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La testimonianza di Vincenzo Moldavio, ex lavoratore pugliese oggi pensionato in Brianza, racconta sessant’anni di sfruttamento nella ristorazione: turni massacranti, contributi mancanti e diritti negati.



La denuncia arriva dalla voce di Vincenzo Moldavio, 73 anni, originario della Puglia e residente in Brianza, che ha affidato a Fanpage.it il racconto di una vita trascorsa nel settore della ristorazione. Le sue parole ripercorrono oltre sei decenni di lavoro, dall’infanzia sino alla pensione, con un filo conduttore che lega passato e presente: lo sfruttamento dei lavoratori.



“Ho iniziato quando ero molto piccolo, in falegnameria a 6 anni e mezzo. Poi a 14 anni sono entrato nella ristorazione e da allora le angherie che subivo allora si ripropongono ancora oggi. La situazione continua a peggiorare da quando non c’è più l’articolo 18” ha spiegato Moldavio.

La sua esperienza parte dal 1966, quando a 14 anni lavorava in una pizzeria con turni dalle 10 del mattino fino a mezzanotte. Lo stipendio era di 25mila lire, interamente destinato alla famiglia. Su richiesta del proprietario, che aveva il figlio impegnato nel servizio militare, era costretto persino a dormire presso la sua abitazione. Anni dopo scoprì che in quel periodo non gli erano stati versati contributi.

A soli 16 anni, nel 1969, cambiò locale. Lavorava dalle 7 del mattino alle 15 e poi dalle 18 fino a mezzanotte, senza interruzione per sei mesi consecutivi. Anche in quel caso, i contributi furono accreditati solo per 30 giorni. “Avrei potuto andare in pensione prima del 2015, anno in cui ho avuto un infarto, se negli anni ’67, ’68 e ’69 mi avessero versato i giusti contributi. Come apprendista avrebbero dovuto pagare appena 100 lire al mese. Per una cifra irrisoria hanno costretto me e tanti altri a lavorare tre anni in più”.

Oggi in pensione, Moldavio guarda al presente e racconta come, a suo avviso, la situazione non sia cambiata. “Quando ho avuto un mio ristorante, mi sono sempre assicurato di pagare i dipendenti fino all’ultimo centesimo, di garantire straordinari e pause non previste dal contratto. Non volevo che subissero ciò che io ho vissuto”.

Le testimonianze che raccoglie ogni estate a Pantelleria, dove trascorre diversi mesi, confermano secondo lui il persistere dello sfruttamento. “Ho fatto amicizia con i dipendenti di strutture ricettive. Molti mi hanno raccontato storie vergognose legate al lavoro stagionale”.

Un ragazzo assunto in un albergo per 1500 euro al mese, ad esempio, si è ritrovato con un contratto part-time da quattro ore e una paga molto inferiore. “Non erano previsti nemmeno i giorni di riposo” ha spiegato Moldavio. Una situazione che lui paragona a quanto avveniva negli anni Sessanta.

Storie simili riguardano anche una receptionist conosciuta a Pantelleria, madre di due figli, assunta formalmente per quattro ore ma costretta a lavorare fino a dodici ore al giorno, senza riposi. Il marito, impiegato in una pizzeria, doveva procurare un sostituto in caso di assenza di pochi giorni, pena la perdita del lavoro.

Il sistema dei contratti stagionali, spiega Moldavio, continua a creare difficoltà ai lavoratori. “Ci sono persone assunte per cinque o sei mesi, ma pagate per molto meno tempo. In questo modo perdono anche il diritto alla disoccupazione e sono costrette a cambiare continuamente impiego”.

Sulle accuse di mancanza di personale nella ristorazione, la sua risposta è netta: “Sono d’accordo solo se ci si chiede come mai. Da ristoratore non ho mai tardato nel riconoscere i diritti dei miei dipendenti. Le paghe sono basse e i lavoratori non vengono trattati come persone. Devono difendersi dai datori di lavoro”.

Per Moldavio, la scomparsa dell’articolo 18 ha aggravato la situazione: “Non c’è più tutela. È terribile sapere che le autorità siano al corrente di tanti illeciti ma non intervengano, perché crollerebbe un intero sistema che si regge sullo sfruttamento e sull’illegalità”.

A questo si aggiungono episodi che testimoniano una mentalità diffusa, anche fuori dal settore della ristorazione. “A Pantelleria vedo barche partire con 30 persone a bordo, anche se ne potrebbero imbarcare solo 20. Alla Guardia Costiera dichiarano di averne 20, tutto in nome del guadagno”.



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