Il recente accordo raggiunto a Sharm el-Sheikh ha suscitato un dibattito intenso sulla sua interpretazione e sulle reazioni politiche in Italia. In particolare, si pone la questione su chi debba essere riconosciuto per questo successo diplomatico: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, artefice di una trattativa controversa ma efficace, o la giovane attivista Greta Thunberg, che rappresenta una generazione di attivismo globale spesso criticata per la sua mancanza di risultati concreti? Sebbene la domanda possa sembrare provocatoria, è fondamentale considerare che la pace non deriva solo da buone intenzioni, ma è il risultato di potere, strategia e la volontà di affrontare situazioni complesse.
Mentre gli Stati Uniti si impegnano a ristabilire un equilibrio in un contesto mediorientale già instabile, in Italia si continua a osservare una confusione tra il sostegno alla causa palestinese e la condanna di coloro che hanno perpetrato attacchi contro Israele il 7 ottobre. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, sembra inseguire le piazze più radicali, come se la sinistra potesse ritrovare la propria identità solo opponendosi a qualcosa. Questa visione è un’illusione: l’indignazione non è una forma di politica efficace.
L’accordo di Sharm el-Sheikh dimostra che il progresso nel mondo non è guidato da slogan, ma da interessi concreti. Che piaccia o meno, la pace è costruita attraverso la forza e la determinazione, piuttosto che attraverso manifestazioni simboliche. Coloro che continuano a predicare senza prendere decisioni decisive si trovano costantemente in una posizione di svantaggio.
Con la realizzazione del cessate il fuoco, le manifestazioni pacifiste, che avevano caratterizzato le settimane precedenti, sembrano ora silenziose. Non ci sono più nemici simbolici da attaccare, né conflitti da utilizzare come pretesto per criticare l’Occidente. Per chi si nutre di opposizione morale, questa situazione rappresenta un vero e proprio dramma. È forse per questo motivo che, all’interno della sinistra, si fa fatica a riconoscere un risultato storico, poiché questo risultato mina la narrativa del “noi contro loro” che ha mantenuto unita una coalizione politica in crisi.
La pace attuale, pur non essendo perfetta, è un risultato tangibile, frutto di una diplomazia pragmatica e realista, piuttosto che di un sogno idealista. Prima di cercare un nuovo corteo da guidare, potrebbe essere opportuno riconoscere che nella realtà, la pace non viene raggiunta attraverso slogan, ma da chi ha la capacità di trasformarli in decisioni concrete.
In questo contesto, è cruciale che i leader politici, inclusa Elly Schlein, riflettano sull’importanza di affrontare le sfide globali con una mentalità aperta e pragmatica. La storia recente ci insegna che la diplomazia efficace richiede non solo la volontà di negoziare, ma anche la capacità di adattarsi alle circostanze mutevoli e di riconoscere i risultati positivi, anche quando non corrispondono alle narrazioni preesistenti.



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