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Ogni volta che andavamo a fare la spesa, mio marito riceveva una telefonata e scompariva. È stato solo dopo averlo scoperto che ho capito il suo inganno.



Ogni volta che andavamo a fare la spesa insieme, mio marito Alessandro diventava improvvisamente “super impegnato”.



Appena arrivavamo alla cassa, con il carrello pieno e lo scontrino ormai inevitabile, zac!… squillava il telefono.

«Amore, devo proprio rispondere, è lavoro», diceva, con quell’aria seria e professionale, allontanandosi di qualche passo.

E io? Rimanevo lì, da sola, a pagare 173 euro e spicci, mentre i cassieri mi lanciavano quello sguardo che dice tutto: “Lo fa sempre, vero?”

All’inizio lasciavo correre. Pensavo fosse davvero urgente. Ma poi ho iniziato a notare un pattern.

Sempre alla cassa. Sempre quando toccava a lui pagare.

Dopo mesi di questa scenetta ripetuta, ho detto basta. E ho deciso di smascherarlo.

La sera prima della spesa, mentre Alessandro dormiva profondamente, ho preso il suo telefono.

Non ho sbirciato nei messaggi, non cercavo segreti. Solo giustizia.

Sono andata nelle impostazioni e… ho bloccato il mio numero, così non poteva fingere una chiamata da me. Poi ho impostato una suoneria silenziosa per tutti i contatti.

Così, anche se avesse provato a far finta, il telefono non avrebbe suonato.

Il giorno dopo ero quasi emozionata.

Spesa normale, chiacchiere, risatine, carrello pieno. Finché non arriviamo alla cassa.

Come previsto, Alessandro tira fuori il telefono e dice:

«Amore, scusa… mi chiamano dall’ufficio. Paghi tu?»

Ma stavolta…

Nessuna suoneria. Nessuna vibrazione. Nessuna chiamata.

Lui si blocca. Guarda il telefono. Lo tocca. Lo scuote. Riprova. Ancora niente.

Io, dolcissima:

«Tutto bene, amore?»

Lui si schiarisce la voce: «Sì, sì… dev’essere un problema di linea.»

«Che sfortuna. Beh, visto che la chiamata non arriva… puoi restare e pagare, no?»

La cassiera, una signora sulla sessantina che ormai mi conosce, sorride:

«Oggi tocca a lui, eh!»

Sotto pressione, Alessandro prende il portafoglio come se pesasse dieci chili e paga: € 162,35.

Quasi mi sentivo in colpa. Quasi.

Quella sera, però, ho deciso di affrontarlo.

«Ale, credi davvero che non me ne sia accorta? Ogni volta che toccava a te pagare, compariva una chiamata. Pensavi che non avrei mai collegato?»

Lui ha riso. «Ma dai, era solo uno scherzo… sai che ti amo. E poi tu sei più brava con i soldi.»

Ho incrociato le braccia. «Uno scherzo? Hai fatto questa “scenetta” per mesi. Non è più una battuta: è comodità, è mancanza di rispetto.»

Il suo sorriso è svanito. «Hai ragione… è stato egoista da parte mia.»

Ho sospirato. «Guarda che non mi pesa dividere le spese. Ma ho bisogno di sentirmi in una squadra, non in una truffa a due.»

Lui ha annuito. «Prometto che da ora in poi sarò leale. Niente più chiamate finte. Pagheremo a turno, come giusto che sia.»

E devo ammetterlo: ha mantenuto la parola.

La settimana dopo, senza che gli dicessi nulla, ha pagato tutto. Di sua spontanea volontà.

Nessuna scusa. Nessun telefono. Solo un sorriso e il bancomat.

Morale:

Se qualcuno continua a scansare le proprie responsabilità, a volte non servono urla.

Serve solo un piano migliore del suo.



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