Sono le 11:41 del mattino del 9 maggio 1997 quando Marta Russo, una studentessa di 22 anni, crolla improvvisamente a terra mentre cammina con l’amica Jolanda Ricci in uno dei vialetti interni dell’Università La Sapienza di Roma. Un altro studente, Andrea Ditta, nota la scena e chiama immediatamente il 113 dal suo cellulare. È passata solo un minuto dall’accaduto. Sul retro della testa di Marta si nota un piccolo foro da cui fuoriesce una minima quantità di sangue.
I soccorsi arrivano rapidamente e Marta viene trasportata d’urgenza al Policlinico Umberto I. Qui i medici scoprono che la giovane è stata colpita da un proiettile di pistola calibro 22, un’arma comunemente utilizzata nel tiro sportivo. Il proiettile, del peso di 2,60 grammi e con punta cava, si è disintegrato all’interno della sua nuca, provocando danni irreparabili. Nonostante gli sforzi dei medici, Marta muore cinque giorni dopo, il 13 maggio 1997. I suoi genitori decidono di donare i suoi organi, un gesto che commuove l’intera comunità.
I funerali di Marta si tengono il 16 maggio 1997 alla presenza di circa diecimila persone. Tra i presenti vi sono figure istituzionali di rilievo come il rettore Giorgio Tecce, il presidente della Camera Luciano Violante, il sindaco di Roma Francesco Rutelli, il ministro Luigi Berlinguer e il prefetto Giorgio Musio. Tuttavia, manca il presidente della Repubblica.
Il caso suscita immediatamente grande clamore e diventa una priorità per la magistratura romana. L’indagine viene affidata a Carlo Lasperanza, che coordina un team composto da circa 80 persone. Non emergendo inizialmente alcuna pista concreta, gli investigatori si concentrano sulla vita della vittima. Marta era una ragazza brillante, al terzo anno di Giurisprudenza con una borsa di studio. Viveva con i genitori e la sorella nel quartiere Tuscolano ed era fidanzata con Luca, un giovane con cui aveva una relazione stabile. Oltre agli studi, Marta era una talentuosa schermitrice.
Nonostante l’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura, l’ambiente universitario si chiude a riccio. Le intercettazioni telefoniche effettuate dalla polizia rivelano un clima di preoccupazione tra alcuni docenti, più interessati a salvaguardare il prestigio dell’ateneo che a collaborare con le indagini. Il questore di Roma, Rino Monaco, commenta così la situazione: “Magistrati e investigatori hanno dovuto lottare contro un vero e proprio muro di omertà”.
Durante i numerosi sopralluoghi effettuati all’interno della Sapienza, gli investigatori scoprono un arsenale nascosto: pistole, silenziatori e munizioni, probabilmente utilizzati per esercitazioni di tiro a segno. Questo ritrovamento solleva interrogativi sull’origine della pistola che ha colpito Marta.
Un punto cruciale dell’indagine emerge il 19 maggio 1997, quando i RIS individuano tracce significative di polvere da sparo sul davanzale della finestra dell’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del Diritto, situato nella facoltà di Scienze Politiche. Ulteriori tracce vengono rilevate nel bagno per disabili al pianterreno, ma la traiettoria del proiettile sembra escludere questa seconda ipotesi come punto da cui è stato sparato il colpo.
Gli investigatori cercano quindi di ricostruire chi si trovasse nell’aula 6 al momento dello sparo. Secondo le prime ricostruzioni, due minuti dopo il colpo mortale, alcune persone sarebbero entrate nella stanza. Tuttavia, identificare con certezza i presenti e stabilire le loro responsabilità si rivela un compito arduo.
Il caso Marta Russo rappresenta uno degli episodi più complessi nella storia giudiziaria italiana degli anni ’90. La sua tragica morte ha scosso l’opinione pubblica e ha portato alla luce dinamiche oscure all’interno dell’ambiente accademico. Le indagini continuano nel tentativo di fare piena luce su quanto accaduto quel giorno alla Sapienza.
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