All’aeroporto, immerso nel consueto caos della zona partenze, la giornata sembrava scorrere come tante altre. Ma tutto cambiò quando un cane da servizio iniziò improvvisamente ad abbaiare insistentemente verso una donna incinta. I passeggeri si guardarono intorno con preoccupazione, mentre gli agenti di polizia si affrettavano a intervenire. Il cane non si lanciava all’attacco, ma mostrava un comportamento insolito: ringhiava e girava nervosamente attorno a una valigia posizionata ai piedi della donna.
Nonostante i tentativi dell’agente di sicurezza, David Roschko, di richiamare l’animale – un pastore belga di nome Aro – il cane sembrava guidato da un istinto ben più forte. Si avvicinò rapidamente alla donna, seduta su una panchina, visibilmente affaticata e con il volto pallido.
«Togliete quel cane! Cosa sta succedendo?!», gridò lei, identificandosi come Laura Nadj, al settimo mese di gravidanza.
David, mostrando il tesserino, le spiegò che si trattava solo di un controllo precauzionale. La donna, seppur titubante, accettò di seguirli in un’area riservata dell’aeroporto, accompagnata dal suo bagaglio e da Aro, che non accennava a calmarsi.
Durante il controllo, nulla di anomalo emerse dal contenuto della valigia. Tuttavia, il cane continuava a ululare e a grattare il pavimento, fissando lo sguardo sul ventre della donna. I sospetti iniziarono a crescere.
All’improvviso, Laura si piegò in due dal dolore, portandosi le mani all’addome. «C’è qualcosa che non va…», sussurrò con voce tremante.
I paramedici intervennero rapidamente. Uno di loro, dopo un rapido esame, pronunciò una frase inquietante:
«Non sono contrazioni.»
Condotta d’urgenza in ambulanza, Laura fu sottoposta a un’ecografia approfondita. Le immagini rivelarono qualcosa di allarmante: un oggetto estraneo, contenente parti metalliche, nascosto all’interno del suo corpo. Non si trattava di alcun impianto medico riconosciuto.
«È un dispositivo elettronico. E potrebbe essere telecomandato», dichiarò un medico con tono grave.
Scattò immediatamente l’allarme. L’aeroporto fu evacuato, mentre esperti di esplosivi e chirurghi si mobilitavano per un intervento d’urgenza. Laura fu portata in sala operatoria, ignara fino a quel momento di ciò che stava accadendo davvero.
Dall’operazione emerse una verità sconvolgente: nel suo corpo era stato impiantato un ordigno esplosivo, camuffato da dispositivo medico. Laura, convinta che si trattasse di un “amplificatore fetale” ricevuto gratuitamente da una presunta clinica per donne incinte, aveva accettato l’intervento senza sospetti.
«Mi avevano detto che serviva a proteggere il bambino», pianse, distrutta, dopo l’intervento. «Si erano presentati come volontari di una fondazione. Non avevo nulla da perdere…»
Le successive indagini confermarono che la clinica era una copertura, gestita da individui con identità false. L’obiettivo era trasformare Laura, a sua insaputa, in una bomba vivente, attivabile a distanza.
Fortunatamente, l’intervento tempestivo dei medici e l’allerta lanciata da Aro permisero di salvare la vita di Laura e del bambino. Il pericolo fu sventato in tempo.
Uno dei medici si rivolse poi all’agente Roschko con una voce carica di sollievo:
«Era davvero incinta. E ce l’abbiamo fatta: il bambino è salvo.»
David si chinò accanto ad Aro, ormai seduto tranquillo accanto a lui, e lo accarezzò con gratitudine.
«Tu l’avevi capito prima di tutti, amico mio. Non sei solo un cane. Sei un eroe.»
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