Diabete l’insulina conservata nel frigo è a rischio: a cosa fare attenzione



Da ultimo studio effettuato sulla conservazione dell’insulina frigorifero, è emerso che questa pratica non è molto sicura, infatti sbalzi di temperatura fra l’interno del frigorifero e l’ambiente stesso potrebbe compromettere la qualità del farmaco, e quindi perdere efficacia per regolare la glicemia. È consigliato infatti di tenere nel frigorifero un termometro per cercare di riuscire a mantenere costante la situazione all’interno dell’elettrodomestico, cercando di mantenere la temperatura consigliata, tra i 2° e gli 8° centigradi.



A dimostrare i rischi di una cattiva conservazione dell’insulina un team di ricerca dell’Università di Medicina di Berlino (Germania), che ha collaborato con il professor Lutz Heinemann della società Science & Co e con l’azienda MedAngel BV, specializzata in strumenti digitali per la medicina. Gli studiosi hanno coinvolto 488 pazienti diabetici residenti negli Stati Uniti e in Europa, e hanno assegnato loro un piccolo termometro da posizionare al fianco delle proprie confezioni di insulina (sia in frigo che trasportata). Le temperature sono state monitorate per un periodo medio di 49 giorni tra novembre 2016 e febbraio 2018, il tutto grazie a un sensore che teneva traccia del parametro ogni 3 minuti, inviando tramite un applicazione i risultati al database seguito dagli scienziati.

Dall’analisi statistica è emerso chiaramente che la conservazione dell’insulina era tutto fuorché sicura; nel 79 percento dei casi, infatti, sono state registrate temperature inidonee. Più a rischio era proprio quella in frigorifero, dove per una media di 2 ore 34 percento minuti al giorno l’insulina finiva al di fuori dei parametri raccomandati. Il rischio maggiore era quello rappresentato dal congelamento, col 17 percento dei sensori che ha registrato temperature pari o inferiori a zero gradi centigradi.

Per quanto concerne l’insulina da trasporto è stato invece registrato uno sforamento più trascurabile di 8 minuti al giorno in media. “Molte persone con diabete stanno inconsapevolmente conservando la loro insulina in modo errato a causa delle temperature fluttuanti nei frigoriferi domestici”, ha dichiarato la dottoressa Katarina Braune dell’ateneo tedesco. “Quando si conserva l’insulina nel frigorifero di casa, va sempre usato un termometro per controllare la temperatura. Le condizioni di conservazione a lungo termine dell’insulina sono note per avere un impatto sul suo effetto ipoglicemizzante”, ha aggiunto la ricercatrice. I dettagli dello studio sono stati presentati in seno al congresso dell’Associazione europea per lo studio del diabete (EASD), svoltosi dall’1 al 5 ottobre a Berlino.

Come fare la puntura di insulina

Le ‘penne’ sono eredi delle siringhe monouso in plastica, che a loro volta avevano sostituito le siringhe in vetro. Oggi quasi tutte le perso – ne in terapia insulinica utilizzano questi strumenti, così chiamati per la somiglianza con una penna stilografica. La penna è costituita da un ago, da una car – tuccia di insulina e da un dosatore con scatti da 1/2, 1 o 2 unità. L’uso della penna è pra – tico e semplice: «Si imposta la dose insulinica da iniettare ruotando una ghiera ‘a scatti’. Ogni scatto corrisponde a una unità, con certe penne a mezza unità», spiega Gianni, papà di una ra – gazza con diabete, «il numero corrispondente alla dose appare in una finestrella». Poi si esegue l’iniezione premendo lo stantuffo con la stessa tecnica descritta per la siringa. Esistono penne ‘usa e getta’ che vengono sostituite quando l’insulina contenuta al loro interno finisce e penne che vanno caricate con una cartuccia di insulina. Chi usa più tipi di insulina dispone di più penne, meglio se diverse nel colore e nell’aspetto. Per esempio una penna per l’insulina basale (Humalog Basal, Lantus o Levemir) e una per l’insulina prandiale (Apidra, Humalog, Novorapid).

Le penne non differiscono molto le une dalle altre. Se è possibile sceglierle, un aspetto da tenere presente è la definizione del sistema che permette di impostare la dose. Bambini, giovani magri e persone estremamente sportive possono aver bisogno di dosare le mezze unità. Persone più anziane o che vogliono poter praticare l’iniezione anche in condizioni di scarsa luminosità, possono preferire indicazioni chiare della dose che si sta per praticare e un ausilio sonoro, un ‘clic’ che corrisponde a ogni scatto.

Questo ago fa per me È invece possibile – in accordo con il proprio medico – personalizzare l’ago. Esistono aghi di diversa lunghezza (da 4 a 12,7 mm) e di diverso diametro interno. Il diametro interno è misurato in Gauge. Attenzione: maggiore è il valore in Gauge, minore il diametro esterno. Per esempio Gauge 29 (G 29) equivale a 0,33 millimetri: Gauge 31 (G 31) a 0,25 millimetri. Aghi con lo stesso diametro esterno, cioè con lo stesso Gauge, possono avere diametri interni diversi. Non è detto che l’ago più sottile, cioè con il maggiore numero di G sia ‘migliore’ degli altri. Dove mancasse una prescrizione precisa da parte del medico, si possono provare diverse alternative e trovare quella che meglio risponde alle proprie esigenze. Flavia racconta di aver provato metodicamente diverse marche e diverse lunghezze fino a trovare quello da 5 millimetri che riduceva al minimo il fastidio dell’iniezione. Maurizio ha il diabete dai primi anni 80 e ha vissuto tutta l’evoluzione della tecnologia. «Ogni volta che usciva un ago più corto il farmacista mi avvertiva e io lo provavo.

Io preferisco l’ago più corto perché da meno fastidio, ora uso quelli da 5 millimetri», afferma. Benedetta è passata in un balzo ai 4 millimetri, «abituata a quelli da 8», racconta, «praticamente è come non fare l’iniezione». Non è detto però che per tutti sia così. Serenella al contrario trova gli aghi da 8 millimetri più facili da maneggiare, «quelli piccoli non riesco nemmeno a vederli», racconta. Inoltre ditte diverse possono adottare diversi profili nella punta, diversi sistemi per agganciare l’ago alla penna e differenti soluzioni nel packaging del singolo ago. Aghi di lunghezza inferiore ai 4 millimetri, qualora fosse possibile produrli non sarebbero probabilmente appropriati in quanto l’insulina non andrebbe a depositarsi nello strato di grasso sotto la pelle, che è il tessuto più adatto per garantirne il corretto assorbimento. Non sempre il medico prescrive una precisa lunghezza e una precisa marca di aghi. Spesso è il farmacista a proporre o a decidere quale prodotto far corrispondere a una prescrizione generica. A qualcuno va bene: Milly preferisce «non fare troppi capricci», e accettare ciò che le consegna il farmacista. Romano, 71 anni, un preciso ex dirigente di banca, invece sottolinea che «dovendo maneggiare aghi 2.000 volte in un anno, vale la pena di dedicare un po’ di attenzione alla scelta dell’ago e se non ci si trova bene parlarne con il team diabetologico».



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