Un farmaco sperimentale denominato NU-9 ha mostrato la capacità di bloccare il morbo di Alzheimer in test di laboratorio, rappresentando una potenziale svolta nella lotta contro la principale forma di demenza a livello mondiale. Attualmente, NU-9, un composto a piccole molecole, è stato testato su modelli murini predisposti all’Alzheimer (5xFAD), con i ricercatori ottimisti riguardo alla sua efficacia anche negli esseri umani, grazie ai risultati promettenti ottenuti contro i meccanismi che innescano la neurodegenerazione.
NU-9 agisce specificamente sulle proteine tossiche note come oligomeri di beta-amiloide, che sono considerati precursori delle placche che si accumulano nel cervello e che sono associate alla distruzione dei neuroni, sebbene il loro ruolo rimanga oggetto di dibattito nella letteratura scientifica. Durante la ricerca, gli scienziati hanno anche identificato un oligomero precedentemente sconosciuto, denominato ACU193 +, che si manifesta tra i primi nella catena di processi neuroinfiammatori legati alla demenza.
La somministrazione orale del farmaco nei topi ha portato a una significativa riduzione delle proteine tossiche responsabili della neurodegenerazione, bloccando di fatto l’insorgenza dell’Alzheimer. I risultati suggeriscono che NU-9 potrebbe diventare una terapia preventiva preziosa per le persone a rischio, prima che compaiano sintomi come la perdita di memoria. Uno studio recente ha rivelato che i segnali e i biomarcatori della demenza possono apparire fino a 18 anni prima della manifestazione clinica.
La scoperta dell’efficacia di NU-9 è stata attribuita a un team di ricerca statunitense guidato dal dottor Daniel Kranz presso il Dipartimento di Neurobiologia della Scuola di Medicina Feinberg dell’Università Northwestern di Evanston. Gli scienziati hanno collaborato con i colleghi del Dipartimento di Neurologia e dell’Istituto di Chimica per i processi vitali. Il farmaco era già stato studiato in precedenti indagini, dimostrando la capacità di distruggere gli oligomeri di beta-amiloide in test in vitro su cellule umane dell’ippocampo, una regione del cervello cruciale per la memoria. Inoltre, NU-9 ha mostrato di eliminare le proteine tossiche SOD1 e TDP-43, associate alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ripristinando la salute dei motoneuroni superiori. Per questo motivo, NU-9 è già stato approvato dalla FDA come trattamento per la SLA.
Nei test, i modelli murini predisposti alla demenza hanno ricevuto una dose giornaliera di NU-9 per 60 giorni. Questo trattamento ha portato a un notevole abbattimento dei processi patologici che provocano l’accumulo di proteine tossiche e lo sviluppo della neurodegenerazione. Tra i meccanismi che causano la morte dei neuroni vi è lo stato reattivo degli astrociti, cellule di supporto che proteggono i neuroni e regolano l’infiammazione. Quando gli astrociti diventano reattivi, una condizione nota come astrogliosi reattiva, sono associati a cambiamenti nel cervello come disfunzione neuronale, infiammazione e attivazione delle cellule immunitarie. L’accumulo degli oligomeri di beta-amiloide spinge gli astrociti verso questo stato reattivo, e NU-9, colpendo questi oligomeri, riduce significativamente l’astrogliosi reattiva, il numero degli oligomeri tossici e la proteina anomala TDP-43, anch’essa legata alla neurodegenerazione.
“Questi risultati sono sorprendenti. NU-9 ha avuto un effetto straordinario sull’astrogliosi reattiva, che è l’essenza della neuroinfiammazione ed è collegata alla fase iniziale della malattia”, ha dichiarato Kranz in un comunicato stampa. L’obiettivo finale è quello di sviluppare una combinazione di diagnosi precoce e trattamento preventivo che possa rallentare drasticamente o addirittura fermare l’Alzheimer. Poiché sono in fase di sviluppo test del sangue in grado di rilevare i biomarcatori della demenza molto prima della comparsa dei sintomi, una terapia preventiva con NU-9 potrebbe effettivamente prevenire l’insorgenza della malattia in un numero significativo di pazienti a rischio.
“L’Alzheimer inizia decenni prima della comparsa dei sintomi, con eventi precoci come l’accumulo di oligomeri tossici di beta-amiloide all’interno dei neuroni e la reattività delle cellule gliali molto prima che la perdita di memoria diventi evidente”, ha aggiunto Kranz. “Quando i sintomi emergono, la patologia sottostante è già in fase avanzata. Questo è probabilmente uno dei motivi principali per cui molti studi clinici hanno fallito. Iniziano troppo tardi. Nel nostro studio, abbiamo somministrato NU-9 prima dell’insorgenza dei sintomi, simulando questa finestra precoce, presintomatica.” Non sorprende quindi che i trattamenti più efficaci contro il declino cognitivo recentemente approvati, come l’anticorpo monoclonale Lecanemab, debbano essere somministrati nelle fasi iniziali dell’Alzheimer.
Sarà necessario condurre ulteriori indagini precliniche su NU-9 prima di avviare i test clinici sull’uomo. I risultati della ricerca, intitolata “Identification of a glia-associated amyloid β oligomer subtype and the rescue from reactive astrogliosis by inhibitor NU-9”, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia.



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