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Scoppia la bufera su Ranucci: in diretta con Damilano parla di ‘colpo di Stato’



L’attentato subito da Sigfrido Ranucci, noto conduttore del programma Report, ha generato una serie di reazioni nel panorama mediatico italiano, suscitando discussioni che vanno oltre il semplice fatto di cronaca. È interessante notare come alcuni giornalisti, che si presentano come difensori delle libertà e critici dell’odio, siano stati pronti a stabilire un nesso tra l’attacco e la destra al governo. Questa dinamica è stata accentuata dalla propaganda di Elly Schlein, leader del Partito Democratico, che ha utilizzato l’incidente per sottolineare una presunta minaccia rappresentata dall’“estrema destra” al governo.



Un esempio emblematico di questa tendenza è l’articolo di Marco Damilano pubblicato sul quotidiano Domani, dove l’autore ha paragonato l’attentato a Ranucci al colpo di stato tentato da Giorgio Almirante nel 1970, noto come golpe Borghese. Questo accostamento rispolvera le cosiddette “trame nere” degli anni Settanta, conferendo una connotazione politica all’attacco avvenuto sotto la residenza di Ranucci. Tuttavia, è fondamentale notare che tali comparazioni avvengono senza un’adeguata considerazione delle indagini in corso e delle stesse dichiarazioni di Ranucci, che ha suggerito che le responsabilità dell’attentato potrebbero derivare da molteplici fonti.

In questo contesto, sarebbe più onesto riconoscere il punto di vista espresso da Alessandro Campi durante il programma Lineanotte, dove ha affermato che è arbitrario contrapporre il potere politico al giornalismo come se fossero due entità distinte. Secondo Campi, “il giornalismo di inchiesta se fatto bene diventa un contropotere”, ma il problema risiede nel condizionamento dei giornalisti attraverso le querele, un fenomeno tipicamente italiano. Egli ha sottolineato che i politici tendono a vedere i giornalisti come oppositori, un atteggiamento che deriva da una storica interconnessione tra il mondo politico e quello dell’informazione, contribuendo così al clima attuale di tensione.

Tuttavia, l’analisi di Campi non sembra trovare ascolto, poiché i giornalisti che collegano la destra al governo con l’attentato a Ranucci non stanno esercitando un’informazione indipendente, ma piuttosto stanno facendo politica. Questa strategia offre a Schlein un copione da seguire per sfruttare al massimo un episodio di cui ancora non conosciamo i mandanti o gli esecutori. Il contesto attuale è caratterizzato da una forte tensione, come dimostra lo sciopero indetto dai giornalisti del Sole 24 Ore contro la pubblicazione di un’intervista a Giorgia Meloni, realizzata da una collaboratrice esterna, Maria Latella. Questo sciopero, che ha un chiaro sapore politico anti-Meloni, è stato presentato come una difesa del giornalismo “libero”.

In un clima di conformismo e di pressione collettiva, i giornalisti schierati contro Meloni sembrano aver deciso che l’attentato a Ranucci debba essere interpretato nel contesto delle “trame nere”. Di conseguenza, è iniziata una corsa a chi possa esprimere le opinioni più forti e provocatorie. Le riflessioni di Campi, che avrebbero potuto contribuire a una discussione più profonda e articolata, sono state subito criticate, in particolare da Ilaria Sotis, che ha negato l’esistenza di giornalisti “partigiani” all’interno della Rai.

Il dibattito su come l’attentato a Ranucci venga utilizzato nel discorso pubblico mette in luce una questione più ampia riguardante il ruolo del giornalismo in Italia. La tendenza a politicizzare eventi di violenza o intimidazione può minare la credibilità di un’informazione che dovrebbe essere neutrale e obiettiva. La connessione tra il potere politico e il mondo dei media non è una novità, ma la sua manifestazione attuale solleva interrogativi sulla qualità e sull’integrità del giornalismo italiano.



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