Lucia lavora instancabilmente da anni. Due impieghi a tempo pieno, telefonate anche durante la cena, email risposte a mezzanotte. Guadagna bene, molto più di quanto io abbia mai fatto. Io, invece, ho sempre “cercato me stesso”, saltando da un progetto all’altro, senza mai concludere nulla. Ogni volta che iniziavo qualcosa, perdevo l’interesse. Lei, intanto, mandava avanti tutto.
Qualche settimana fa ho scoperto che aveva bonificato una somma importante ai suoi genitori per aiutarli a comprare un’auto nuova. Quando ho visto il movimento bancario, ho provato un misto di rabbia e gelosia. I miei genitori, che fanno fatica ad arrivare a fine mese, non avevano mai ricevuto nulla da noi.
Quella sera, l’ho affrontata in cucina. Aveva appena finito di lavare i piatti. “Perché non mi hai detto niente? I miei genitori vivono di sacrifici e tu dai migliaia di euro ai tuoi come se niente fosse?”
Lei si voltò, asciugandosi le mani con calma. “Loro ci hanno aiutati quando nessun altro c’era,” disse con voce ferma. “Era giusto così.”
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo. I miei genitori avevano fatto di tutto per farmi studiare, si erano persino indebitati per me. E io avevo mollato gli studi dopo un anno. I suoi, invece, erano sempre apparsi più distanti, quasi freddi.
Quella notte non riuscii a dormire. Pensavo a quanto ero caduto in basso. Ero diventato una persona che accusava sua moglie invece di affrontare le proprie responsabilità.
Il giorno dopo ricevetti una telefonata da mio padre. La sua voce era allegra, ma sentivo la fatica sotto le parole. Mi disse che mamma aveva forti dolori alla schiena, che stavano aspettando una visita che forse non avrebbero potuto permettersi. Mi si strinse il petto. Non li vedevo da mesi. Sempre con la scusa che “dovevo lavorare su di me”.
Così presi la macchina e andai a trovarli. Portai un mazzo di fiori selvatici a mamma. Quando mi aprirono la porta, il loro sorriso mi fece quasi piangere. Parlammo per ore. Non mi chiesero nulla, solo di stare bene. E mi dissero che erano comunque fieri di me.
Tornato a casa, aprii il computer e ripresi in mano il mio curriculum. Lo aggiornai e lo inviai a decine di aziende, senza farmi troppe domande su stipendio o prestigio. Dovevo rimettermi in gioco. Per me. Per Lucia. Per i miei genitori.
Quando Lucia tornò da un viaggio di lavoro, provai a sorriderle. “Sono stato dai miei,” le dissi. Mi guardò sorpresa, e poi commossa. “E ho iniziato a cercare lavoro.”
Le sue lacrime furono il perdono che non osavo chiedere. Nei giorni successivi ci riavvicinammo, parlando finalmente come una coppia. Poco dopo ricevetti una proposta da una piccola ditta di logistica: lavoro modesto, ma stabile. Accettai subito.
Passarono mesi. Lavoravo sodo, Lucia mi sosteneva. Un giorno la portai a cena fuori e le mostrai una busta: avevo risparmiato abbastanza per aiutarli entrambi, i suoi e i miei. “Voglio che li trattiamo allo stesso modo,” dissi. Lei annuì in silenzio, stringendomi la mano con occhi lucidi.
Poi venne il giorno in cui invitammo entrambi i genitori a cena. Un momento teso, ma importante. Dopo il dolce, mio padre mi prese da parte: “Non per il lavoro, figlio mio… ma per come ti stai prendendo cura di lei. Sono fiero di te.”
Capì allora che non si trattava di soldi, ma di presenza. Di esserci. Di crescere.
Ora la nostra vita ha ritrovato un equilibrio. Quando Lucia torna tardi, preparo io la cena. Quando sento che sto perdendo la bussola, ripenso al sorriso di mia madre e alle lacrime di mia moglie.
Non sono diventato ricco, ma ho imparato cosa conta davvero. Non lasciate che l’orgoglio vi accechi. A volte, chi amate sta solo cercando di portare il peso anche per voi.
E forse, basta solo che vi alziate… e lo portiate insieme.
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