Nel corso del confronto con Bruno Vespa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha citato il film I cassamortari, diretto da Claudio Amendola, come esempio di un presunto abuso del tax credit. Secondo la premier, la pellicola avrebbe incassato “solo 490 euro nelle sale” a fronte di un contributo pubblico di “un milione e duecentocinquantamila euro”, insinuando che cineasti e attori avrebbero ricevuto veri e propri cachet milionari .
A stretto giro, i produttori Arturo Paglia e Isabella Cocuzza hanno diramato una nota nella quale definiscono quelle affermazioni “parziali” e prive di contesto . Hanno infatti chiarito che il film ha avuto “un’uscita limitata nelle sale cinematografiche, come consentito dalla normativa pandemica e post‑pandemica” .
Contrariamente a quanto sostenuto dalla premier, i due hanno evidenziato che il progetto ha generato “ingenti ricavi derivanti dalle licenze concesse alle piattaforme digitali e alle emittenti televisive” . Un successo tale da motivare la richiesta di un sequel, un evento “rarissimo nel settore” che, a loro giudizio, certifica “inequivocabilmente il valore commerciale dell’opera” .
I produttori hanno anche negato le accuse sui presunti cachet milionari: il compenso totale per registi, autori e attori sarebbe stato “di molto inferiore al tetto dei corrispettivi” consentiti dalla normativa vigente .
Infine, la nota spiega che il contributo pubblico – pari a circa 1,25 milioni – è stato principalmente destinato a costi produttivi: “milioni per pagare buste paga e relativi contributi previdenziali e assistenziali e relative ritenute d’acconto a diverse centinaia di lavoratori, oltre che corrispettivi e Iva per decine di collaboratori e fornitori di servizi” . Secondo Paglia e Cocuzza, questa dinamica dimostrerebbe un significativo impatto occupazionale collegato all’investimento dello Stato.
Nel merito della polemica, emergono tre punti chiave:
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Uscita in sale limitate: le restrizioni imposte dalla pandemia hanno ridotto drasticamente la presenza del film nei cinema, invalidando un confronto diretto tra investimento pubblico e incassi tradizionali .
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Fonti di reddito alternative: i produttori segnalano royalties da piattaforme digitali e diritti tv come fattori determinanti per il riscontro economico positivo del film .
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Impatto economico e occupazionale: il finanziamento pubblico è stato usato per coprire stipendi, contributi, IVA e servizi, distribuendo risorse a centinaia di professionisti del settore ().
Da una parte si pone la questione della correttezza nell’utilizzo dei fondi pubblici – tema centrale nel discorso della premier – dall’altra si solleva il dibattito sull’effettiva sostenibilità economica e il ritorno occupazionale garantito dalle produzioni finanziate con incentivi statali.
Contributi pubblici, recovery post‑Covid e new media: la vicenda di I cassamortari riflette un panorama in cui il cinema si finanzia sempre meno grazie al botteghino e sempre più attraverso streaming e tv. Il confronto politico rimane aperto sul tema della trasparenza, delle regole e della valutazione del merito culturale.
I produttori hanno definito “ingiusta e sbilanciata” la narrazione che ridurrebbe il film a “una perdita per lo Stato”, e inoltreranno informazioni dettagliate all’Auditel, al Ministero della Cultura e alla Direzione Generale Cinema, per ricostruire il flusso dei ricavi e delle spese.
Questa querelle non è isolata: segue altri casi – come il progetto non realizzato presentato da Francis Kaufmann – che hanno sollevato dubbi sul sistema del tax credit cinematografico e su eventuali abusi .
In attesa di eventuali rilievi ufficiali da parte degli organi competenti, resta il nodo politico: definire un equilibrio tra sostegno all’industria creativa italiana e tutela della spesa pubblica, con meccanismi di controllo e misurazione più stringenti.



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