Un grave episodio di violenza si è consumato lo scorso 13 agosto nella località di Ceparana, in provincia di La Spezia, dove il 57enne Umberto Efeso ha ucciso la moglie Tiziana Vinci con tre fendenti al fianco e all’addome. L’uomo, autotrasportatore, si è costituito poco dopo ai carabinieri, ammettendo di aver commesso il femminicidio. Il giudice per le indagini preliminari ha convalidato l’arresto con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato.
Secondo quanto riportato da una testimone oculare, collega della vittima, prima di infliggere il primo colpo mortale, Efeso avrebbe pronunciato una frase carica di rancore: “Non dovevi mettermi contro i figli”. Questo dettaglio evidenzia il clima di tensione familiare che precedeva il tragico evento. La relazione tra i due, infatti, era da tempo deteriorata, caratterizzata da gelosia, minacce e un controllo ossessivo da parte dell’uomo.
Una relazione segnata dalla violenza e dalle intimidazioni
Le indagini hanno ricostruito un quadro di rapporti estremamente tesi tra Efeso e la moglie. Negli anni precedenti al delitto, l’uomo aveva inviato numerosi messaggi intimidatori alla donna, con frasi come “Farai una brutta fine”, “Ti taglio la testa” e “Prima o poi ti beccherò”. Le minacce non si limitavano alla moglie: anche uno dei sei figli della coppia sarebbe stato preso di mira dall’uomo, aumentando ulteriormente il clima di paura all’interno della famiglia.
La situazione era diventata insostenibile al punto che Tiziana Vinci aveva deciso di denunciare il marito alle autorità. A seguito delle denunce, erano state adottate misure cautelari per proteggere la donna: il tribunale aveva disposto l’allontanamento dell’uomo dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento a Tiziana e l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico per monitorarne i movimenti. Nonostante queste precauzioni, la tragedia non è stata evitata.
La mattina del delitto: i messaggi di confessione
Il giorno del femminicidio, Umberto Efeso ha inviato diversi messaggi per confessare quanto accaduto. Alle 11:48, l’imprenditore della Logistica Alessandro Laghezza, datore di lavoro dell’uomo, ha ricevuto un testo in cui Efeso si scusava e chiedeva perdono. Nel messaggio, l’autotrasportatore attribuiva ai figli la responsabilità indiretta della morte della moglie: “E ora devono piangere amaro, la devono tenere sulla coscienza. Loro l’hanno ammazzata, io l’amavo mia moglie. Era la vita mia mia moglie”.
Poco prima, alle 11:30 circa, l’uomo aveva inviato un messaggio vocale a un amico con parole simili: “Ho ammazzato mia moglie”, ribadendo ancora una volta la sua convinzione che i figli avessero influenzato negativamente la madre.
Il braccialetto elettronico: un dispositivo inefficace
Uno degli aspetti più controversi della vicenda riguarda il braccialetto elettronico che avrebbe dovuto garantire la sicurezza di Tiziana Vinci. Da circa dieci giorni prima del delitto, il dispositivo non funzionava correttamente. I carabinieri avevano segnalato il problema alla società fornitrice, ma non era stato trovato alcun rimedio. Lo stesso Efeso avrebbe riferito dei guasti al dispositivo. Dopo aver commesso il crimine, l’uomo si è liberato del braccialetto durante una breve fuga in auto.
La vicenda solleva interrogativi sull’efficacia delle misure cautelari adottate per proteggere le vittime di violenza domestica. Nonostante gli strumenti legislativi e tecnologici a disposizione, il caso di Tiziana Vinci dimostra che tali misure possono risultare insufficienti se non adeguatamente



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