Gianluigi Nuzzi con la moglie Valentina in elicottero. E il suo libro “I Predatori”, sul lato oscuro dell’Italia, spopola



Un libro “duro”, l’ultimo di Gianluigi Nuzzi. Il giornalista e conduttore di Quarto grado, in onda il venerdì in prima serata su Rete 4, ha dato alle stampe I predatori (tra noi). Soldi, droga, stupri: la deriva barbarica degli italiani, edito da Rizzoli. Sono pagine che, come dice lui «servono a guardare in faccia una realtà che accade di continuo, sempre più vicino, che si inoltra nella normale quotidianità di tutti noi, e con cui dobbiamo imparare a fare i conti ».



Nuzzi affronta il tema dei predatori sessuali, raccontando con gli atti le vicende di Terrazza Sentimento dunque le violenze di Alberto Genovese, solito drogare le sue “piccoline”, oltre a quelle dell’imprenditore Antonio Di Fazio, che le sue vittime somministrava benzodiazepine. «Bisogna conoscere il mondo che ci circonda.

La Milano da bere, del sesso e degli eccessi, è andata fuori binario. E così l’Italia», argomenta lui. «È un fenomeno nuovo: molte persone, conoscendolo, rimangono sorprese. Io per primo, leggendo gli atti che ho pubblicato, ho scoperto un mondo che non conoscevo e non immaginavo.

Un mondo purtroppo reale. Conoscere la verità fa sempre bene». Perché questa verità, secondo lei, emerge in un contesto sociale “elevato” in termini di ricchezza eposizione? «In realtà questi sono fenomeni trasversali: vittime e carnefici hanno diversa estrazione sociale. C’è Genovese che è un nerd arricchito, geniale, che precipita negli inferi. E le ragazze, sue vittime, al di là di una certa pubblicistica sono anche studentesse universitarie. Lui si vanta di iniziarle alla droga: non si trattava dunque di escort o viziose.

Questo viene confermato da Genovese stesso. Il mondo del lusso e dell’esteriorità, e del divertimento anche, possono attrarre chi ha voglia di uscire dagli incubi quotidiani del Covid o dalla normalità di una vita ordinaria. Certo è che il denaro aiuta, a procurarsi la droga o i farmaci».

Da uomo, qual è stata la sua risposta emotiva alla lettura degli atti, che ha scelto poi di pubblicare? «Da uomo mi sono reso conto che questi atti sono stati compiuti da maschi, e non da altri uomini. Da parte mia non può esserci alcun tipo di indulgenza. Tra l’altro si tratta di maschi che hanno intorno una rete di complicità, maschili e femminili, che per un proprio tornaconto vivono di eccessi, ridacchiano delle vittime, banalizzano le esistenze degli altri.

Di ragazze che hanno l’unica colpa della giovane età, o il difetto della fragilità. Questo è un mondo predatorio». Quanto incide la realtà offerta dai social network sulle debolezze di chi cade in queste trappole? «I social hanno portato ad una distorsione del sistema sociale. Se poi sarà un bene o un male lo scopriremo con il tempo. Intanto sono l’acquario nel quale nuotano e pescano i predatori. Sia Genovese che Di Fazio scelgono le potenziali prede dai social.

Il predatore sessuale cerca nei social tutte le informazioni rilevanti per la propria attività, come se fossero un catalogo da cui scegliere. Io non sono contro i social, ma credo che siano strumenti da maneggiare con cura. E di certo da non lasciare in mano agli adolescenti che si stanno affacciando al mondo». Nelle storie che racconta emerge dunque anche tanta solitudine, non solo delle vittime, ma degli stessi carnefici. Che non hanno amici, hanno complici. «È tutto molto funzionale: le gesta di Genovese non hanno luogo in un bordello ma a Terrazza Sentimento.

Questo svalorizza la parola “sentimento” e il suo concetto, che è uno dei valori alla base dei rapporti tra persone. La droga viene chiamata “vitamina” i pusher erano memorizzati sulla rubrica del cellulare con i nomi delle pizze. E le ragazze venivano chiamate piccoline, ma senza affetto. Erano solo corpi per cui compiere un rito. Nei rapporti di Genovese non c’era intimità: le ragazze erano come bambole di pezza, involucri. Io ne ho conosciute alcune e sono devastate». Ha avuto modo di parlare della genesi di questo suo libro in famiglia, in particolare con i suoi gli che oggi sono adolescenti? «A piccole dosi. Edoardo e Giovanni hanno quindici e dodici anni: la loro è un’età in cui alcune situazioni devono essere conosciute in modo marginale e non nella loro interezza. Ovviamente sono preoccupato per il loro futuro e cerco di fare al meglio il mio mestiere di genitore. Ma è come camminare: nessuno lo insegna.

Magari sbaglio, anzi sicuramente lo farò. Ma non vivo in uno stato di ansia, perché non porta da nessuna parte. Tutti i genitori hanno un egoistico sentire, di pensare che certe cose accadano solo agli altri. Questo è un approccio sbagliato: nel libro parlo di tanti insospettabili, sia tra le vittime che tra i carnefici. Nel luna park dell’orrore non è difficile entrare». Questa tendenza agli eccessi tenderà a ridimensionarsi o diventerà sempre più dominante nella società? «C’è sicuramente un impoverimento dei rapporti generazionali, tra genitori e figli.

C’è un’inadeguatezza, da parte dei genitori, a gestire gli strumenti dei figli, in particolare quelli informatici. In passato un genitore rispetto al figlio al massimo non sapeva l’inglese, mentre oggi fanno tutti fatica a stare dietro alle evoluzioni digitali. L’Italia non è solo Milano o Roma dove si pensa che si vive in maniera più moderna.

L’Italia è anche la realtà della provincia dove grazie alla rete deflagrano fenomeni pericolosi che non sono più circoscritti». Perché ha scelto di trattare un tema così controverso? «Il mio libro ha la presunzione di raccontare un deragliamento che finora era sempre stato visto in modo riduttivo e indulgente. Ai casi di cronaca nera sono abituato: a Quarto Grado raccontiamo di omicidi, situazioni estreme dalle quali non c’è ritorno. In Italia stanno diminuendo, sebbene i cosiddetti femminicidi permangono in numero alto.

Nel libro sottolineo l’aumento incredibile della diffusione di sostanze stupefacenti che annichiliscono la volontà delle persone. L’uso di benzodiazepine e della droga dello stupro che si chiama così non a caso e già dal nome dice a cosa serve, oltre alla ketamina, anestetico per cavalli, aumenta quotidianamente. Lo dice anche la grande quantità di sequestri da parte delle forze dell’ordine. La società sta andando in una direzione sbagliata: non è mio compito giudicarla, ma raccontarla sì».



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