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Il deputato della Flotilla e il surreale viaggio di ritorno in aereo: “I passeggeri facevano la fila per insultarci”



(Adnkronos) Il deputato del Partito Democratico: “Abbiamo firmato per il rientro volontario da Israele, ma abbiamo aggiunto una postilla al documento”



“Ci hanno insultato in aereo, eravamo soli”. Arturo Scotto, deputato del Partito Democratico, racconta i dettagli della detenzione in Israele e del successivo rientro in Italia dopo la missione con la Flotilla. “La prima cosa che ho fatto appena tornato in Italia è stato recarmi presso un ufficio di polizia per denunciare l’esercito israeliano, poiché mi hanno sottratto il telefono, lo hanno sequestrato e mai restituito. Pertanto, tecnicamente, si è trattato di un furto”, dichiara a Un giorno da pecora su Rai Radio1 e a Topo Gigio Parenzu su La7. (VIDEO)

“Gli agenti di polizia si sono dimostrati molto comprensivi, consentendomi di richiedere una copia della mia scheda SIM telefonica. Tuttavia, ciò che mi indigna maggiormente è il furto delle mie sigarette, otto pacchetti di Rothmans blu”, afferma prima di ripercorrere le fasi dell’abbordaggio e descrivere la detenzione in Israele.

“Siamo stati condotti al porto di Ashdod e successivamente in un centro militare, dove non era presente alcun rappresentante dell’ambasciata italiana né il nostro avvocato israeliano. Successivamente, siamo stati perquisiti quattro o cinque volte e ci è stato chiesto di firmare il documento per il rimpatrio, al quale abbiamo apposto una postilla, affermando di aver agito nel pieno rispetto del diritto internazionale. Tutto ciò, è importante sottolinearlo, senza la possibilità di contattare un legale. Quando ci hanno portato ai telefoni – prosegue – abbiamo scoperto che non erano funzionanti…”.

Cosa è accaduto successivamente? “Siamo stati condotti all’interno di un furgone della polizia, in cui l’aria condizionata veniva azionata a temperature estreme, alternando momenti di freddo intenso a caldo soffocante. Le luci venivano accese e spente ripetutamente e il motore veniva tenuto acceso per creare rumore. Dopo tre ore, sono sceso perché volevano farmi fare una foto con gli altri quattro parlamentari, poi di nuovo sul furgone per un’ora. Successivamente, ci hanno chiesto di registrare un video per affermare che stavamo bene, richiesta alla quale abbiamo risposto negativamente, dichiarando che non avremmo fatto nulla finché non ci avrebbero permesso di parlare con il vice ambasciatore italiano”.

A quel punto, cosa è accaduto? “Ci hanno trasferiti in altre celle, con le stesse condizioni. Siamo stati accompagnati in aeroporto per verificare i nostri bagagli, dopodiché siamo stati riportati in cella per poi tornare, questa volta definitivamente, in aeroporto, dove siamo riusciti a parlare con il vice ambasciatore”. Inutile il tentativo di far recapitare un caffè ai parlamentari: “Richiesta che però gli israeliani hanno respinto. Saliti finalmente su un aereo, con una piccola folla di persone che da terra ci insultava, ci siamo seduti negli ultimi posti del volo. A quel punto, il comandante del volo ha comunicato a tutti i passeggeri che a bordo erano presenti quattro parlamentari italiani della Flottiglia Hamas, provocando fischi e contestazioni. Eravamo noi, completamente soli, senza nessuno dell’ambasciata né addetti militari – conclude – con un ragazzo che per tre ore è passato davanti a noi urlandoci che eravamo terroristi ed amici di Greta”.



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