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Nathan sorride: «Questa casa mi piace, adesso spero vada tutto a posto»



Alle 12:56 di domenica 30 novembre, il silenzio della vallata di Palmoli viene interrotto dal rumore di un vecchio furgone Renault Kangoo bianco. Alla guida c’è Nathan Trevallion, che intraprende un viaggio non per svago o lavoro, ma per affrontare un esilio necessario, con l’unico obiettivo di riportare a casa i suoi figli. L’auto risale la strada verso la “Casetta di Nonna Gemma”, un rifugio temporaneo offerto dal ristoratore Armando Carusi. Qui, Nathan si stabilirà per le prossime settimane, o forse mesi, mentre lavora per ristrutturare la sua casa di contrada Mondola, trasformando quella che è stata definita dal tribunale per i minorenni dell’Aquila una «situazione di degrado» in un ambiente idoneo per i suoi tre bambini.



Arrivato a destinazione, Nathan scende dal furgone indossando una felpa bordeaux e pantaloni grigi da lavoro, i suoi stivali sporchi di fango. Con un’espressione stanca, ma presente, si avvicina al cancello della proprietà. Con gesti lenti e metodici, apre il primo cancello, poi il secondo, l’ultimo ostacolo che lo separa dalla sua nuova quotidianità. Quando finalmente entra, rompe il silenzio con una voce che tradisce una miscela di speranza e fatica: “È perfetta, sì”. Si guarda intorno, osserva il paesaggio autunnale e aggiunge: “Bello qua”, cercando di convincere se stesso della bellezza del luogo.

L’atmosfera è surreale; intorno a lui si muove un gruppo di operatori e giornalisti, come in un reality show che espone un dramma familiare in diretta. Nonostante la pressione mediatica, Nathan mantiene un atteggiamento gentile e composto. Saluta con un cenno della mano e, quando gli chiedono del futuro, si aggrappa a un augurio: “Speriamo che si risolve… speriamo”, seguito da un commento realistico: “Vediamo questa settimana”.

La “Casetta di Nonna Gemma” è un cottage di ottanta metri quadrati, circondato da un giardino di duemila metri quadri, immerso in una pineta. Le pareti esterne raccontano una storia antica, con rocce sedimentarie visibili. Nathan, amante della natura, nota i dettagli: “Sì, sì, bella fossiliera”, commenta, riconoscendo i fossili di conchiglie nella pietra. Poi si rivolge all’edificio: “No, è bellissima la casa”.

Dentro, la casa è accogliente, con una stufa a legna e una cucina attrezzata. C’è anche il WiFi, un elemento paradossale ma necessario per rimanere in contatto con il mondo burocratico che ora governa la sua vita. Nathan apre il portellone del furgone, rivelando il contenuto della sua vita ridotto all’essenziale: coperte, lenzuola, cuscini e vestiti, tutto pronto per affrontare la nuova realtà. I cuscini, probabilmente usati dai suoi figli nel bosco, vengono presi con cura, mentre Nathan si carica i bagagli sotto il braccio, comportandosi come un viandante che porta solo ciò che serve per la sopravvivenza.

Sulla soglia della casa, compie un gesto significativo: si sfila gli stivali sporchi prima di entrare, un segno di rispetto per il luogo che lo accoglie. All’interno, la luce filtra dalle finestre e Nathan inizia a sistemare lo spazio, pulendo il tavolo di legno, come se immaginasse già i suoi figli seduti lì. La casa è sufficientemente grande per ospitare cinque persone e ha tre stanze, ma Nathan sa che i suoi bambini sono lontani, in una struttura protetta a Vasto insieme alla loro madre, Catherine.

La solitudine pesa su di lui, un padre abituato a vivere in simbiosi con la sua famiglia. Quando gli chiedono degli animali rimasti al rudere di contrada Mondola, risponde pragmatico: “No, gli animali non vengono. Gli animali li lasciamo giù”. Tuttavia, conferma che andrà a trovarli ogni giorno, per mantenere il legame con la vita che aveva prima.

Prima di tornare al furgone, Nathan compie un ultimo atto simbolico: si dirige verso una sorgente d’acqua limpida, un elemento naturale che lo ha attratto. Riempie una borraccia di metallo e beve, assaporando l’acqua ghiacciata. Questo gesto rappresenta un legame con la natura che non si spezza, nemmeno in un momento di transizione forzata.



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