Un’abitazione a Brescia trasformata in un vero e proprio inferno per 85 gatti, con il coinvolgimento di psicologi che analizzano il fenomeno dell’accumulo di animali.
Nel 2024, i volontari dell’Enpa, insieme alla Polizia locale e agli operatori dell’Ats veterinaria, sono intervenuti in un’abitazione di Brescia, a seguito di una segnalazione. All’interno di un appartamento di soli 100 metri quadri, sono stati trovati 85 gatti rinchiusi in condizioni disastrose: escrementi, rifiuti e un odore insopportabile. Il ritrovamento ha sconvolto anche i volontari più esperti, che hanno dovuto affrontare una situazione al limite del possibile, con porte e finestre sigillate da strati di escrementi.
L’operazione di recupero dei gatti è stata lunga e complessa, coinvolgendo risorse sanitarie, logistiche e sociali, nonché la ricerca di strutture di accoglienza per i felini. Questo episodio ha suscitato una riflessione profonda sul fenomeno dell’animal hoarding, o accumulo di animali, che spesso sfocia in situazioni di maltrattamento.
Secondo Ilaria Falchi, psicologa e psicoterapeuta esperta in questo campo, l’accumulo di animali è legato a difficoltà psicologiche radicate, come traumi infantili legati a lutti, violenze o abusi. Il disturbo è noto come la sindrome di Noè, dove la persona accumula animali, ma non riesce a prendersene cura in modo adeguato. Questo non solo danneggia gli animali, ma compromette anche la vita sociale e lavorativa dell’individuo coinvolto.
Falchi sottolinea che gli accumulatori non agiscono con l’intento di maltrattare, ma lo fanno inconsciamente, spinti da un bisogno di controllo o da un attaccamento malato agli animali. Questo tipo di disturbo non è legato a una fascia sociale specifica, ma può colpire anche professionisti affermati che vivono una sorta di doppia vita, celando il problema agli altri.
Anche se l’accumulo di animali è presente nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, non è sempre facile da individuare per le forze dell’ordine. Infatti, non è il numero degli animali che definisce un caso di accumulo, ma la condizione in cui si trovano e la mancanza di cure. “In questi casi, non basta semplicemente rimuovere gli animali,” avverte la psicologa. “Serve un intervento che coinvolga tutti: le associazioni per il benessere animale, i servizi sociali e i servizi di salute mentale.”
Esistono diverse tipologie di accumulo: attivo, quando una persona cerca volontariamente animali da salvare, e passivo, quando si accettano animali senza rendersene conto del danno che si sta causando. Questi disturbi sono frequentemente legati a traumi emotivi e a un desiderio di protezionismo che, paradossalmente, porta al maltrattamento.
Per combattere l’animal hoarding, è essenziale agire non solo sugli animali ma anche sulle persone coinvolte, cercando di risolvere i traumi che portano a tale comportamento. La chiave del recupero, infatti, sta nel trattare entrambi gli aspetti: gli animali e le persone. Solo così è possibile evitare la recidiva e migliorare le condizioni di vita di tutti.
Se non affrontato adeguatamente, l’accumulo di animali può diventare una spirale senza fine, con danni irreparabili per gli esseri viventi coinvolti. Per questo motivo, è fondamentale che ogni intervento venga accompagnato da un adeguato supporto psicologico e sociale per le persone coinvolte.
Il caso di Brescia è solo uno dei tanti che purtroppo accadono nel nostro paese, ma grazie all’intervento delle forze dell’ordine, delle associazioni e degli operatori sanitari, è possibile dare una nuova vita agli animali coinvolti e un’opportunità di recupero per chi soffre di questo disturbo.
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