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Sotto con la Juventus, pluricampione d’Italia ma con la quale Ivan Juric ha una tradizione favorevole. Una volta l’ha battuta (per 3-1, con il Genoa, nel 2016), un’altra l’ha fermata (pareggio 1-1, un anno fa, sempre con i rossoblù all’Allianz Stadium). Ci riprova, il tecnico croato. Il Verona va a Torino spinto dalle sensazioni positive offerte finora, con il sostegno di mille tifosi e con un messaggio: «Sulla carta la Juve non ha punti deboli, ma noi andiamo là con la testa libera, per ripetere la prestazione con il Milan».



La partita con i rossoneri, nonostante la sconfitta, ha lasciato buone sensazioni. L’espulsione di Stepinski ha fatto la differenza, costringendo il Verona a giocare per più di un’ora in dieci. Oggi lo sostituirà Di Carmine: «Giocherà lui – annuncia il tecnico – perché ha tutto per farsi valere anche in serie A: si sta allenando bene ed è entrato con la carica giusta contro il Milan». Tornando alla Juve, a chi gli chiede un paragone con quella di Allegri, Juric risponde così: «Prima di giocarci contro non posso farlo, anche se a Madrid non ho ancora visto la Juve di Sarri, se non in fase difensiva con una linea a quattro diversa da prima. Ha disputato una partita eccellente, ma l’Atletico sulle palle inattive è fortissimo, si sa. Noi prepariamo sempre qualcosa in base a come difende l’avversario, lavoriamo sugli spazi dove si può attaccare ». Insomma, qualcosa Juric dalla partita di Champions deve aver appuntato: «La squadra sta lavorando bene, specie quando giochiamo undici contro undici e pressiamo nella metà campo avversaria, ma anche quando ci siamo difesi in inferiorità numerica».

La prestazione sfoderata mercoledì sera al Wanda Metropolitano ha risposto in maniera limpida agli interrogativi che si erano insinuati tra le trame di gioco della Juventus nel fiacco sabato pomeriggio di Firenze. Derubricando l’episodio in terra viola a veniale passaggio a vuoto, anziché promuoverlo ad effettivo campanello d’allarme. Così, insomma, la costruzione dell’edificio bianconero da parte di Maurizio Sarri – mattone dopo mattone – può proseguire in tutta la sua potenzialità. Di partita in partita, lungo un calendario che ora si fa sempre più fitto. E che, a tre giorni di distanza dal pareggio con l’Atletico Madrid nell’esordio stagionale in Champions League, propone oggi l’impegno all’Allianz Stadium contro il Verona.

Una sfida a cui il tecnico bianconero si affaccia con l’intenzione di operare qualche accorgimento rispetto all’ultimo undici titolare, ma soltanto dove strettamente necessario. In piena coerenza con i dettami alla base di un percorso di continua e costante sarrizzazione della squadra. Senza incorrere nell’errore, però, di pensare che il punto d’arrivo sia qualcosa di già visto altrove. «Chi crede che per vedere la mia mano su questo gruppo si debba aspettare un gioco analogo a quello sviluppato dal Napoli è fuori strada – ha messo in chiaro ieri l’ex manager del Chelsea –. La squadra è dei giocatori, non dell’allenatore. Di conseguenza le caratteristiche da esaltare sono quelle di chi scende in campo non avrebbe senso tentare di snaturarle. Per questo la Juventus di Sarri non potrà che essere una versione nuova e diversa rispetto alle precedenti squadre di Sarri, pur mantenendone le idee di fondo».

E cercando di limare i problemi emersi nel finale di gara mercoledì a Madrid, gli stessi che hanno negato un successo che per la prestazione offerta e per la personalità dimostrata su uno dei campi più ostici d’Europa sarebbe probabilmente stato meritato. «Ci sono stati due o tre momenti in cui siamo stati superficiali: dobbiamo lavorare per evitare che si ripeta – il mantra esposto da Sarri nel corso della conferenza stampa della vigilia -. Anche perché non mi piace buttare via quello che non funziona, preferisco lavorare sui difetti per risolverli. Sulle palle inattive il problema non riguarda la difesa a zona o a uomo: è questione di attenzione ed aggressività». Passaggi a vuoto in cui non dovrà incorrere, insomma, chi scenderà in campo questo pomeriggio contro il Verona. In un undici titolare che certo non verrà stravolto rispetto alle prime uscite stagionali. «In Italia c’è una fissa per il turnover, mentre per esempio in Inghilterra le squadre si affidano ai soliti 14 giocatori anche se disputano molte più partite rispetto a qui: probabilmente dipende dalle energie mentali spese per la grande pressione cui si è soggetti, più che per quelle fisiche – la riflessione di Sarri, che al contrario non commenta gli episodi legati agli ultras dell’ultima settimana -. Come stanno Ramsey e Rabiot? Il gallese ha fatto passi avanti importanti e anche il francese sta crescendo: in questo ciclo di partite ci sarà spazio per entrambi. Non scordiamoci che arrivano da altri campionati e non parlano la lingua: anche Platini ha impiegato qualche mese per ambientarsi ». E ad adattarsi, nei prossimi mesi, dovrà per certi versi essere anche Federico Bernardeschi. Che soprattutto però deve crescere, lo richiama il tecnico. «In futuro lo vedo più centrocampista che esterno d’attacco, ma gli ho chiesto in questo scorcio di proseguire in quel ruolo perché in mezzo siamo già in sette. Ancora non ha inciso sulle partite in proporzione alle sue qualità, dobbiamo lavorare per farlo crescere in personalità e a livello caratteriale». Magari rispondendo proprio sul campo all’osservazione portata dal suo tecnico. Con carattere, appunto.

Quindici secondi scarsi di gioco effettivo. Tanto è passato mercoledì sera al Wanda Metropolitano tra l’ingresso di Paulo Dybala al posto di Gonzalo Higuain, al 35’ della ripresa, e l’azione con cui avrebbe potuto lasciare la sua firma sul debutto in Champions della Juve di Sarri, quasi certamente cambiandone l’esito. Servito sull’angolo destro dell’area di rigore, la Joya ha puntato Vitolo e ha saltato in un colpo solo lui e Koke, arrivato a raddoppiare, portandosi la palla verso il fondo, poi l’ha messa in mezzo rasoterra con un tunnel a Saul, accorso per impedirgli il cross. Gimenez in spaccata ha impedito a quel pallone di raggiungere Matuidi sul limite dell’area piccola, salvaguardando la speranza dell’Atletico di pareggiare, poi concretizzata da Herrera. Da quell’azione, però, ripartirà Dybala oggi contro il Verona, quando prenderà di nuovo il posto di Higuain, stavolta quasi certamente dall’inizio. E da quell’azione inizierà la sua corsa per strapparlo stabilmente all’amico Pipita, il posto di centravanti.

«E’ PRONTO» Intendiamoci, Sarri non deciderà oggi e neppure nei prossimi giorni chi sarà la punta centrale titolare della sua Juventus ideale, quella che nel nuovo anno dovrà accelerare sul rettilineo finale dello scudetto e lanciare l’assalto alla Champions. La settimana di campionato che si apre oggi con Juventus-Verona e si chiuderà sabato prossimo con Juventus-Spal, passando attraverso la trasferta infrasettimanale di martedì a Brescia, però, sarà comunque cruciale per Dybala: per capire quando potrà sfidare Higuain da pari a pari. Forse non subito, perché il Pipita ha il vantaggio di un mese di lavoro in gruppo, mentre  la Joya si ricaricava dopo la Coppa America: «E’ arrivato ad agosto inoltrato e probabilmente non è al top della condizione», ha spiegato ieri Sarri. Che però ha anche annunciato senza mezzi termini: «E’ pronto, altrimenti non lo avrei messo in campo a Madrid in un momento decisivo della partita. E’ sicuramente in grado di giocare e di darci una mano». E giocherà, Dybala, dall’inizio. Se non oggi, martedì o sabato prossimo. E quando non sarà titolare avrà spezzoni importanti per accrescere quei 24 minuti che ne fanno uno dei giocatori meno impiegati della rosa bianconera

Minuti in cui dovrà dimostrare di essere realmente in grado di dare una mano alla Juve, come ha detto Sarri e come stava per fare davvero mercoledì a Madrid. Dal peso di quella mano si potrà cominciare a intuire il futuro di Dybala. Probabile che il 1° ottobre allo Stadium contro il Bayer Leverkusen, nella seconda giornata di Champions, il titolare sia ancora Higuain: centravanti più classico e più semplice da inserire in una squadra in costruzione. Ma nei prossimi sette giorni Dybala potrebbe già iniziare a mettere in dubbio la gerarchia, proprio grazie alla propria atipicità come punta centrale. Higuain si è adattato a Ronaldo con grande intelligenza e umiltà, ma quando mercoledì nel finale ha visto uno spicchio di porta, l’istinto del bomber lo ha posseduto e ha sparato su Oblak anziché servire CR7 sul secondo palo. Per Dybala è più naturale dedicarsi all’assist. E la sua maggiore capacità aerobica, quella per cui Allegri lo vedeva «tuttocampista», può renderlo prezioso per il continuo pressing offensivo, elemento chiave del gioco di Sarri. Con queste doti, e con i gol, ovvio, può sostenere il braccio di ferro con Higuain. Da oggi deve dimostrarlo.

Il piano è la conquista del mondo e dopo l’acquisto di CR7, arriva l’aumento di capitale da 300 milioni di euro a rafforzare la strategia bianconera. Andrea Agnelli lo aveva annunciato un anno fa: riportare la Juventus davanti a tutti è il suo obiettivo e dopo aver acquistato il calciatore più forte, rende la società ancora più solida dal punto di vista economico. La decisione è stata presa nel corso del Consiglio di Amministrazione di ieri pomeriggio e comunicata in serata: 300 milioni che serviranno a «finanziare gli investimenti utili al mantenimento della competitività sportiva; sostenere la strategia commerciale per l’incremento dei ricavi e della visibilità del brand Juventus nei mercati internazionali; rafforzare la struttura patrimoniale della Società». Trecento milioni che vanno a sostegno del «Piano di sviluppo per gli esercizi 2019/20-2023/24», ovvero per i prossimi cinque anni che saranno determinanti per un’ulteriore crescita della Juventus. Agnelli alza l’asticella, il cugino John Elkann lo affianca e lo sostiene, visto che la Exor (di cui Elkann è presidente e che detiene il 63,77 per cento del club bianconero) ha già annunciato la propria adesione all’aumento di capitale. Il che significa che dalla cassaforte di famiglia usciranno 191,3 milioni di euro per la Juventus, mentre i restanti 108,7 saranno versati dagli azionisti. L’eventuale inoptato, ovvero la parte di aumento che potrebbe non essere sottoscritta dal mercato, viene garantito da un consorzio di banche. L’aumento di capitale dovrebbe avere luogo nel primo trimestre del 2020 (ma c’è tempo fino a settembre 2020, secondo il comunicato) e sarà votato dall’assemblea straordinaria convocata per il 24 ottobre 2019, alle 10 nella consueta sede dell’Allianz Stadium. In quell’occasione i soci saranno chiamati a ratificare la decisione e si tratta di un passaggio formale, avendo la Exor il 63,7 per cento delle azioni. A quel punto si avrà una Juventus ancora più solida e capace di investire. Una macchina da guerra che perseguirà gli obiettivi del piano fra i quali spicca «la capacità di competere ad alto livello, sia in Italia che in Europa» e «un approccio dinamico alle campagne trasferimenti calciatori per cogliere opportunità di valorizzazione e di investimento ». Due modi per dire che la Juventus continuerà a cercare i migliori giocatori del mondo da ingaggiare e che svilupperà in modo sempre più intensivo il settore giovanile per produrne anche in casa. Agnelli è sempre stato chiarissimo sul fatto che il fine della società sia il calcio e che intorno al calcio ruotino tutti gli sforzi. La Juventus sta sviluppando in modo feroce il settore commerciale, ma solo per avere più risorse da investire sulla squadra in modo da competere sempre per vincere. Trecento milioni in questo senso sono davvero tanti soldi, perché – spiegato in estrema sintesi – consentono a Fabio Paratici di fare mercato senza l’incubo del debito o di una situazione finanziaria precaria. Già, il debito. Quello che il bilancio approvato ieri indica in 463,5 milioni. Una cifra importante, ma che non preoccupa la Juventus, perché tenuto sotto controllo con strumenti finanziari (vedi il bond da 175 milioni varato in febbraio) e da una solidità del club che ultimamente non ha speso solo per calciatori, ma anche per immobili (dallo stadio all’area della Continassa, dove sorgono non solo il centro sportivo e la sede ma anche l’albergo inaugurato da poco). Inoltre la crescita del fatturato che sale a quota 621,5 milioni (494 al netto delle plusvalenze) è l’indice di una società in crescita. E l’indice che mette in rapporto l’EBITDA e il debito resta al 2,87, quindi sotto la soglia del 3, ritenuta critica dagli analisti finanziari. La Juventus è una società che sta crescendo secondo un piano ambizioso e conta su una base finanziaria adeguata. Da ieri con 300 milioni in più.



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