L’accordo di pace recentemente siglato per Gaza solleva interrogativi sulla politica estera di Donald Trump, considerato da molti come uno dei peggiori presidenti degli Stati Uniti degli ultimi trent’anni. Nonostante le critiche, il piano di Trump è attualmente l’unica soluzione disponibile, anche se presenta diverse lacune. In particolare, non coinvolge direttamente i rappresentanti palestinesi, i quali mancano di figure credibili. Inoltre, il piano sembra riflettere una visione colonialista e affaristica, la cui riuscita dipende in gran parte dall’operato di Hamas e di Netanyahu.
L’accordo non si propone come un progetto complessivo per affrontare le complesse questioni del Medio Oriente, né come l’inizio di un vero Stato palestinese. Piuttosto, si configura come una risposta pragmatica per porre fine ai conflitti armati, ricostruire la Striscia di Gaza e prevenire quattro crisi imminenti: lo sterminio dei palestinesi superstiti, la loro deportazione, l’annessione di Gaza e della Cisgiordania, e la trasformazione definitiva di Israele in uno Stato di apartheid. Senza affrontare queste problematiche, è difficile parlare di pace autentica.
La pace non si limita all’assenza di conflitti, ma richiede un lavoro costante e impegnativo per affrontare le cause profonde che alimentano le tensioni nella regione. Per raggiungere questo obiettivo, sarebbe necessaria una conferenza internazionale che riunisca le grandi potenze mondiali e le nazioni locali, simile a quella di Helsinki del 1975. Questo approccio richiederebbe leader capaci, in grado di affrontare le sfide attuali, piuttosto che i “nani” politici attualmente in carica.
In Europa, i leader sembrano distratti dalle loro stesse crisi, come la guerra in Ucraina, e non hanno avuto un ruolo significativo nei negoziati di Gaza. Mentre Israele e Hamas firmavano l’accordo, i rappresentanti europei erano assenti, lasciando spazio a stati considerati “canaglia” di giocare un ruolo più attivo. I leader europei, che si vantano di avere un’importanza diplomatica, si trovano ora a dover affrontare la realtà di un accordo di pace mediato senza il loro coinvolgimento.
La sorpresa generale riguardo alla capacità di Trump di ottenere un accordo è palpabile. Molti non credevano che il presidente potesse avere successo, eppure ha raggiunto un risultato dove altri, come Joe Biden, hanno fallito. Questa situazione ha portato a una riflessione sull’approccio poco convenzionale di Trump, descritto come “Teoria del Matto” (Madman Theory). Secondo questa teoria, il suo comportamento imprevedibile ha spinto gli altri a collaborare, temendo le conseguenze di un suo possibile rifiuto.
Se Trump dovesse ripetere un simile successo anche in relazione alla Ucraina, ci si aspetta una reazione di grande impatto all’interno dell’establishment politico globale. L’idea che un presidente con un approccio così controverso possa ottenere risultati concreti ha generato frustrazione tra i critici, che vedono in lui un “rozzo parvenu” capace solo di causare disastri. Tuttavia, il suo recente successo ha messo in discussione le percezioni prevalenti e ha fatto sì che molti si interrogassero su come giudicare il suo operato.
La situazione attuale evidenzia una dinamica complessa: mentre i leader mondiali e i media tradizionali criticano Trump, il suo approccio ha portato a risultati tangibili. Questo paradosso ha creato un clima di amarezza tra coloro che avevano scommesso sulla sua disfatta. La sua capacità di navigare tra le tensioni internazionali e ottenere risultati, anche se controversi, solleva interrogativi sulla validità delle strategie politiche tradizionali.



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