Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha recentemente lanciato gravi accuse contro Italia, Germania e Stati Uniti, definendoli complici del genocidio in corso nella striscia di Gaza. Nel suo report intitolato “Genocidio di Gaza: un crimine collettivo”, la Albanese critica l’atteggiamento di questi paesi nei confronti della situazione in Gaza, sostenendo che la loro complicità ha permesso violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte di Israele.
Secondo Albanese, il genocidio in atto rappresenta un crimine collettivo, facilitato dalla cooperazione di Stati terzi influenti che avrebbero avallato le azioni di Israele attraverso un supporto militare, politico ed economico. La relatrice ha affermato che questi paesi hanno fornito assistenza diretta e protezione diplomatica, contribuendo così a legittimare le operazioni del governo di Benjamin Netanyahu. In particolare, ha accusato l’Italia di continuare a rifornire di armi Israele, nonostante le crescenti evidenze di genocidio. “Una fornitura continuata, nonostante l’aumento delle prove di genocidio, con Stati Uniti, Germania e Italia tra i maggiori fornitori,” ha dichiarato.
Le critiche della Albanese si inseriscono in un contesto più ampio di discussione sull’imparzialità delle Nazioni Unite e dei suoi esperti. Un articolo pubblicato su “Il Giornale” ha esaminato i profili social di alcuni relatori coinvolti nel report, mettendo in luce una possibile mancanza di neutralità. Tra questi, spicca il profilo di Obokata Tomoya, relatore speciale sulle forme contemporanee di schiavitù, il quale ha condiviso numerosi post critici nei confronti dell’Occidente e di Israele. Dopo il 7 ottobre, data del brutale attacco a Gaza, Tomoya ha equiparato gli attacchi contro i civili da parte di Hamas e di Israele, affermando: “Gli attacchi indiscriminati contro i civili da parte di Hamas e Israele costituiscono crimini di guerra.”
Inoltre, Tomoya ha puntato il dito contro l’Italia, evidenziando che “il 40% dei migranti nel settore agricolo italiano sono lavoratori irregolari,” e ha criticato i paesi occidentali per la loro dipendenza dai lavoratori migranti. Anche Michael Fakhri, relatore speciale sul diritto al cibo, ha espresso la sua opinione sulla complicità degli Stati Uniti, dichiarando alla BBC: “Posso parlare in relazione alla complicità americana. Gli americani continuano ad ignorare i fatti (…). I politici stanno scegliendo di continuare a fornire armi ad Israele. Questo rende gli Usa complici di genocidio.”
Un altro relatore, Ben Saul, che si occupa della promozione e protezione dei diritti umani, ha utilizzato i social media per criticare le azioni del governo americano, affermando che “la guerra del Presidente Trump contro i narcoterroristi è palesemente illegale secondo il diritto internazionale: il presidente dovrebbe essere indagato e processato per omicidio.”
Queste dichiarazioni sollevano interrogativi sull’imparzialità delle posizioni espresse dai relatori delle Nazioni Unite, suggerendo che l’agenda dell’ONU potrebbe essere influenzata da una direzione ideologica ben precisa. La Albanese e altri esperti sembrano adottare una visione fortemente critica nei confronti dell’Occidente, in particolare nei confronti di Israele e dei suoi alleati, mentre le loro affermazioni sembrano trascurare le complessità della situazione geopolitica.
La questione della responsabilità internazionale e della legittimità delle azioni degli stati coinvolti nel conflitto di Gaza rimane quindi al centro del dibattito. Le accuse di Francesca Albanese e di altri relatori delle Nazioni Unite offrono un punto di vista che, sebbene controverso, invita a riflettere sulle dinamiche di potere e sulle implicazioni delle scelte politiche a livello globale.



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