Martedì Nigel Farage, alla guida di Reform UK, ha illustrato un progetto per l’espulsione di oltre 600 mila richiedenti asilo, con detenzione in ex basi militari e rimpatrio immediato nei Paesi d’origine, inclusi contesti non considerati sicuri come l’Afghanistan. Per rimuovere gli ostacoli giuridici, l’esponente della destra britannica chiede l’uscita del Regno Unito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’abolizione della normativa nazionale in materia di tutele fondamentali.
Le reazioni politiche sono state nette ma non uniformi. La presidente del Partito Laburista, Ellie Reeves, ha criticato la vaghezza operativa, concentrandosi su aspetti procedurali: secondo Reeves mancano «obiettivi chiari» e una «cronologia anno per anno delle cose da fare». Un portavoce del primo ministro Keir Starmer ha dichiarato che il governo «non esclude nessuna ipotesi» rispetto a possibili accordi con le autorità afgane per i rimpatri, posizione che ha suscitato nuove polemiche sull’impostazione dell’esecutivo.
Lo stesso Farage ha colto il clima politico favorevole a un dibattito sempre più stringente: «Ho visto che sui media quasi nessuno ha respinto l’idea che il paese si trovi in grave crisi [a causa dell’immigrazione]», ha osservato, legando il suo intervento alla percezione pubblica del fenomeno. La sua proposta, ancora priva di dettagli normativi e lontana dall’entrata in vigore — le prossime elezioni politiche sono previste nel 2029 — ha comunque ottenuto ampia visibilità, rafforzando il peso del tema migratorio nell’agenda nazionale.
Il contesto in cui si inserisce il piano è quello delle traversate della Manica a bordo delle cosiddette small boats: arrivi minoritari rispetto ai flussi complessivi, ma altamente visibili. Nel 2024 i passaggi via mare sono stati circa 37 mila, a fronte di circa 950 mila ingressi regolari con visti per lavoro, studio o protezione. Eppure, l’impatto mediatico delle imbarcazioni ha alimentato un allarme diffuso, che i partiti di destra hanno utilizzato come leva elettorale. Nella sua conferenza, Farage ha definito gli arrivi un’«invasione» e una «calamità», rilanciando l’idea di una risposta straordinaria.
Anche il Labour ha irrigidito i toni nell’ultimo anno. Salito a Downing Street, Keir Starmer ha promesso di fermare le small boats e di «schiacciare» le reti criminali. A maggio è arrivato un ulteriore irrigidimento comunicativo: un passaggio in cui aveva evocato il rischio di un’«isola di stranieri» ha acceso il dibattito interno; il premier si è poi scusato. Dopo l’uscita di Farage, il capo del governo ha ribadito su X la linea di rigore: «Se vieni nel nostro paese illegalmente, sarai detenuto ed espulso», accompagnando il messaggio con immagini di operazioni di polizia.
Nel Partito Conservatore cresce il profilo di Robert Jenrick, ex ministro per l’Immigrazione, che già nel 2023 aveva lasciato l’incarico giudicando troppo blando il progetto di trasferimento dei richiedenti asilo in Ruanda. Da tempo favorevole al ritiro dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Jenrick ha liquidato così la proposta di Farage: «Ha copiato i nostri compiti ma non ha capito la lezione». Dichiarazioni che confermano la competizione a destra per il primato sull’argomento.
Non mancano posizioni alternative. I Liberal Democratici, guidati da Daisy Cooper, hanno bocciato il piano con motivazioni umanitarie e istituzionali: «Farage vuole seguire il suo idolo Vladimir Putin stracciando la convenzione sui diritti umani». È l’unico partito nazionale ad aver respinto l’impianto dell’idea non solo sul piano esecutivo, ma anche nei principi.
Il successo nei sondaggi di Reform UK — accreditato attorno al 30 per cento — ha comunque orientato il confronto pubblico. Proposte che fino a poco tempo fa erano considerate irricevibili, come le espulsioni di massa dei richiedenti asilo, oggi vengono discusse nel merito anche dagli avversari politici. Lo stesso Farage l’anno scorso definiva una simile misura «una impossibilità politica»; la dinamica elettorale e la crescente attenzione dell’opinione pubblica hanno spostato la finestra del dibattito, rendendo praticabili narrazioni e soluzioni sempre più restrittive.
Sul piano dei numeri, resta la sproporzione tra narrazione e realtà statistica. Gli arrivi irregolari via Manica rappresentano una quota contenuta rispetto alla mobilità complessiva verso il Regno Unito, ma l’impatto visivo degli sbarchi, amplificato da copertura mediatica e social, continua a contribuire alla percezione di emergenza. Per i sostenitori delle misure dure, l’obiettivo è la deterrenza immediata; per i critici, il rischio è indebolire le garanzie fondamentali senza incidere sulle cause strutturali dei movimenti migratori.
Nel frattempo, la leadership laburista sembra privilegiare un confronto diretto con Reform UK sul terreno della fermezza, mentre i conservatori puntano a superare Farage con proposte ancora più stringenti. L’esito è un panorama politico polarizzato, in cui il consenso si costruisce su parole d’ordine di controllo, respingimento e uscita dai regimi di tutela sovranazionali.



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