Il suicidio di Stefano Argentino, 27 anni, avvenuto nel carcere dove era detenuto per il femminicidio della 22enne Sara Campanella, ha scosso l’opinione pubblica e sollevato interrogativi sulla gestione dei detenuti a rischio. L’uomo, reo confesso del delitto, si è tolto la vita il 6 agosto, poco prima dell’inizio del processo. Nonostante avesse manifestato intenti suicidi fin dal momento dell’arresto, la sorveglianza speciale a cui era sottoposto è stata revocata circa due settimane prima della tragedia.
Secondo le prime ricostruzioni, il suicidio è avvenuto nel pomeriggio, intorno alle 17, quando Argentino si è allontanato dagli altri detenuti e si è impiccato nel bagno della sua cella. Gli agenti di custodia lo hanno trovato ormai privo di vita. Questo caso rappresenta il 52esimo suicidio in carcere dall’inizio del 2023, un dato che evidenzia una problematica crescente e una situazione critica all’interno delle strutture penitenziarie italiane.
La garante dei detenuti di Messina, Lucia Risicato, ha espresso profonda tristezza per l’accaduto e ha commentato la notizia ai microfoni di Fanpage.it: “Non posso che esprimere profonda tristezza perché questo suicidio peraltro è il 52esimo dall’inizio dell’anno. Ed è un dramma a cui il Parlamento e il governo sono indifferenti”. La garante ha sottolineato come la morte di un detenuto rappresenti una sconfitta per tutti, soprattutto considerando che l’uomo avrebbe dovuto affrontare il processo per chiarire le circostanze del delitto.
Il caso di Stefano Argentino non è isolato. Il giorno successivo, un altro detenuto, un giovane marocchino di 23 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ascoli Piceno, portando il totale dei suicidi in carcere a due in appena 24 ore. Questi episodi evidenziano una situazione drammatica che richiede interventi urgenti da parte delle istituzioni.
La vicenda ha sollevato dubbi sulla gestione della sorveglianza speciale per i detenuti a rischio. La decisione di revocare tale misura a Argentino, nonostante le sue dichiarazioni iniziali e il suo stato di disperazione, è ora oggetto di indagini da parte della magistratura. La garante Risicato ha dichiarato: “Era in alta sorveglianza fino a 15 giorni fa. Ora c’è un’indagine in corso per cui sarà la magistratura a chiarire cosa sia successo: bisogna capire soprattutto perché non è stato ritenuto più a rischio suicidio”. Ha inoltre evidenziato come la morte dell’uomo abbia privato la società di un processo che avrebbe potuto approfondire le motivazioni e le dinamiche del femminicidio.
Un altro aspetto che ha suscitato riflessioni sono i commenti feroci apparsi sui social media dopo la notizia del suicidio di Argentino. La garante ha condannato tali reazioni, definendole espressione di una mentalità giustizialista e populista: “E la cosa che mi sconvolge sono i commenti feroci che ho letto sui social: sono espressione di una mentalità giustizialista profondamente intrisa di populismo anche a livello penale. Si sta dimenticando la dimensione costituzionale della pena, ma soprattutto ci si dimentica del fatto che la morte di un essere umano è una tragedia”.
La figura di Stefano Argentino, descritto come un detenuto chiuso in sé stesso e profondamente disperato fin dal momento dell’arresto, rappresenta un caso emblematico delle difficoltà che il sistema carcerario italiano deve affrontare nella gestione dei detenuti con fragilità psicologica. L’avvocato difensore dell’uomo ha avanzato l’ipotesi che lo Stato possa essere ritenuto responsabile per quanto accaduto, sollevando ulteriori interrogativi sulle procedure adottate nelle carceri per prevenire tali tragedie.



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