Luca Zingaretti su Il metodo Catalanotti: “Montalbano sarà una sorpresa”



Campione d’ascolti da oltre 20 anni, torna su Rai Uno l’8 marzo il 37esimo film della collezione di II commissario Montalbano intitolato II metodo Catalanotti interpretato da uno straordinario Luca Zingaretti e dove c’è tutta la passione di Andrea Camilleri per il teatro. Il commissario più amato d’Italia ne firma anche la regia dopo che lo storico regista, Alberto Sironi, è venuto a mancare a breve tempo dallo scrittore Camilleri e dello scenografo Luciano Ricceri.



In  metodo Catalanotti troviamo un Montalbano diverso. Cosa ci può anticipare? «È un episodio inedito e per molti versi unico. In questo romanzo, Andrea Camilleri sovverte un po’ tutto, come se avesse fatto fare a Cappuccetto Rosso una rapina in banca. Ci dà un Montalbano pronto a rinunciare al suo mondo per una donna. Non che in questi 20 anni non sia stato tentato da altre donne. Ma qui succede qualcosa di straordinario, arriva una ragazza, con una sensualità rara (ndr: Greta Scorano), che mette in crisi tutto il suo sistema: a un certo punto dice che vuole stare solo accanto a lei, pronto a rinunciare a tutto».

Quando ha letto di questa trasformazione cosa ha pensato? Ha cercato una cifra recitativa diversa? «È stato un terremoto! Quando ho letto il libro di Camilleri, mi ha fatto saltare dalla sedia, e così andava portato sullo schermo, con la stessa potenza. Per tradurre le parole di Camilleri in immagini abbiamo adottato un metodo un po’ da commedia dell’arte, come i dialoghi tra Mimi e Salvo, o con Catarella, stilemi di recitazione data da un’unità di intenti che non stona nel contesto.

Credo che sarà un episodio che rimarrà “dentro”: forse, presagendo la fine, Camilleri ha infarcito il testo con il tema pirandelliano della giovinezza e della vecchiaia, la passione per il teatro, come se fosse una forma di testamento». Dopo la dipartita di Camilleri, Sironi e Ricceri, si è preso carico del doppio ruolo di attore protagonista e di regista.

Come la vive? «È doloroso perché mancano colonne portanti della serie e soprattutto grandi amici. Resta un senso di solitudine e di dolore. Mi sono trovato catapultato dalla sera alla mattina a gestire anche la regia, prendendo il timone della barca e anche con i colleghi assumevo un ruolo da condottiero per finire il percorso che avevamo intrapreso. Senza il loro aiuto non ce l’avrei fatta».

Cosa rappresenta per lei Montal-bano e che futuro vede per lui? Nuovi episodi o questo è Fultimo? «Sicuramente di Montalbano mi rimarrà la lezione della sua integrità, ne ho fatto tesoro. In questi vent’anni è stata una cavalcata fantastica, con uno standard molto alto, fatta sempre con grande entusiasmo, per cui non c’è stanchezza da parte mia sul personaggio. È stata dura perdere i miei compagni e complici di trincea, con cui mi misuravo tutti i giorni, da interprete e da uomo.

Un anno fa dissi di non essere certo che mi sarebbe andato di tornare su un set senza i miei punti di ri-ferimento, ma dall’altra parte prendere il timone per completare il percorso era una questione di responsabilità e rispetto. Non ho ancora elaborato il lutto: quando la vita avrà ripreso a scorrere vedremo cosa fare con i nuovi episodi. È presto per parlarne, il virus non ci permette di tornare sul set con la tranquillità che ci ha contraddistinto in vent’anni e, come ha detto Carlo Degli Esposti (ndr: il produttore), c’è l’intenzione di proseguire per chiudere il cerchio. Non lasceremo un Montalbano sospeso, ma abbiamo bisogno di tempo».

Che ricordi ha del suo rapporto con Andrea Camilleri? «Lo conoscevo dai tempi dell’Accade-mia come mio insegnante, una persona di poche parole come i siciliani veri, pesava le parole e quando apriva bocca voleva dire tanto, come i suoi libri che dicono molto più della storia che raccontano. Andrea era una persona con cui ti vedevi e parlavi di tutto, non soltanto del mestiere di attore».
Cosa pensa di aver lasciato a Montalbano e cosa Montalbano a lei dopo ben 37 film?

«Io a Montalbano ho lasciato i capelli! Ho comprato il primo romanzo di Camilleri per simpatia, lo lessi dopo qualche mese e fu amore a prima vista: capii che era un personaggio meraviglioso, pieno di chiaroscuri. Ho amato profondamente Montalbano, anche quelle sue antipatie che lo rendono simpatico, quel senso della giustizia, di essere se stesso col potente e col debole, la sua integrità. Di questo ho fatto tesoro. E poi penso di avergli dato tanto: lo stesso Camilleri non mi vedeva nel ruolo, il suo commissario lo immaginava con i capelli e i baffi, ma mi disse: “So che attore sei e so che farai un buon lavoro”. Alla fine penso di avergli dato alcuni miei difetti umani e le capacità professionali».



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