Forza Italia ha smentito una Fake News sulle condizioni di salute di Berlusconi



“Come ho già smentito nei giorni scorsi, il Presidente Berlusconi non ha nessun problema di salute ed è regolarmente al lavoro nelle sua abitazione, dove ha trascorso tutta la giornata di oggi impegnato in una serie di riunioni per pianificare le sue attività imprenditoriali e i suoi prossimi impegni politici”. Lo afferma Lucia Ronzulli, eurodeputata del partito popolare europeo e membro dell’ufficio di presidenza di Forza Italia, smentendo la notizia, circolata in serata su alcuni siti Internet, del ricovero in ospedale del presidente di Forza Italia. “In questo momento si diverte a vedere come gli allungano la vita. Di questo passo supererà anche i famosi 120 anni”, aggiunge Ronzulli.



L’ultimo episodio in rete che coinvolge Gianni Morandi dovrebbe farci ripensare il concetto di “fake news”. È noto che in un profilo finto attribuito a un certo Gianni MoraMdi (con la M…) il noto cantante era rappresentato in un fotomontaggio, dove ostentava dei simboli di presunti movimenti anti Salvini.

Naturalmente è esplosa la catena degli improperi di chi si è sentito offeso nella propria sensibilità politica. Lo stesso è accaduto spesso nelle ultime settimane con foto di personaggi notissimi dello spettacolo, alcuni anche scomparsi, altri di fama internazionale, cui erano attribuite dichiarazioni ostili all’attuale politica italiana. Stessa reazione da parte degli “offesi” e stesse attività di rettifica da parte di chi rivendica l’ortodossia nel proporre notizie. Siamo sicuri che tutto questo possa appartenere al mondo dell’informazione? Falsa o distorta che sia? Non sarebbe meglio cominciare a pensare tale fucina di realtà parallele come un fenomeno di avanguardia sub culturale? Un retrovirus cognitivo di cui ancora non conosciamo gli sviluppi? Ricordiamo che tutte le avanguardie di pensiero in passato si sono sempre guadagnate l’etichetta di “perversioni” rispetto alla regola e alla tradizione. Qui è difficile immaginare che si tratti di nuova arte o nuova letteratura, ma forse un nuovo e fantasioso genere di narrativa auto generata dalla rete, potrebbe anche esserlo. Alla storia delle avanguardie è passato persino chi inscatolava la cacca o esponeva orinatoi.

In principio fu Orson Welles. Era il 1938 e Guerra dei Mondi, sceneggiato radiofonico tratto dal romanzo di fantascienza di Herbert George Welles, trasmesso il 30 ottobre dalla Cbs radio, è passato alla storia per aver scatenato il panico negli Stati Uniti raccontando un’invasione aliena. Era la diciassettesima  puntata della serie  The Mercury Theatre on the Air, nel quale Welles portava in radio grandi classici della letteratura. Un’idea radiofonicamente geniale tanto da sembrare vera.

In realtà fu una bufala dentro la bufala. La leggenda narra di milioni di americani presi dal panico e riversatesi nelle strade.  Ma il programma non aveva altissimi ascolti e la stragrande maggioranza di loro non seppe niente dell’impresa di Welles fino al giorno successivo. I fatti, invece, furono ingigantiti dai sensazionalisti resoconti della stampa dell’epoca, per vendere copie e alimentare un mito.  Se un fatto del genere avvenisse oggi i video in rete accumulerebbero clic e la chiameremmo fake news.  Perché bugie, pettegolezzi, false notizie sono sempre esistite.  Dalle cantonate prese dalla scienza ai pettegolezzi di paese messi in giro più o meno ad arte a, diciamolo pure, notizie e notiziole non proprio verificate e utilizzate anche a proprio comodo. Allora perché oggi sono un’emergenza? E perché fanno così paura? Proprio perché “non sono illegali e non sono nuove”, per usare le parole della Commissaria Ue al digitale Mariya Gabriel. Ma, rispetto al passato  “Le false informazioni si diffondono a un ritmo inquietante, e minacciano la reputazione dei media, il benessere delle nostre democrazie, e i nostri valori democratici. Per questo dobbiamo elaborare meccanismi per identificare le fake news e limitarne la circolazione. Se non prendiamo misure a livello europeo, il rischio è grande che la situazione si avveleni”. Parole che lasciano pochi dubbi su quanto la preoccupazione ormai sia politica. Lo dimostra il caso Facebook, lo dimostrano le indagini, le accuse e i sospetti nel mondo americano. Ma l’Europa non è indenne, e non solo perché l’ormai famosa Cambridge Analytica fa base a Londra e ci sono anche europei (e italiani, oltre 200mila) coinvolti. Ma perché come sempre quando si parla di rete niente è locale, ma globale. Un esempio? Sempre da Bruxelles arriva  la prima ricerca sulla percezione delle fake news e sulla fiducia degli utenti nelle fonti dei media, che ha coinvolto oltre 26.000 cittadini all’interno dei 28 paesi dell’Unione: ebbene il 37% degli italiani intervistati (parliamo di quasi quattro su dieci), dichiara di entrare in contatto con fake news ogni giorno. Ma allo stesso tempo il 73%, in linea con la media europea, si dichiara in grado di identificarle.  Sarà vero? Siamo così bravi? Solo uno su cinque in Italia aggiunge di avere fiducia nelle news diffuse sui social network e sulle app di messaggistica. È il terzo valore più basso tra i 28 Paesi e oltre 9 su dieci dice che le fake news oggi rappresentano un problema, per l’85% sono nello specifico un rischio per la democrazia in generale. L’Unione Europea, e non solo, se n’è già accorta e ha istituito mesi fa un gruppo di ricerca  proprio per capire cosa succede in rete. Il gruppo di lavoro ha terminato il suo rapporto. Il prossimo 25 aprile dovrebbero arrivare proposte concrete. Non vi saranno black-list né censure, ma si attende almeno l’avvio di una discussione concreta.

L’High-level Group of Experts, il gruppo di lavoro di alto livello, voluto dalla Commissione europea, ha lavorato dal 15 gennaio al 12 marzo coordinato dalla presidente Madeleine de Cock Buning. Due mesi per scandagliare la rete e mettere alcuni punti fermi per i trentanove esperti. Del contingente italiano hanno fatto parte  il docente dell’università Bocconi Oreste Pollicino, i giornalisti Federico Fubini e Gianni Riotta, la dirigente di Mediaset Gina Nieri. Nel team di Bruxelles anche il capo Unità social network della commissaria al digitale Paolo Cesarini. Italiano, e in prima linea contro le fake news. Quel che ne è nato è un rapporto di una cinquantina di pagine da cui dovrebbe nascere, si spera, una road map condivisa. “Fake news è un termine molto utilizzato e anche molto abusato, non solo in Europa. Tema più complesso è quello della disinformazione”, ci tiene a premettere Cesarini. Un programma interessante. Ma manca un tassello: oltre Oceano il dipartimento di Stato americano ha ricevuto 120 milioni di dollari per finanziare le politiche di contrasto alle interferenze straniere nelle elezioni o seminare sfiducia nella democrazia, e il Dipartimento della Difesa è stato incaricato di dedicare ulteriori risorse alla lotta propaganda. In Europa gli esperti chiedono circa 100 milioni di euro.

Dovranno deciderlo gli Stati membri a luglio, che devono ancora sciogliere tutti i nodi. E non ultimi interessi dei singoli ma anche soldi. Disinformazione è la corretta traduzione italiana? Si, la corretta traduzione italiana è disinformazione. E la disinformazione indica un fenomeno che consiste nella creazione, promozione e amplificazione di informazioni che sono state intenzionalmente create per creare confusione nello spirito del pubblico e quindi influenzare l’opinione pubblica. Un’intenzione che, tra l’altro, non è fine a se stessa ma è orientata sia a fini politici – molto si è discusso per esempio sull’influenza della Russia soprattutto nella parte dell’est europeo – oppure una disinformazione che opportunisticamente si avvale delle tecniche e delle tecnologie della rete semplicemente per fare soldi sulla pubblicità, sfruttando il potenziale di “good biting” delle informazioni che fanno appello più alle emozioni che alla ragione. Si parla di più di diecimila dollari al giorno inventando fake news, sono cifre così assurde? Gli adolescenti macedoni che hanno utilizzato questo sistema durante la campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti, riuscivano a portare a casa a testa circa 10.000/15.000 euro al giorno, semplicemente creando websites – operazione molto semplice – in cui l’obiettivo era diffondere notizie false e molto attraenti dal punto di vista scandalistico. Una delle notizie più conosciute è quella del sostegno che il Papa avrebbe dato a Trump durante la campagna elettorale. Era un gruppo organizzato di persone. Ci sono anche organizzazioni con la finalità di ottenere un obiettivo non economico ma di interferenza nel pensiero? Pensiamo non solo alla famosa Cambridge Analytica … L’attenzione principale in questo momento è sulla Russia. La Russia ha investito risorse considerevoli per creare una rete nella rete attraverso un utilizzo strategico di siti, con una cabina di pilotaggio che parte da Russia Today, poi volge a Sputnik, per diffondersi capillarmente attraverso la creazione sistematica quotidiana di falsi che hanno come scopo quello appunto di influenzare l’opinione pubblica locale. Non si tratta soltanto di un’influenza che viene esercitata sull’Europa: è uno schema geopolitico che può indirizzarsi anche ad altre regioni del mondo, come in Africa, per esempio, infiltrando il dibattito con notizie false che creano inquinamento nell’ecosistema informativo digitale. Quindi creano perplessità, confusione nel pubblico, che tende poi a polarizzarsi: il vero problema è creare polarizzazione, creare gruppi che funzionano a circuito chiuso, che si autoconvincano delle verità in cui credono e quindi tolgono possibilità di un vero confronto democratico fra punti di vista diversi, come dovrebbe essere in un sistema democratico. È il problema delle “camere dell’eco” che vengono create dai social media ma poi sfruttate in modo molto strategico da coloro che vogliono creare divisione e impedire un confronto sano di idee all’interno delle opinioni pubbliche europee e più in generale occidentali.



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