Mi sono sposato con Claire, una donna meravigliosa e mamma single di due splendide bambine, Emma e Lily.
Nella nostra prima settimana di vita insieme, notai che le bambine bisbigliavano spesso tra loro, lanciando rapide occhiate alla porta che portava in cantina. Una sera, Emma mi chiese con tono serio:
«Ti sei mai chiesto cosa c’è in cantina?»
Rimasi spiazzato, risi nervosamente e le domandai il perché di quella domanda. Lei si limitò a sorridere e ad allontanarsi.
La mattina successiva, Lily lasciò cadere il cucchiaio e canticchiò:
«A papà non piacciono i rumori forti.»
Mi immobilizzai. Claire mi aveva sempre detto soltanto che il padre delle bambine era “andato via”.
Quel venerdì, Claire andò a lavoro e io rimasi a casa con le bambine, che avevano la febbre. Verso mezzogiorno, Emma si avvicinò a me seguita da Lily e mi chiese:
«Vuoi venire a trovare papà?»
«Cosa?» balbettai.
«In cantina» aggiunse Lily con naturalezza. «La mamma lo tiene lì.»
Un brivido gelido mi percorse la schiena. Claire mi stava nascondendo qualcosa? Il loro padre era davvero… vivo?
Cercai di restare calmo. «Certo» risposi con voce tremante. «Andiamo.»
Le bambine mi guidarono giù per i gradini stretti della cantina come se fosse la cosa più normale del mondo. Emma accese la luce: la lampadina tremolò, proiettando lunghe ombre sulle pareti di cemento.
Lily indicò un vecchio armadio nell’angolo. «È lì dentro.»
Il cuore mi martellava nel petto. «State scherzando» dissi.
Emma scrollò le spalle. «Vedrai.»
Aprii lentamente l’armadio. Dentro c’erano solo una poltrona consumata, una lampada rotta e alcune scatole impolverate. Nessun corpo. Nessun uomo. Nessun odore. Solo oggetti abbandonati.
Mi voltai confuso. «Dov’è vostro padre?»
Emma si morse il labbro. «Stava sempre lì seduto. Quella è la sua sedia.»
«Prima di andarsene» aggiunse piano Lily. «La mamma dice che non c’è più… ma a volte scende a parlare con lui. Di notte.»
Rimasi impietrito. Non si trattava di qualcuno nascosto, ma di lutto. Di un dolore profondo.
«Parla con lui spesso?» chiesi con dolcezza.
Emma annuì. «Qualche volta piange. Qualche volta gli dice che le dispiace.»
Quella sera, dopo che Claire tornò a casa e le bambine si addormentarono, affrontai la questione con cautela.
«Oggi sono sceso in cantina con le ragazze» dissi.
Claire si irrigidì. «Ah.»
«Mi hanno parlato del loro papà. Di come tu continui a parlargli.»
Lei si sedette piano, gli occhi lucidi. «È morto proprio su quella sedia. Tre anni fa. Infarto.»
La lasciai parlare.
«Non sono mai riuscita a liberarmi di nulla laggiù. È come se, buttando via quelle cose, buttassi via anche lui.»
Per la prima volta la vidi davvero vulnerabile. «Alle bambine ho detto solo che non c’era più, perché non sapevo come spiegare la morte. Col tempo… si sono create la loro versione della storia.»
Le presi la mano. «Non devi tenere quel posto per sempre. Ora ci siamo noi.»
Annuii, ma sapevo che ci sarebbe voluto tempo.
Nei mesi seguenti, la cantina rimase intatta. Eppure qualcosa in Claire cambiò: non scendeva più laggiù di notte. Finché, un giorno, mi chiese di aiutarla a sistemare.
Lo facemmo con calma. Scatola dopo scatola. Ricordo dopo ricordo. Anche Emma e Lily vollero aiutare. Tennero una camicia del padre e una foto incorniciata che sistemarono su una mensola in soggiorno.
Una sera, Emma chiese: «Va bene se da adesso salutiamo papà da qui, prima di dormire?»
Claire sorrise tra le lacrime. «Certo, amore.»
Qualche mese dopo, li portai tutti in una casa sul lago per un fine settimana. Nuovi ricordi. Nuove risate.
La prima sera, intorno al falò, mentre arrostivamo marshmallow, Lily si appoggiò al mio braccio e disse:
«Tu sei come il nostro secondo papà. Quello che resta.»



Add comment