Nata nella primavera del 1942, Rossana Falciatori vive attualmente in una casa di riposo a Castel di Guido, dove trascorre le sue giornate tra passeggiate nel giardino e partite a carte con le amiche. Tuttavia, il suo passato è segnato da un lungo internamento nel manicomio Santa Maria della Pietà di Roma, una delle strutture psichiatriche più grandi d’Europa. Questo manicomio, con i suoi 35 padiglioni distribuiti su un vasto parco di 150 ettari, rappresentava un mondo separato dalla vita quotidiana della capitale, un luogo dove le persone ritenute problematiche venivano segregate e dimenticate.
Durante il periodo in cui Rossana fu internata, molte donne furono ricoverate senza avere alcuna patologia mentale. Era sufficiente manifestare comportamenti considerati inappropriati o ribelli per l’epoca, come opporsi alla volontà del marito o della famiglia, per essere etichettate come “pazze”. Rossana stessa fu rinchiusa a soli 22 anni, in seguito a litigi con il marito. Le etichette che le furono attribuite erano molte: loquace, instabile, eccitata, indocile, e così via. Durante il ventennio fascista, le donne venivano internate sulla base di una serie di sintomi che riflettevano più le norme sociali del tempo che reali condizioni mentali.
Nel dopoguerra, la situazione non migliorò, e comportamenti come la gelosia o la scarsa attenzione alla vita familiare potevano condurre a trattamenti estremi, come l’uso della camicia di forza. Rossana racconta con voce ferma: “Mio marito voleva togliermi di torno; si era stancato di me e ha pensato di mettermi lì per stare libero.” All’epoca del suo primo ricovero, suo figlio Roberto aveva solo cinque anni.
Roberto ricorda quegli anni difficili: “Mamma non era matta, ma all’epoca bastava poco per finire lì dentro. I miei genitori litigavano molto quando ero bambino; poi, quando mamma è stata internata, io sono andato a vivere dai nonni.” La sua testimonianza mette in luce la fragilità della situazione familiare e le conseguenze devastanti che l’internamento ha avuto sulla loro vita.
Dopo la chiusura del Santa Maria della Pietà, Rossana ha potuto ricostruire la sua esistenza, anche se solo dopo aver superato i 60 anni. Nonostante ciò, i ricordi del manicomio rimangono difficili da affrontare. “Non ero pazza, però a forza di stare lì ci diventi,” confida, mostrando una foto ingiallita del suo matrimonio. Le sue parole evocano un senso di ingiustizia e di sofferenza, un’esperienza che molte donne hanno condiviso nel corso degli anni.
Il manicomio Santa Maria della Pietà, che ha chiuso definitivamente i suoi cancelli, rappresenta un capitolo oscuro della storia italiana, dove le vite di molte persone furono compromesse da diagnosi errate e da una società che non sapeva come affrontare le diversità. Rossana è solo una delle tante donne che hanno subito questa sorte, una testimonianza vivente di un passato che non deve essere dimenticato.
Oggi, Rossana vive una vita più serena, ma le cicatrici emotive dell’internamento rimangono. Le sue esperienze sono un monito sull’importanza di riconoscere e rispettare la dignità di ogni individuo, indipendentemente dalle convenzioni sociali. La sua storia è un richiamo alla necessità di una maggiore consapevolezza e comprensione nei confronti delle persone che, per motivi spesso futili, sono state etichettate come “pazze”.



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