Una vicenda drammatica quella accaduta a una paziente toscana, che ha visto la sua vita stravolta da una serie di errori medici. La donna, originaria di Poggibonsi, in provincia di Siena, è stata risarcita con una somma di 800mila euro dalla locale ASL, dopo che i giudici della Corte d’Appello hanno riconosciuto la “negligenza imprudenza e imperizia grave di tipo omissivo” da parte della struttura sanitaria.
I fatti risalgono al luglio del 2015, quando la donna, afflitta da persistenti dolori e mal di testa, decise di recarsi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Poggibonsi. Gli antidolorifici che aveva assunto non avevano alleviato i sintomi, e il dolore continuava a peggiorare. Nonostante ciò, la prima visita si concluse con un nulla di fatto: i medici la dimisero prescrivendole un semplice antinfiammatorio.
Nei giorni successivi, la situazione non migliorò. Al contrario, i sintomi si intensificarono, spingendo la paziente a tornare più volte presso il Pronto Soccorso e la guardia medica. In totale, la donna si rivolse alla struttura sanitaria sei volte, ricevendo ogni volta diagnosi sommarie come cefalea o gastrite e venendo dimessa senza ulteriori accertamenti. Nemmeno una Tac alla testa, effettuata dopo l’ennesimo ricovero, riuscì a far emergere la reale gravità della situazione.
Solo grazie a un consulto privato con un oculista, la donna scoprì che dietro i suoi sintomi si celava una condizione ben più seria. L’esame del fondo oculare rivelò una trombosi dei seni venosi cerebrali. A quel punto, fu ricoverata d’urgenza presso l’Ospedale di Siena, dove ricevette finalmente una diagnosi accurata. Tuttavia, il tempo perso si rivelò fatale: dopo quattro giorni di coma, la paziente si risvegliò priva della vista e con gravi danni neurologici che le hanno compromesso anche altre capacità sensoriali e motorie.
La famiglia della donna ha deciso di intraprendere un’azione legale contro l’ASL per ottenere giustizia. Già in primo grado, i giudici avevano riconosciuto gli errori medici come decisivi nell’aggravarsi della sua condizione. “Tali errori, nel loro susseguirsi, avevano determinato un mancato contrasto all’aggravarsi della ipertensione arteriosa che, alla fine, ha causato il grave danno neurologico”, si legge nella sentenza. La Corte aveva stabilito un risarcimento iniziale di 400mila euro.
In seguito al ricorso in appello da parte della famiglia, il risarcimento è stato aumentato a 800mila euro. I giudici hanno ritenuto che l’entità del danno subito dalla donna giustificasse una revisione della somma iniziale. Il caso ha sollevato interrogativi sull’efficienza delle strutture sanitarie locali e sulla necessità di garantire una maggiore attenzione ai pazienti con sintomi persistenti e gravi.
La vicenda evidenzia le gravi conseguenze che possono derivare da diagnosi superficiali e dalla mancanza di approfondimenti clinici adeguati. La trombosi dei seni venosi cerebrali è una condizione rara ma potenzialmente letale, che richiede interventi tempestivi per evitare complicazioni irreversibili. Nel caso della paziente toscana, il ritardo nella diagnosi ha avuto effetti devastanti sulla sua qualità di vita.
La famiglia della donna ha espresso amarezza per quanto accaduto e ha sottolineato l’importanza di sensibilizzare il personale medico verso una maggiore prudenza e attenzione nei confronti dei pazienti. La speranza è che casi come questo possano servire da monito per prevenire simili tragedie in futuro.
La sentenza della Corte d’Appello rappresenta un importante riconoscimento del diritto della paziente a ricevere un risarcimento proporzionato alla gravità del danno subito. Tuttavia, nessuna somma potrà mai restituirle ciò che ha perso: la vista e la possibilità di vivere una vita normale.



Add comment