancora lunga, basti guardare le parodie, le trovate (non soltanto) web, i TikTok (la serie, scritta ormai nel lontano 2009, sembra costruita intorno a quel social). Ma molto si può riassumere su di una buffa contraddizione: ci sono madri (e pure qualche padre, suvvia) che ormai abitualmente preparano i Dalgona – i biscotti coreani protagonisti di uno dei giochi della serie tv – per la merenda dei loro figlioli. Già, proprio quelli che poi non dovrebbero guardare Squid Game. E allora il giusto dov’è? Nel mezzo. Televisivo. E nella prossima, attesissima seconda stagione.



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