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E’ il giocatore che incide di più nel rendimento altalenante della Roma in questa stagione. Bella in Europa e fragile in campionato, dipende dall’umore di Edin Dzeko. Con i cinque gol all’attivo in Champions il bosniaco mette paura ai russi e guida la classifica dei marcatori della competizione con Messi. Il fatto che ieri si sia esposto alla vigilia, in una delle sue rarissime conferenze stampa, è un segnale importante. La Roma dipende dai suoi gol e Di Francesco deve sperare che stasera non abbia la luna storta.



Dzeko irrompe e si mostra motivato, anche un po’ arrabbiato: «Ma io sono sempre buono… In Champions mi trovo meglio perchè si gioca più a viso aperto, mentre in Italia certe squadre pensano a solo a chiudersi ed è più difficile». All’andata con una doppietta rese facile il compito della Roma. E’ stato l’ultimo acuto, perchè di lui in campionato si sono perse le tracce: «In Champions ultimamente, ma già dall’anno scorso, abbiamo fatto molto bene. Anche quest’anno solo a Madrid non abbiamo fatto la nostra partita. In generale siamo sempre presenti. Forse perché in Europa ci sono poche gare e in ognuna devi andare con tutta la forza, non lo so. In serie A devi fare lo stesso, ma ogni tanto si pensa che squadre con le quali abbiamo perso punti come Bologna, Chievo e Spal ci lascino vincere facile, invece non è così. Sappiamo che il campionato è molto difficile e tattico e per questo devi dare sempre il 100 per cento per vincere».

Mosca, 6 novembre 2018 – Tutto pronto all’Arena CSKA di Mosca per la sfida di mercoledì sera (fischio d’inizio alle 18.55) tra i padroni di casa del Cska Mosca e la Roma di Eusebio Di Francesco, partita valevole per la quarta giornata della Champions League 2018/19. Le squadre si presentano all’incontro dopo il match d’andata all’Olimpico che ha visto i giallorossi trionfare per 3-0 grazie alla doppietta di Edin Dzeko e al gol di Cengiz Under, risultato che ha issato i capitolini in testa al Gruppo G assieme al Real Madrid (6 punti a testa, ndr). Un eventuale successo nella trasferta russa consentirebbe quindi ai giallorossi di salire a +5 dal Cska con sole 2 giornate rimanenti, ipotecando di fatto il passaggio del turno agli ottavi di finale. Un’occasione d’oro per gli uomini di Di Francesco, chiamati a dimenticare l’ultima uscita di campionato che li ha visti impattare a Firenze (1-1, ndr) grazie anche ad un rigore concesso ai viola che ha scatenato le polemiche del club della capitale oltre a mettere in dubbio la permanenza sulla panchina del tecnico abruzzese, ‘minacciato’ ora anche dalle parole di Paulo Sousa, favorevole ad un approdo a Trigoria.

 

Ecco comunque qualche esempio:

  1. Paraguay con l’emittente Sistema Nacional De Television;
  2. Turchia con l’emittente Turkish Radio and Television Corporation;
  3. Repubblica Ceca con l’emittente Ceca Ceská Televize;
  4. Portogallo con l’emittente Rádio e Televisão de Portugal;
  5. Svezia con l’emittente Modern Times Group;
  6. Serbia con l’emittente Radio-televizija Srbije;
  7. Svizzera con l’emittente Schweizer Radio und Fernsehen;
  8. Paesi Bassi con l’emittente Sanoma Media Netherlands;
  9. Suriname con l’emittente Surinaamse Televisie Stichting;
  10. Slovacchia con l’emittente Slovenská Televízia.

Dopo aver perso 3-0 all’Olimpico, il Cska Mosca le ha buscate in casa contro il Krasnodar e sabato scorso ha pareggiato 0-0 nel derby contro la Dinamo. È sceso al quinto posto in campionato, a 11 punti dalla capolista Zenit. Preoccupa come sempre Alan Dzagoev, già in panchina all’andata: è stato visto zoppicare. Viktor Goncharenko non conferma né smentisce, si lamenta e basta: «Abbiamo troppi infortuni, Dzagoev sta male da tempo, le conseguenze si fanno sentire» dice il bielorusso che allena il Cska. Un altro problema sarebbe quello di fermare Edin Dzeko, che all’Olimpico segnò una doppietta, più l’as- sist per la terza rete di Under: «Non si usa più la marcatura a uomo per bloccare gli attaccanti, su Dzeko potremmo mettere due giocatori. L’importante è attaccare veloci, cambiare posizioni e sistemi di gioco, trovare continuità e non fermarsi ai primi 30 minuti». Il 7 novembre di 28 anni fa il Napoli di Maradona perse al Luzhniki contro lo Spartak, potrebbe esserci una maledizione per le squadre italiane, gli viene chiesto, e Goncharenko per la prima volta sorride: «Potrebbe essere maledetto per gli altri, a noi il Luzhniki porta fortuna».

BELLA D’EUROPA. Dzeko spera di rivivere le sensazioni dello scorso anno in Europa: «Abbiamo visto tutti quanto è bello giocare in Champions, poi arrivare in semifinale è ancora più bello. Sicuramente una vittoria a Mosca significherebbe il passaggio del turno. Anche per questo è una gara importante. Si aspetta sempre la Champions, poi arriva e tutti dobbiamo dare il massimo. Non dico che arriveremo in semifinale, ma vogliamo fare del nostro meglio e vincere più partite possibili».

E’ entrato nella top ten dei marcatori della Roma di tutti i tempi, ma tanti altri gol li ha sbagliati. Sa che il cammino della squadra dipende dai suoi gol: «È una motivazione e una responsabilità al tempo stesso. Sono il primo responsabile dei gol, quando non li faccio sono il primo io a non essere contento con me stesso. Ultimamente segno più in Champions e molto meno in serie A, ovviamente devo migliorare anche perché ultimamente ho sbagliato qualche occasione di troppo. Quando sbaglio sono il primo a non essere contento».

Schick incontra le sue stesse difficoltà e non riesce a diventare un’alternativa valida al bosniaco. Così immalinconisce in panchina: «Mi ricordo il mio primo anno, anche se Patrik è più giovane. Tutti abbiamo visto non solo in allenamento, ma anche con la Sampdoria che Patrik sa fare gol e sa fare belle partite. Ma secondo me lui prima di tutto deve iniziare da se stesso, deve dare sempre di più sia in allenamento che in partita. E noi che siamo i giocatori più vecchi dobbiamo aiutarlo. Comunque non ha avuto nemmeno fortuna, penso per esempio quell’occasione che ha avuto col Frosinone: se avesse segnato sarebbe cambiato tutto».

SONO NERVOSO. Non è un periodo felice e si capisce anche dai suoi comportamenti in campo: «Sicuramente avere più cattiveria in campo è importante, ma nessuno forse pensa al fatto che non mi faccia piacere perdere. Sono così: sono nervoso anche per questo. Ovviamente non è stato l’inizio di campionato che volevamo, e vale anche per me, a me non piace mai perdere. Come mi dice sempre l’allenatore, quando perdo la testa perdo 5-10 minuti, che è la verità, però quando mi arrabbio mi fa anche bene, perché poi ho un’altra forza che mi fa reagire».
Il Cska Mosca lo conosce bene, è un vecchio cliente: «E’ la sesta partita contro di loro. Ne ho giocate due col Wofsburg, due col City e questa è la seconda con la Roma. Credo di aver perso solo una volta, ed era in questo stadio, prima che fosse rinnovato. Sicuramente il Cska è cambiato molto, credo che l’unico rimasto sia il portiere. È una squadra molto giovane che sa vincere le grandi partite, come abbiamo visto contro il Real Madrid. Quindi sicuramente dovremo dare il nostro meglio per ottenere un risultato positivo».

Profumano ancora di nuovo i corridoi del Luzhniki Stadium, capolavoro architettonico che fonde la tradizione sovietica e la modernità postcomunista. Nella giornata di sole moscovita, fredda ma non gelida, l’equilibrio artistico risalta ancora di più. Anche Eusebio Di Francesco cerca a suo modo equilibrio, visto l’andazzo deprimente in campionato, ma per questa trasferta russa si accontenterebbe di mantenere lo standard europeo: se batte stasera il Cska, mette al sicuro il passaggio del turno con due giornate d’anticipo; in caso di sconfitta viceversa rischia seriamente l’eliminazione. «Ma non farà facile vincere in casa nostra, con 70.000 persone che tifano per noi» ha avvertito Magnusson, difensore islandese con un lungo passato italiano. Di Francesco conosce i pericoli della serata: «Siamo arrivati a Mosca con due giorni d’anticipo proprio per adattarci al clima e conoscere meglio l’ambiente. Troveremo un grande pubblico a sostenere il Cska, perciò sarà determinante l’impatto che avremo sulla partita. Per noi è un’occasione da sfruttare».

STIZZA. Nella sala conferenze, in ascolto, c’è tutto lo stato maggiore della Roma: oltre a Baldissoni, Monchi, Massara e Bruno Conti, ha seguito la squadra anche Alex Zecca, fido collaboratore del presidente Pallotta. Di Francesco, galleggiando su risultati insoddisfacenti, liquida con parole acide le dichiarazioni di Paulo Sousa che si è quasi candidato per la successione: «Mi hanno riferito il contenuto dell’intervista, che non mi interessa. Io devo pensare alla partita e sono sereno, perché faccio il mio lavoro. Chiedo io a voi se sia stato un intervento indelicato». Ed è chiaramente una domanda retorica. Anche se ieri il procuratore di Paulo Sousa ha provato a smorzare la polemica. «Ha solo risposto a una domanda – ha detto a Rete Sport – chi non vorrebbe allenare la Roma?».

DELUSIONE. Per la prima volta Di Francesco può parlare di quanto accaduto a Firenze, dopo il silenzio stampa imposto dalla società: «Tutti abbiamo visto le immagini, il rigore non c’era e ci ha condizionati. Ma noi avremmo dovuto reagire meglio, rientrare subito in partita senza fermarci a protestare. Siamo stati tardivi, come era già successo contro la Spal, dopo una parte di gara in cui dominavamo. E una grande squadra non può permetterselo: si può vincere anche al 97’». Riferimento non casuale al gol di Romagnoli che ha regalato una vittoria preziosa al Milan a Udine: «Io sto vedendo un percorso di crescita. Ci manca però la continuità, non solo tra una partita e l’altra ma anche dentro alla stessa partita. Non c’è niente da dire, abbiamo pochi punti in campionato, ma restano 27 giornate per recuperare. Che sono tante. Si può fare tutto a patto di ritrovare il giusto atteggiamento. Magari basta un episodio positivo per dare la scossa, per trasmettere fiducia alla squadra».

Confermerà a tempo indeterminato il 4-2-3-1, «che piace di più a Edin, sperando che torni a segnare (Dzeko ride, gli siede accanto, ndr) e ci consente di lavorare meglio sulle pressioni». Purché non cambi la filosofia: «Se dovessi schierare Florenzi alto, non vorrei comunque vedere una squadra che gestisce. Anzi, le sue capacità offensive possono aiutarci ad aggredire il Cska. E’ sempre un problema di mentalità, la Roma deve andare in campo con l’idea di prevalere sull’avversario, che sicuramente sarà più solido dell’andata con il rientro del portiere Akinfeev». Nel turnover dovrebbe essere anche il turno di Kluivert, con El Shaarawy inizialmente a riposo: «E’ un’ipotesi, non ci sarebbe motivo di meravigliarsi, Justin può giocare dall’inizio. Non ho mai problemi a lanciare i giovani, io».

C’è la legge del ’99: dentro un altro diciannovenne per rispettare le quote verdi. Quattro giorni dopo Zaniolo, due settimane dopo Luca Pellegrini, Di Francesco lancia Justin Kluivert nella complicata notte del Luzhniki Stadion, caldissimo a dispetto delle temperature autunnali.

CRESCITA. Kluivert ha offerto garanzie totali negli ultimi allenamenti, dopo il malanno muscolare che l’aveva frenato, tanto da meritare una nuova prestigiosa opportunità dopo lo spezzone così così di Firenze. Del resto proprio in Champions, contro il Viktoria Plzen, ha segnato l’unico gol della sua storia romanista. Un gol alla prima presenza assoluta. Perciò non tremerà, né per il freddo né per la tensione, al cospetto della muraglia russa. Fin qui ha faticato a inserirsi, dopo l’inizio fulminante di Torino, ma grazie ai miglioramenti nella capacità di esprimersi in italiano e, di conseguenza, nella maggiore frubilità delle indicazioni tecnico-tattiche, Kluivert si sta preparando a un futuro luminoso, all’altezza del forte investimento varato in estate da Monchi. Ha capito che è il momento di meritare la Roma.

TURNOVER. D’altra parte Di Francesco aveva un enorme bisogno di forze fresche in attacco, dopo le quattro partite di fila giocate da El Shaarawy e dopo le sei (nazionali incluse) di Ünder. Aspettando Perotti, che è ancora chiuso dentro ai suoi tormenti, la tentazione abbastanza scoperta è di avanzare nuovamente Florenzi per dare spazio a Santon in difesa. E’ la mossa che consentirebbe alla squadra di tenere un maggiore equilibrio nella fase difensiva senza rinunciare ad aggredire l’avversario nella propria metà campo.

PROMOSSO. A centrocampo poi, insistendo con il 4-2-3-1, Di Francesco proverà a scuotere anche Bryan Cristante che affiancherà Nzonzi davanti alla difesa. Stavolta sarà lui a vincere il ballottaggio con Zaniolo, che non ha ancora la forza agonistica per giocare due impegni così ravvicinati. Con l’aiuto del gigante francese, diventato campione del mondo proprio al Luzhniki, Cristante si calerà nel compito di vice De Rossi, che finora non gli è riuscito bene. Come e più di Kluivert, non deve sbagliare quest’occasione.

TREQUARTISTI. In corso d’opera poi potrebbe esserci spazio per Pastore, tornato tra i convocati a Firenze dopo il terzo infortunio a un polpaccio. Potrebbe giocare qualche minuto nella ripresa per dare fiato a Lorenzo Pellegrini, che praticamente non si è fermato mai nell’ultimo periodo.

DUELLO. L’unico dubbio di formazione sembra dunque in difesa, tra Fazio e Juan Jesus. Le ultime indiscrezioni davano in vantaggio il primo. Ma l’affidabilità di Juan Jesus non va sottovalutata nelle rotazioni, da qui in avanti. Rispetto a Firenze dunque i cambi dovrebbero essere quattro: Santon, Fazio, Cristante e Kluivert. Anche l’ampio turnover in fondo per Di Francesco è una regola di base.

INVIATO A MOSCA – Why, perché, urlava, mentre si copriva per il dolore la faccia colpita da una scarpata. Cornuto e mazziato, direbbero a Napoli della disavventura capitata a Robin Olsen: non solo Simeone ha rischiato di spaccargli uno zigomo, ma l’arbitro Banti ha premiato l’attaccante con un rigore che non c’era. Olsen non si capacitava a Firenze di cotanta ingiustizia, assai poco svedese nel suo sviluppo. E pare non abbia ancora smaltito la rabbia, nei giorni che l’accompagnavano alla trasferta russa di Champions.

TRAGUARDO. Ora però è tempo di guardare avanti. E magari celebrare con un po’ di orgoglio la ricorrenza: stasera al Luzhniki, Olsen tocca la partita numero 50 nelle coppe europee. D’accordo, per lo più le ha giocate in Euroleague con il piccolo Copenaghen. Ma valgono comunque nell’arricchimento del pedigree di un portiere forse sottovalutato: non sarà un istrione ammaliatore, né un erogatore di miracoli, ma nel suo piccolo sta dimostrando di essere un professionista incontestabile. Nel tennis verrebbe definito un regolarista, non avendo il talento da primadonna ma possedendo il senso della continuità.

FANTASMI. Ecco, a Olsen non si può proprio addebitare il limite che Di Francesco spesso rimprovera alla sua Roma: l’incostanza. Deve ancora migliorare nelle chiamate, nelle uscite, nella presenza scenica con i difensori, ma non sarà mai l’automobile che ti lascia in panne in mezzo a una campagna. E non è poco, quando non nasci Alisson ma devi evitare che il Migliore venga rimpianto: «All’inizio sentivo un po’ la pressione dell’eredità, ma poi è passato. Per chiunque sarebbe stato difficile prendere il posto di un grande portiere ma adesso mi sento perfettamente integrato nella squadra e sono pronto a dare il meglio di me».

ESORDIO. Curiosamente sarà la sua prima volta al Luzhniki Stadion: con la Svezia, al Mondiale, ha giocato cinque partite in Russia ma non è mai passato per Mosca. La bella storia della sua nazionale si è interrotta prima di raggiungere il centro del globo, emozione invece vissuta dal nuovo compagno Nzonzi. Ma è stata sufficiente a riservargli un volo in prima classe per Roma.

Roberto Mancini segue la sua crescita, perchéil prossimo step nell’evoluzione di Lorenzo Pellegrini sarà in maglia azzurra. Stasera Di Francesco gli affida le chiavi della Roma, nel prestigioso stadio Luzhniki, dove quasi quattro mesi fa Nzonzi alzò la coppa del Mondo.

A Mosca la squadra giallorossa si isola dalle scorie di un campionato cominciato male, difficile da aggiustare nelle ventisette partite che restano. Allora queste parentesi europee fanno bene al morale, aiutano a mantenere l’autostima smarrita nei confini nazionali con otto squadre che finora hanno fatto meglio della Roma.
In questo momento serve qualcuno che ci metta qualcosa in più. Ci vogliono giocatori con tecnica e personalità per ricordare che questa squadra, nonostante le correzioni imperfette fatte sul mercato, è sempre la semifinalista dell’ultima Champions League.
Questa sera Di Francesco riporta Lorenzo Pellegrini nel ruolo di trequartista, con libera licenza di inventare, in una squadra che fatica sempre tanto a trovare la via della rete. La crescita del giovane cresciuto nel vivaio e formatosi al Sassuolo alla scuola di Di Francesco lo porta a ricoprire più ruoli. Sabato contro la Fiorentina l’allenatore lo aveva riportato in una zona più arretrata del centrocampo, al fianco di Nzonzi. E Pellegrini ha fatto bene anche in quel ruolo. Nella ripresa, con l’ingresso di Cristante, Lorenzo è tornato più avanti, dalla trequarti in su è stato pericoloso, ha aiutato la squadra a reagire.

PROTAGONISTA. Le giocate che fa non sono mai banali e dimostrano come il ragazzo non si tiri indietro quando è il momento di prendersi le responsabilità in campo. Da questo punto di vista è cresciuto molto rispetto alla passata stagione, quando, al primo anno di Roma, come titolare ha avuto bisogno di sottoporsi a un po’ di apprendistato. Adesso anche i compagni lo cercano con maggiore frequenza e questa è la testimonianza ancora più concreta di come sia diventato uno dei leader in campo di questa squadra, che, smontata ogni anno, fatica a trovare punti di riferimento. Lorenzo oggi è un dieci, ricopre in campo la posizione che era stata di Totti quando il Capitano era giovane. Inventa, salta l’uomo, ruba palla, riparte, prova la conclusione.
Anche all’andata contro i russi aveva giocato da trequartista, mettendo sottosopra la difesa russa, inventando il primo gol di Dzeko con una giocata da campione. In quel caso era stato lui a lasciare il posto nel finale a Cristante, ormai scavalcato pure nelle gerarchie azzurre.
Di Francesco anche stasera a Mosca affida a Pellegrini un posto sul ponte di comando. Lorenzo studia da capitano e le responsabilità non lo spaventano.

«Per piacere, non fate pettegolezzi». Così aveva scritto prima di morire, in un biglietto, il poeta russo Vladimir Majakovskij. Se fu suicidio (come racconta la storiografia ufficiale) oppure no ancora si dibatte, ma da quel 30 aprile 1930 il gusto del pettegolezzo non è mai mancato a tutti coloro che si sono occupati di questa vicenda. E allora come sorprendersi se il calcio ama chiacchierare?

Pensate alla Roma — alloggiata in un hotel sulla Moscova non troppo lontana dal luogo dell’addio di Majakovskij  e a quanto possano aver fatto parlare le parole di due giorni fa firmate Paulo Sousa. «Mi piacerebbe allenare i giallorossi, non l’ho mai nascosto». Problemi? Sì, almeno un paio. Il primo è che proprio il nome dell’allenatore portoghese è stato il più accostato alla panchina romanista nei giorni in cui la squadra di Eusebio Di Francesco annaspava. Il secondo è che sì le cose sono migliorate, ma la Roma al momento è solo convalescente e quindi una eventuale sconfitta a Mosca e una successiva «non vittoria» domenica contro la Sampdoria — complice la sosta — potrebbe rimettere tutto in discussione. Morale: la partita di stasera contro il Cska conta parecchio, e non solo come «passepartout» per il passaggio del turno.

BOTTA E RISPOSTA «Sincera mente non mi interessano le dichiarazioni di Paulo Sousa— replica secco Di Francesco —. Ho altre cose a cui pensare molto più importanti. Sta a voi dire se è stato indelicato o meno, visto che siete bravi a leggere nel pensiero di tanti, e magari anche nei miei». E allora ci sbilanciamo: il tecnico abruzzese non ha gradito affatto, anche se dall’entourage del portoghese ricordano un precedente. Alla fine del marzo 2017, proprio mentre Sousa era in scadenza con la Fiorentina, il d.g. Corvino incontrò segretamente a casa sua Di Francesco, allora allenatore del Sassuolo, prima che la Roma lo strappasse alla concorrenza. E anche in quel caso l’episodio fece rumore. Ma non basta, ieri a «Rete Sport» ha parlato Moioli, agente del portoghese (esonerato dal Tianjin i primi di ottobre): «Non c’era nessuna intenzione di mancare di rispetto a Di Francesco, ma allenare la Roma è il sogno di tutti».

CARICA CHAMPIONS Istruzio ni serali: anche un pareggio aiuterebbe a spalancare le porte degli ottavi. «Dobbiamo dimostrare che davvero in Champions stiamo facendo un altro percorso rispetto al campionato. Comunque anche lì non penso che sia finita. Abbiamo ancora 27 partite da giocare. Credo che la Roma da un punto di vista fisico, dell’atteggiamento e del sistema di gioco sia in crescita. Come idea non dobbiamo perdere il desiderio di poter far male agli avversari. Siamo arrivati qui prima proprio per adattarci al freddo, ma dovremo interpretare la gara meglio che all’Olimpico». Non manca un accenno alle polemiche di Firenze («Abbiamo preso un rigore che non c’era e questo ci ha un po’ condizionato»), il tecnico benedice la scelta di Florenzi esterno alto e il rilancio dall’inizio di Kluivert: «Non ho mai avuto paura a buttare dentro i giovani, non meravigliatevi se l’olandese partirà dall’inizio. La Roma ha voglia di rifarsi e poi andarsi a riprendere quello che sta lasciando per strada in campionato. Quella di Mosca può essere una partita decisiva». Proprio vero. Perciò avviso a tutti i giallorossi: astenersi da atteggiamenti suicidi.

Lo stadio del Cska, con la torre che ricorda la Coppa Uefa vinta nel 2005, è una miniatura colorata, vista dal 52° piano del Triumph Palace. L’edificio, fino al 2003 il grattacielo più alto d’Europa, è una dimora per magnati, ma nella punta dentro il cielo ospita anche appartamenti per turisti. Il prezzo a notte è di nuovo accessibile, sui cento euro, mentre l’estate scorsa si partiva da cinque volte di più. Passato il Mondiale, Mosca è tornata onesta e malinconica, frenetica secondo abitudine ma non per sovraeccitazione da evento. Però l’onda della Coppa del Mondo non si è ritirata del tutto; la nazionale, spesso criticata e ignorata, adesso è un prodotto della Russia che funziona e ha creato nuovi idoli, fra questi il capitano di quell’avventura e del Cska: Igor Akinfeev.

EROE IN PORTA II sentimento festoso e affaristico post Mondiale ha spinto il Cska ad abbandonare la propria Arena sotto il Triumph Palace per ospitare la Champions al Luzhniki, dove si assegnò la coppa il 15 luglio. Akinfeev uscì in trionfo da questo impianto, rimodernato per 450 milioni ma in cui nessun club moscovita risiede, quando parò due rigori alla Spagna, ottavi di finale. Lui sempre criticato, colpevole e sciagurato nell’era Capello (clamorosa la papera contro la Corea del Sud a Brasile 2014), è diventato un mito rincorso adesso dai bambini e dai grandi, anche se ha lasciato la nazionale dopo il torneo. All’andata era squalificato, stasera rientra per far pesare il ruolo da leader. Una personalità forte, la sua, tanto che Ilya Pomazun, il suo sostituto e debuttante all’Olimpico, aveva quasi paura a parlargli dopo quel 3-0: «Invece gli ho detto che aveva giocato un’ottima partita e gli ho fatto i complimenti».

LA SERIE Prima di trasformarsi in eroe, e le immagini dei penalty respinti a Koke e Iago Aspas sono «entrate nella storia del calcio russo», come sottolineano qui, Akinfeev aveva una serie non proprio incoraggiante in Champions, dato che in 12 anni solo una volta era uscito imbattuto e in 46 match aveva sempre preso gol. Ma poi è arrivato il Reai Madrid, lo scorso 2 ottobre, battuto 1-0 davanti a 71.811 spettatori in delirio e non tutti tifosi del Cska, che non supera i 20 mila di media in campionato: «Con il Reai abbiamo dimostrato di potercela giocare alla pari delle grandi e lo dimostreremo anche contro la Roma», dice il portiere 32enne che debuttò nel Cska a 17 anni. Contro gli spagnoli riuscì a farsi espellere per due ammonizioni in pochi secondi nel recupero. Anche questa scena è entrata nella storia del calcio russo, ma con il suo nuovo status di semidivinità adesso nessuno gliela rinfaccia.

Il punto di domanda è solo uno: a Mosca ci sarà andato Dzekill o Mr.Hyde? Lo capiamo, è difficile scherzare sulle misteriose prestazioni di Edin Dzeko, capace di deludere parecchio in campionato (solo 2 gol in 10 partite) e — contemporaneamente — di essere insieme a Messi capocannoniere in Champions League (5 gol in 3 gare). Ma basteranno le solite tenebre europee per risvegliarlo, visto che degli 80 gol in giallorosso ne ha segnati ben 58 in partite con l’illuminazione artificiale?

MEGLIO ARRABBIATO A chi gli chiede se sia diventato più cattivo, il centravanti bosniaco risponde con un sorriso. «Sono ancora buono, non vi preoccupate (ride, ndr), ma sicuramente avere più cattiveria in campo è una cosa diversa. Nessuno forse pensa al fatto che non mi faccia piacere perdere. Sono così: sono nervoso anche per questo. Ovviamente non è stato l’inizio di campionato che volevamo, e vale anche per me, ma non mi piace mai la sconfitta. Come mi dice sempre Di Francesco, quando perdo la testa, perdo 5-10 minuti, il che è la verità, però quando mi arrabbio mi fa anche bene, perché poi c’è un’altra forza che arriva dentro e mi fa bene». Soprattutto in Europa, verrebbe da dire, viste le sue difficoltà in Serie A. «Ma il campionato a volte è più difficile, perché il calcio italiano cura di più la fase difensiva ed è più tattico. Comunque io ho motivazioni e responsabilità. I gol li devo fare, sono il primo responsabile, quando non li faccio sono il primo io a non essere contento di me stesso. Ultimamente segno più in Champions e molto meno in Serie A, ovviamente devo migliorare anche io perché ho sbagliato qualche occasione di troppo. Quando sbaglio sono il primo a non essere contento, però non guardo indietro». Il presente quindi è il Cska. «È una squadra molto giovane, ma che sa vincere le grandi partite, come abbiamo visto contro il Real Madrid. Quindi sicuramente dovremo dare il nostro meglio per ottenere un risultato positivo».

LUI E SCHICK Una delle polemiche giallorosse riguarda anche lo scarso impiego di Schick: troppo schiacciato da Dzeko? «Tutti abbiamo visto — non solo in allenamento ma anche con la Sampdoria — che Patrik sa fare gol e sa fare belle partite. Ma secondo me lui prima di tutto deve iniziare da se stesso, deve dare sempre di più sia in allenamento che in partita. E ovviamente noi che siamo i giocatori più vecchi dobbiamo aiutarlo. Comunque va detto che talvolta non ha avuto nemmeno fortuna; un gol può cambiare tanto». Questo, in fondo, vale anche per l’umore del bosniaco, che sembra ritrovare il giardino di casa. «È difficile da spiegare, ma in Champions già dall’anno scorso abbiamo fatto molto bene. Anche quest’anno solo a Madrid non abbiamo fatto la nostra partita. In generale siamo sempre presenti. Forse perché in Champions ci sono poche partite e in ogni gara devi andare con tutta la forza. L’anno scorso abbiamo visto tutti quanto è bello giocare in Europa, poi arrivare in semifinale sarebbe ancora più bello. Sicuramente se dovessimo vincere a Mosca, significherebbe il passaggio del turno. Ecco, non dico che arriveremo in semifinale, ma vogliamo fare del nostro meglio».

LUI E TOTTI Postilla: Dzeko è a soli 3 gol dal miglior marcatore giallorosso di sempre in Champions, ovvero Totti. Vuoi vedere che…? «Ragazzi, davanti ho Totti, una leggenda che resterà sempre tale. Non penso ai record, ragiono partita per partita. Conta per la squadra, se vinciamo potremo passare il turno. Non penso solo a fare gol, penso a vincere e a fare risultato. È una partita molto delicata, abbiamo vinto in casa ma se non si fa risultato a Mosca non conterà nulla». Così come i suoi 5 gol, quindi. Uno spreco da scongiurare.



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