Elena Di Cioccio chi è? HIV, marito, figli, lavoro, fidanzato e età



Un libro da non perdere? Quello di Elena Di Cioccio, attrice, presentatrice e inviata de Le Iene, e anche giornalista. Si chiama Cattivo sangue, edito da Vallardi, e ne parlo dopo aver visto la sua intervista e il suo monologo alle Iene. Riprendo il monologo perché è importante condividere ciò che abbiamo imparato: se prendi un farmaco al giorno e sei sieropositivo, il virus che può portare all’AIDS, all’immunodeficienza acquisita e alla morte, non solo ti sentirai bene, ma non rappresenterai più un pericolo per gli altri, non potrai infettare nessuno dopo sei mesi di terapia, neanche con rapporti sessuali non protetti, anche se è importante usare il preservativo (direi obbligatorio) se non hai un partner fisso.



Quando ho iniziato a lavorare come giornalista ventenne, la mia agenda conteneva centinaia di nomi e numeri di telefono, oggi circa 3.700. Nel corso dei mesi, all’inizio degli anni ’90, avevo contato 21 decessi: Enrico, Egon, Walter, Ugo, Rudolf, Franco, Bruno, Dario, Marco, Roberto… tutti giovani, talentuosi e di successo, stilisti, imprenditori, medici. Alcuni erano promiscui, alcuni tossicodipendenti, alcuni playboy etero o gay, altri semplicemente sfortunati che avevano avuto un amore che forse inconsapevolmente era stato infettato e non lo sapeva, come nel caso di Elena Di Cioccio che a 26 anni ha scoperto la sua sieropositività.

Elena, figlia di Franz Di Cioccio, musicista della PFM, la Premiata Forneria Marconi, che ho visto da piccola, ha recitato un monologo a Le Iene che iniziava così: “Ciao, sono Elena Di Cioccio, ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’HIV, sono una di quelle con l’aureola viola. Ero molto giovane quando questa diagnosi ha sconvolto completamente la mia vita. All’inizio avevo paura di morire, poi di poter fare del male agli altri.

“E se infetto qualcuno?”, mi chiedevo, “Non me lo perdonerei mai”. Non è mai successo, non ho mai infettato nessuno e non sono morta… Invece, in questi 21 anni, mentre le terapie mi permettevano di vivere sempre più normalmente, ciò che mi uccideva era un’immensa vergogna di me stessa… Così, per difendermi, ho nascosto la malattia e ho iniziato a vivere una doppia vita. Una sotto i riflettori e un’altra distruttiva e depressa”.

“Oggi sono orgogliosa di me, non mi vergogno più. E l’HIV è molto diverso da come lo immaginate. Non sono pericolosa, sono negativizzata e finché mi curo non posso infettare nessuno. Potete toccarmi, abbracciarmi, baciarmi e tutto il resto.

Ha narrato: “All’interno del mio corpo c’è un virus in attesa di scoppiare, l’HIV, che nel caso peggiore può evolvere in AIDS, come succedeva all’inizio. A partire dagli anni 2000, una persona con HIV in terapia farmacologica poteva condurre una vita… “Sarò in cura a vita. La malattia è diventata cronica. Non posso permettermi di non assumere i farmaci… Non mi è capitato di cercare questa situazione, è arrivata inaspettatamente… “Per me era essenziale informare i partner che ho avuto.

Non è sempre stato facile. Ti senti come il perdente, perché l’altro può giudicarti. Non è scritto da nessuna parte che dovevo farlo, c’è il preservativo. Ma a me non è stata data la possibilità di scegliere. Chi me l’ha trasmesso non me l’ha detto, penso che neanche lo sapesse. Ma se sento il bisogno di dirti che puoi scegliere perché mi prendo la responsabilità di essere rifiutata, tu non mi puoi giudicare. Posso cogliere il giudizio dal movimento delle sopracciglia altrui. “Due anni fa ho compreso che dovevo rimettere insieme i pezzi. Ora è sicuro: un sieropositivo in terapia con antiretrovirali negativizzato da oltre sei mesi non è infettivo, nemmeno se ti spargo il sangue negli occhi. È la mia situazione. Questo significa libertà, perché è garantita, non è un’opinione… Oggi assumo una sola pillola. Una al giorno.

E non sono più contagiosa.” Un ultimo suggerimento: “Il preservativo esiste, è un modo per proteggersi, è facilmente reperibile, perché non utilizzarlo? Noi donne dobbiamo sempre richiederlo. Poiché siamo molto più vulnerabili al rischio rispetto agli uomini.” A Elena Di Cioccio tutti noi, giovani e anziani, con o senza figli, dobbiamo esprimere la nostra gratitudine: senza sensazionalismo, senza cercare audience, ci ha condiviso la sua storia, il suo problema ora notevolmente ridimensionato. Ascoltandola siamo cresciuti di più, grazie, Elena. Grazie da tutti noi, e per quei 21 amici che non ci sono più. Non ho mai rimosso il loro nome e il loro numero dalla mia rubrica, non elimino mai i nomi di chi è deceduto, anche loro rimarranno per sempre, con tutti quelli che non ci sono più, non li cancellerò mai, è un modo per ricordarli e forse la loro morte in qualche modo ha contribuito a proteggere chi, conoscendo le loro storie, si è salvato.



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