Il nuovo report di Francesca Albanese si apre con parole nette: “Il genocidio che continua a consumarsi a Gaza è un crimine collettivo, reso possibile dalla complicità di potenti Paesi terzi, che hanno tollerato le sistematiche violazioni del diritto internazionale da parte di Israele.”
Con questo documento, pubblicato il 20 ottobre, la relatrice ONU per i territori palestinesi approfondisce un tema già toccato nei precedenti lavori: il ruolo della comunità internazionale, e in particolare dei Paesi occidentali, nel sostenere – direttamente o indirettamente – l’azione israeliana. Dopo aver analizzato la dimensione economica del genocidio, Albanese si concentra ora sulla complicità politica, diplomatica, militare, umanitaria ed economica degli attori esterni.
Genocidio e complicità internazionale
Secondo Albanese, senza il sostegno, la cooperazione e il silenzio di molti Stati terzi, l’occupazione israeliana – sfociata in un genocidio su vasta scala – non sarebbe stata possibile. L’impunità israeliana nasce dalla volontà della comunità internazionale di evitare ogni forma di responsabilizzazione, lasciando mano libera al governo Netanyahu e ai suoi predecessori.
Nel report si afferma chiaramente che il genocidio del popolo palestinese non è solo un crimine in corso, ma anche un crimine permesso, legittimato e facilitato a livello internazionale, soprattutto dall’Occidente.
La narrazione che disumanizza
La normalizzazione di questo genocidio è stata favorita anche dalla retorica dominante, secondo cui la guerra a Gaza rappresenterebbe una lotta tra civiltà e barbarie – con Hamas nel ruolo del nemico e i civili palestinesi ridotti a scudi umani o danni collaterali. Questa narrazione ha contribuito a disumanizzare l’intera popolazione palestinese e ad anestetizzare l’opinione pubblica mondiale di fronte a crimini documentati in tempo reale.
Quattro forme di complicità
Il report identifica quattro ambiti principali in cui gli Stati terzi hanno avuto un ruolo nel sostenere il genocidio:
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Diplomatico: Dopo il 7 ottobre, i principali governi occidentali hanno difeso il diritto di Israele a reagire, invocando l’articolo 51 della Carta ONU, ma ignorando sistematicamente le norme che tutelano i civili. Quando alcuni Stati, come il Sudafrica, hanno cercato giustizia presso le corti internazionali, l’Occidente ha ostacolato ogni tentativo. La denuncia per genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia, così come il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu, sono stati ignorati o apertamente osteggiati.
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Militare: Nonostante decenni di risoluzioni ONU che chiedevano un embargo sulle armi, molti Stati hanno continuato a fornire armi e tecnologia militare a Israele. I tre principali fornitori citati sono Stati Uniti, Germania e Italia. Solo pochi – come Spagna e Slovenia – hanno interrotto queste forniture negli ultimi anni.
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Umanitario: L’assistenza umanitaria è stata spesso usata come alibi per evitare prese di posizione politiche più nette, contribuendo alla gestione di una crisi senza affrontarne le cause strutturali.
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Economico: Le relazioni economiche e commerciali con Israele sono proseguite come se nulla stesse accadendo, contribuendo alla normalizzazione di uno Stato accusato di crimini internazionali.
Un’occupazione senza sanzioni
Israele, si legge nel report, è riuscito a evitare qualsiasi forma di responsabilizzazione: non è stato escluso da competizioni sportive, festival culturali o forum internazionali, a differenza di altri Paesi sanzionati per violazioni simili. Questo status “intoccabile” è parte integrante della complicità sistemica denunciata da Albanese.
Il caso emblematico degli Stati Uniti
Tra tutti, gli Stati Uniti restano il principale alleato militare e politico di Israele. Dopo il 7 ottobre, l’amministrazione Biden ha incrementato il sostegno, approvando nel 2024 un pacchetto da oltre 24 miliardi di dollari, anche mentre Israele lanciava l’invasione di Rafah, ignorando le “linee rosse” fissate da Washington.
Anche altri Paesi occidentali hanno mantenuto rapporti militari ambigui, vendendo tecnologie a “uso duale”, cioè potenzialmente impiegabili sia in ambito civile che militare.



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