Chi è Daniel Radosavljevic: la storia dell’italiano morto in un carcere francese



La notizia della sua scomparsa è stata diffusa il 18 gennaio e le autorità sostengono che si sia trattato di un suicidio. Ma ci sono diversi aspetti poco chiari in questa vicenda.



A pochi chilometri da Cannes, in Francia, si trova il carcere di Grasse. Qui, fino a due mesi fa, era detenuto Daniel Radosavljevic, un cittadino italiano di 20 anni residente a Rho, in provincia di Milano. Nell’ottobre del 2022 Daniel era stato arrestato dalla gendarmeria francese per non aver rispettato un controllo stradale.

Il 18 gennaio viene diffusa la notizia della sua morte all’interno del carcere francese. Secondo le autorità si tratta di un suicidio per impiccagione, tuttavia alcuni aspetti di questa vicenda rimangono poco chiari. Simone Alliva, su L’Espresso del 3 febbraio, ricostruisce i fatti e rivela una videochiamata tra i parenti del giovane e un detenuto del carcere di Grasse. Quest’ultimo non ritiene possibile “che Daniel abbia fatto questo”. E quando gli si chiede cosa possa essere successo, risponde: “Ha avuto una lite con un altro detenuto. La sorveglianza lo ha messo in cella con un’altra persona. Daniel non era d’accordo, si è arrabbiato e la guardia carceraria lo ha picchiato”.

La madre ha raggiunto l’istituto francese il 24 gennaio per recuperare gli effetti personali del figlio. Qui, altri due elementi sembrano alimentare i sospetti sul presunto suicidio: i segni sul corpo e il contenuto di alcune lettere. Il cadavere sembra presentare una ferita alla testa e una al fianco, un mignolo rotto e parti di unghie spezzate. Ma sul collo non sono stati trovati segni che possano far pensare a un’impiccagione. D’altra parte, gli appunti scritti di Daniel rivelano un inequivocabile stato di inquietudine. In un foglio con la data dell’11 dicembre si legge: “So che pensate che io abbia infamato Isham, ma chiedete alle guardie di informarsi su chi è stato a parlare. […] Ripeto, preferirei morire piuttosto che essere infamato”. E ancora: “Queste sono le parole con cui affronterò i prigionieri. Non so se morirò oggi, ma se lo farò, sono morto per la verità”. In un altro scritto del 16 gennaio, il giovane racconta un episodio di tensione avvenuto nell’area sportiva dell’istituto. Scrive: “Ho preso le mie cose e mi sono diretto verso chi ritenevo sicuro. Ho acceso una sigaretta per calmarmi”.

Dai documenti si evince il tipico tessuto di relazioni che si trova in ogni istituzione penitenziaria: i detenuti sono sottoposti a gerarchie interne che determinano alleanze e inimicizie, complicità e conflitti. Daniel Radosavljevic ha espresso il suo disagio attraverso queste pagine, come se fossero l’unica via per trasmettere la sua paura. Dopo aver parlato con il suo compagno di cella, il giovane ha descritto la sua crescente preoccupazione: “E’ stato in quel momento che ho cominciato a sentire ancora più inquietudine […] Mi sentivo agitato, impaurito e senza soluzioni”. Concludendo, ha chiesto che i suoi scritti fossero consegnati alla sua famiglia, qualora dovesse morire in quella prigione.

Attualmente, l’avvocata Francesca Rupalti, che rappresenta la famiglia del giovane, ha presentato un esposto al Tribunale di Roma, che ha la competenza per i reati commessi all’estero ai danni dei cittadini italiani. Il corpo di Daniel è stato riportato in Italia ed è attualmente a Rho, in attesa dell’autopsia che verrà effettuata oggi, 8 febbraio, presso l’Istituto di medicina legale di Milano. Ci si augura che emergano ulteriori elementi e che la verità possa emergere senza troppi ritardi.



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