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“Hanno fatto un favore a Trump”: scontro in diretta, Parenzo nel panico e Friedman demolisce il nuovo sindaco di New York



Alan Friedman ha commentato la recente elezione di Mamdani a sindaco di New York, affermando che Trump probabilmente lo utilizzerà come bersaglio politico. Friedman ha sottolineato che molti ebrei newyorkesi hanno sostenuto Mamdani, nonostante la sua posizione critica sul genocidio a Gaza.  Ha inoltre evidenziato che Mamdani è stato eletto senza opposizione.



L’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York non si configura come un evento isolato, bensì come la conseguenza di un contesto urbano caratterizzato da una profonda crisi abitativa, da crescenti problematiche di sicurezza pubblica e da un malessere sociale diffuso che ha ridefinito il rapporto tra le élite e i residenti delle grandi metropoli.  Mamdani ha ottenuto la vittoria presentando un programma elettorale che prevede misure di carattere radicale, quali il congelamento degli affitti per milioni di inquilini, interventi pubblici diretti sul costo dei beni di prima necessità e un aumento della pressione fiscale sulle fasce di reddito più elevate. 

Tali proposte, secondo la retorica del suo partito, mirano a rispondere alla crisi abitativa e alla disuguaglianza sociale; tuttavia, i critici le interpretano come una formula inedita di controllo dell’economia metropolitana, potenzialmente in grado di comprimere gli investimenti, l’offerta abitativa e il gettito fiscale.  Inoltre, il risultato elettorale riflette una geografia politica mutata: la fuga dei contribuenti e la stagnazione della base imponibile hanno reso le città sempre più vulnerabili agli shock politici.  New York, in particolare, dipende in maniera significativa dai grandi contribuenti e dalle attività finanziarie; la semplice percezione di incertezza politica può determinare spostamenti di ricchezza e popolazione, amplificando le ripercussioni negative sulle finanze comunali.

Rudy Giuliani, sindaco di New York dal 1994 al 2001, figura di spicco nella politica cittadina e leader che ha guidato la città durante il periodo più difficile successivo agli attentati dell’11 settembre, ha espresso la propria preoccupazione in merito all’elezione di Mamdani.  Giuliani, intervistato mentre negli Stati Uniti continua a suscitare dibattito la vittoria di Mamdani, primo sindaco dichiaratamente socialista – alcuni sostengono apertamente comunista – a governare la capitale economica del paese, non ha usato mezzi termini.  Ha definito la scelta “bizzarra” e ha previsto “danni quasi irreversibili”, sottolineando che, a suo parere, non vi è mai stato un sindaco comunista negli Stati Uniti, e certamente non nella sua città più grande e simbolica.  Giuliani ha inoltre affermato che un tale risultato sarebbe stato considerato impensabile persino dieci anni fa.

La sua preoccupazione, egli chiarisce, non è né retorica né ideologica: «Le politiche proposte da Mamdani condurrebbero la città alla bancarotta. Non si tratta di una mera ipotesi teorica, bensì di una realtà già in atto. New York sta subendo una significativa riduzione della propria popolazione. I cittadini si trasferiscono a causa dell’elevata pressione fiscale, dell’aumento della criminalità e del deterioramento del sistema scolastico. Questo fenomeno è una diretta conseguenza della gestione democratica. L’elezione di Mamdani accelererebbe ulteriormente questa tendenza, come si evincerà nei prossimi mesi».

Successivamente, egli introduce una statistica che, negli Stati Uniti, è divenuta emblematica del contesto attuale: «Il 27% dei newyorkesi sta valutando la possibilità di lasciare la città. La maggior parte di questi individui sono contribuenti, coloro che finanziano i servizi pubblici, la sicurezza e i trasporti. Stiamo allontanando coloro che sostengono la città, un atto che si configura come un suicidio politico ed economico».

Giuliani ricorda con precisione il punto di partenza della sua azione nel 1994: «All’epoca del mio insediamento, New York si trovava tecnicamente in stato di fallimento. Registravamo oltre duemila omicidi all’anno e un milione di cittadini assistiti dal welfare. Abbiamo ridotto gli omicidi del 70%, il welfare del 60% e dimezzato la disoccupazione. Siamo diventati la città più sicura e dinamica degli Stati Uniti, tanto da essere celebrati sulla copertina del Time come modello per il mondo».  Oggi, egli afferma, si sta assistendo a un ritorno indietro: «New York è tornata ad essere sinonimo di fuga. Questo fenomeno è il risultato del progressismo ideologico che governa la città da anni, non di singoli eventi isolati».

Si presenta un paradosso politico: l’elezione di Mamdani potrebbe inavvertitamente avvantaggiare Donald Trump.  Il modello politico di Mamdani, percepito come radicale dalla maggioranza dell’elettorato americano, suscita timore.  In diverse regioni del Paese, la sua candidatura sarebbe probabilmente respinta, e in molte aree non verrebbe nemmeno presa in considerazione dai Democratici.  Questa percezione di radicalismo potrebbe spingere gli elettori americani a cercare figure che garantiscano ordine, sicurezza e stabilità economica, figure che Trump rappresenta.

Giuliani prosegue affrontando quella che considera la questione più critica: il legame di Mamdani con figure dell’estremismo islamico.  Egli sottolinea che l’associazione di Mamdani con un imam, indicato come co-cospiratore nell’attentato al World Trade Center del 1993, solleva preoccupazioni non solo di natura economica, ma soprattutto di sicurezza nazionale.  Giuliani distingue tra socialismo e estremismo religioso, affermando che il primo è un sistema politico suscettibile di correzione e sostituzione, mentre il secondo rappresenta un rischio più profondo e duraturo, più difficile da contenere.

Concludendo, Giuliani riprende il tono che lo ha reso un simbolo della resilienza americana, affermando che New York, pur essendo attualmente sotto attacco, non è destinata a perire.  Egli invita coloro che amano la città a denunciare questa situazione e a reagire, poiché la libertà non si difende autonomamente.



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